Aglio Bianco Piacentino IGP Aglio Bianco Piacentino IGP Disciplinare di produzione - Aglio Bianco Piacentino IGPArticolo 1. Denominazione L’indicazione geografica protetta «Aglio Bianco Piacentino» è riservata al prodotto di cui alla specie Allium sativum L. rispondente alle condizioni riportate nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La denominazione «Aglio Bianco Piacentino» I.G.P. designa i bulbi ottenuti dalla coltivazione delle varietà di aglio «Ottolini» e «Serena», nella zona geografica di produzione delimitata nel successivo art. 3. Il prodotto, all’atto dell’immissione al consumo, deve presentare le seguenti caratteristiche: i bulbi si presentano allo stato secco; la tunica esterna del bulbo e quelle che avvolgono ciascuno spicchio devono essere completamente secche e di colore bianco; i bulbi sono provvisti di spicchi (o bulbilli) nel numero compreso tra 12 e 18, di sapore acre, di dimensioni medie e grosse compatti e di forma regolare senza difetti qualitativi; i bulbi devono avere le caratteristiche previste dalle norme comuni di qualità rispondenti alle categorie extra o Ia. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di essiccazione e di conservazione della I.G.P. «Aglio Bianco Piacentino» comprende l'intero territorio dei comuni di Besenzone, Cadeo, Calendasco, Caorso, Castelvetro Piacentino, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Gossolengo, Gragnano Trebbiense, Monticelli d'Ongina, Piacenza, Podenzano, Pontenure, Rottofreno, Sarmato, San Pietro in Cerro, Villanova sull’Arda e parte del territorio dei comuni di Agazzano, Alseno, Borgonovo Val Tidone, Carpaneto Piacentino, Castell'Arquato, Castel San Giovanni, Gazzola, Ponte dell'Olio, Rivergaro, San Giorgio Piacentino, Vigolzone, tutti nella provincia di Piacenza. La delimitazione della zona geografica è la seguente: partendo da nord, sul fiume Po, lungo il confine provinciale che il limite segue fino ad incrociare, in prossimità del torrente Stirone, la strada che, toccando le località la Persica e Case Lolini, incontra la strada Salsediana sulla quale prosegue in direzione nord verso Castelnuovo Fogliani. Oltrepassati il torrente Ongina ed il bivio sulla strada di Genova, prosegue sulla strada per Castell'Arquato sino al Rio Grattarolo che segue fino all'altezza dell'abitato di Case Sogli per poi riprendere, attraverso il confine comunale Alseno-Castell'Arquato, la strada per Castell'Arquato in direzione sud-ovest fino all'abitato medesimo. Oltrepassato il torrente Arda risale verso nord-ovest sulla provinciale per Carpaneto fino ad incrociare il confine del comune di Carpaneto e, in direzione sud-ovest, la comunale per Massana di Sopra. Proseguendo sulla stessa incrocia il Rio delle Caselle, passa quindi in località Travazzano e supera il torrente Chero raggiungendo la strada provinciale per Rezzano. Percorrendo quindi la medesima strada, in direzione nord, raggiunge la località la Turca di Sopra da dove prosegue, verso nord-ovest, fino alla località Piacentino e da questa segue, in direzione sud, la comunale sino alla località Case il Poggio. Segue quindi l'interpoderale fino ad incrociare il torrente Vezzeno e da questi fino al rio Terzolo per poi proseguire lungo la strada per località Veggiola sino ad incrociare la comunale per Godi, su questa prosegue in direzione nord, oltrepassa Godi sino ad incrociare il torrente Ogone che il limite percorre in direzione sud fino ad intersecare la strada per Rizzolo che segue sino alla stessa località. Da Rizzolo segue la strada per Ponte dell'Olio toccando le località di Torrano, Zaffignano e Folignano. Da Ponte dell'Olio, attraverso il ponte sul Nure segue la provinciale Valnure in direzione nord sino a Vigolzone. Da Vigolzone segue la strada vicinale del Gusot, lungo il rio Verano, fino a Cà del Lupo, quindi segue il rio della Bosella, supera la provinciale di Colonese e prosegue verso nord sino all'altezza di cascina Bassa, si sposta quindi in direzione ovest sino ad incontrare la strada per Ancarano che segue sino ad Ancarano di sopra. Da qui segue il rio Cassa sino alla strada vicinale Montebello-Borzoli-Donzella ed incrocia la S.S. 45 in località Diara, sulla quale prosegue raggiungendo Rivergaro. Superato Rivergaro prosegue sulla S.S. 45 fino ad incrociare la strada che attraversa il fiume Trebbia e che si immette sulla vecchia strada provinciale Travo-Rivalta che il limite percorre, in direzione nord, sino a località Molino. Da questa località prosegue in direzione ovest lungo la strada vicinale delle cascine Bassa Bellaria, Boccine di sotto, Manfredi e Bongiorno, fino alla comunale che segue fino a Castelletto per riprendere la vicinale per la cascina Maruffa e, proseguendo in direzione nord-ovest, percorre la comunale per Gazzola fino ad incrociare la vicinale di Poggio del Gatto che percorre fino ad immettersi sulla provinciale Gazzola-Agazzano. Su quest'ultima, in direzione sud-ovest, prosegue fino ad incrociare il torrente Luretta che percorre in direzione nord fino alla strada per Rivasso sulla quale, proseguendo in direzione ovest, tocca gli abitati di Rivasso e Sarturano e raggiunge Mirabello. Da qui, in direzione sud-ovest, sulla strada di Tavernago, prosegue sino a Guadernago per poi giungere al torrente Tidone che segue, in direzione sud-ovest, sino alla cascina Santa Margherita. Si congiunge poi con la ex statale n. 412 che segue in direzione nord fino a Borgonovo VaI Tidone. Prosegue in direzione ovest sulla strada per Moretta fino ad incrociare il rio Cavo che percorre in direzione nord fino all'altezza di Cà Basse per poi seguire la comunale per Castelsangiovanni fino all'altezza di cascina Perduta. Da qui prosegue in direzione ovest lambendo gli abitati di cascina Pradello e cascina Loghetto sino a Fornaci. Da questa località segue la comunale verso Casanova, proseguendo poi sino a Ganaghello e poi, in direzione ovest, fino al confine provinciale che segue quindi, in direzione nord, fino al fiume Po. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Preparazione del terreno La lavorazione del terreno deve essere eseguita entro il mese di settembre. L'aratura è seguita da successive erpicature e/o fresature che, oltre per l'interramento dei concimi minerali, servono per lo sminuzzamento del terreno necessario per il regolare collocamento dei bulbilli. Inoltre, si deve provvedere, mediante scoline e fossi di testata, alla sistemazione degli appezzamenti in modo da facilitare il drenaggio delle acque in eccesso. Fertilizzazione Le modalità di somministrazione di concimi minerali e di ammendanti organici sono realizzate in modo da mantenere la fertilità del terreno e contestualmente di fornire alla coltura tutti i nutrienti necessari per un corretto sviluppo. In tutti i casi i quantitativi massimi di unità di fertilizzante che non potranno essere superati sono: P2O5 250 Kg/Ha; K2O 300 Kg/Ha; N 150 Kg/Ha. Semina La messa a dimora dei bulbilli deve essere effettuata nel periodo compreso tra il 20 settembre e il 20 novembre, impiegando semente (bulbilli) certificata appartenente alle varietà «Ottolini» o «Serena». Il materiale di propagazione è costituito da bulbilli ottenuti per sgranatura dei bulbi; i quali vengono puliti da radici, tuniche esterne, bulbilli centrali e da bulbilli esterni al bulbo (denti). Durante le operazioni di sgranatura e pulitura dei bulbilli viene posta particolare attenzione ad evitare schiacciamenti e lesioni degli stessi. Debbono trascorrere almeno quattro anni tra colture successive di aglio sullo stesso appezzamento. In particolare, non si deve far succedere la coltura di aglio ad altre colture bulbose o a radice carnosa. Non è consentita la successione a prato. La semina deve essere effettuata in modo da non superare la densità massima d'investimento di 270.000 piante/Ha. I sesti d’impianto da adottare sono: distanza tra le file 30 – 40 cm; distanza sulla fila 12 – 15 cm. La raccolta e le operazioni di essiccamento. La raccolta che inizia dopo il 20 giugno deve concludersi non oltre il 30 luglio. L'aglio, una volta estirpato, rimane sul campo steso al sole, per una prima essicazione. Completate le operazioni di essiccamento in campo l’aglio viene portato presso le aziende agricole per l’essicazione definitiva. Successivamente viene posto in piccole cataste e sistemato in appositi locali, in attesa di essere avviato ai siti di conservazione e condizionamento. La conservazione può avvenire mediante l’ausilio di ambienti a temperatura controllata al fine di mantenere inalterata la qualità dell’aglio. Il trasferimento dalle aziende ai siti di conservazione, che dovranno essere nella zona indicata dall’articolo 3, avviene in modo da mantenere la rintracciabilità del prodotto ed inalterata la qualità dello stesso, ovvero che i bulbi non subiscano schiacciamenti, lesioni, perdita della cuticola. La produzione di «Aglio Bianco Piacentino» destinata alla commercializzazione dovrà essere al massimo di 13 ton/Ha di prodotto secco. Articolo 6. Legame con l’ambiente Caratteristiche della zona geografica La zona geografica di produzione è caratterizzata dalla presenza di suoli di origine alluvionale, tendenti allo sciolto e medio impasto, ben drenati e dal clima di tipo temperato-subcontinentale. Le precipitazioni si concentrano in autunno ed in primavera, le temperature sono caratterizzate da elevate escursioni termiche sia giornaliere che annuali. Caratteristiche del prodotto L'aglio prodotto nella zona indicata all'articolo 3 si caratterizza per il ciclo di maturazione medio- tardivo, l’adattabilità all’impianto autunnale, una buona produttività (produzione media 10-13 ton/Ha), l’ottima conservabilità (fino ad un anno). Le tuniche esterne sono di colore bianco-argento, i bulbi di pezzatura medio-grossa dalla forma regolare si presentano compatti con 12 – 18 spicchi dal sapore marcato. Esistono autorevoli testimonianze che, almeno dagli anni Settanta e Ottanta in poi, attestano che le varietà locali di aglio coltivate nella pianura piacentina sono note per la serbevolezza e per l’ottima conservabilità, direttamente influenzate dall’insieme delle condizioni d’ambiente di cui si giovano durante l’accrescimento e lo sviluppo, nonché dall’elevato tenore di allicina dimostrato anche da ricerche scientifiche. Riferimenti storici, reputazione e legame con la denominazione Nel Piacentino, fino al XIX secolo, la coltivazione dell’aglio riguardava orti familiari. Le più antiche notizie statistiche relative alla produzione di pieno campo di aglio nell’area risalgono al 1922 ed indicano che la superficie coltivata ad aglio e cipolla era pari a 220 Ha. Negli anni successivi la coltivazione dell’aglio in pieno campo non tardò a svilupparsi e nel 1947 si costituì a Piacenza il Consorzio Provinciale Orticoltura avente un proprio marchio commerciale ed una specifica Sezione Economica Produttori di Aglio, il S.E.P.A., che da subito si distinse principalmente per l’esportazione di tale prodotto verso gli Stati Uniti. Nel corso degli anni la coltivazione di aglio bianco nel territorio piacentino ha assunto una posizione di notevole importanza, arrivando ad occupare, nel momento di massima espansione, il 10% circa della superficie nazionale investita ad aglio, con una produzione media annua di circa 3.000 tonnellate. Dal 1978 a Monticelli d’Ongina (PC), all’interno dell’area di produzione indicata all’articolo 3, si svolge ogni anno, la prima domenica di ottobre, una manifestazione dedicata all’Aglio, che dà luogo a convegni e conferenze che non mancano di aggiornare il pubblico di produttori, ricercatori e studiosi sullo sviluppo qualitativo dell’aglio bianco Piacentino, oggi ottenuto dalle varietà – un tempo ecotipi – locali (Ottolini e Serena). Da allora in poi, anche la denominazione «Aglio Bianco Piacentino» comincia a diffondersi, caratterizzando la produzione della pianura piacentina. L’impegno degli agricoltori della zona che al fine di salvaguardare la tipicità della coltura, nonché difendere le coltivazioni dalla proliferazione di patogeni ospiti, si sono prodigati all’introduzione di pratiche agronomiche adeguate, ha portato attraverso un lungo e certosino lavoro di miglioramento varietale, a selezionare la locale varietà di aglio «bianco Piacentino», riconosciuta il 6 gennaio 1982 con il Decreto di iscrizione della denominazione nel Registro delle varietà di Allium sativum. Nel 1983 venne ufficializzata la certificazione varietale e sanitaria ENSE di aglio «Piacentino bianco» da seme. La varietà andò sempre più rivelandosi come la principale della zona, sempre interessata da ricerche scientifiche orientate al miglioramento della varietà ed al confronto con altre produzioni coltivate in aree diverse. Nel 2004, la certificazione varietale e sanitaria ENSE di aglio «Piacentino bianco» da seme è stata rinnovata con la nuova denominazione “Ottolini” (decreto del 9 aprile 2004), che con la varietà “Serena”, ottenuta tramite risanamento dai virus della varietà “piacentino bianco” (oggi Ottolini), costituisce l’insieme delle varietà che vengono destinate alla IGP «Aglio Bianco Piacentino». Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni Srl – Via San Gaetano, 74 - 36016 Thiene (VI) – tel. +39-044-531301,1 fax +39-0445-313070 e-mail csqa@csqa.it. Articolo 8. Etichettatura L’indicazione geografica protetta «Aglio Bianco Piacentino» deve essere immessa al consumo in confezioni conformi alla vigente normativa, ogni singola confezione o pezzo deve essere etichettata in modo tale da impedire che il contenuto possa essere utilizzato senza la rottura della stessa. L’«Aglio Bianco Piacentino» deve essere immesso al consumo con il logo distintivo della «Indicazione Geografica Protetta» apposto su ogni confezione, nel rispetto delle norme generali che regolano il commercio del prodotto. Sulle confezioni devono comparire gli elementi atti ad individuare: • nome, ragione sociale ed indirizzo del produttore e/o del condizionatore e/o del confezionatore; • la data di confezionamento ed il peso netto all'origine del prodotto confezionato; • indicazione del lotto di produzione. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi di impresa non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno l’acquirente. Oltre al logo distintivo della IGP, devono figurare sulle confezioni, la denominazione «Aglio Bianco Piacentino» e «Indicazione Geografica Protetta» e/o il suo acronimo. Il logo distintivo della IGP «Aglio Bianco Piacentino» è rappresentato da un rettangolo a sfondo bianco al cui interno ritroviamo: in posizione centrale sono raffigurate due strisce «graffiate» diagonali orientate dal basso a sinistra verso l’alto a destra, di colore verde (quella superiore) e rosso (quella inferiore) intervallate da striature di fondo bianco. A tale immagine è sovrapposta quella fotografica di una testa d’aglio della varietà « Ottolini » . Il gruppo d’immagine è sovrastato in alto dalla scritta «Aglio Bianco Piacentino» e a sinistra dall’acronimo I.G.P.. Indici colorimetrici: diagonale superiore di colore verde pantone 370 CVC ; diagonale inferiore di colore rosso pantone 185 CVC ; iscrizione «Aglio Bianco Piacentino» composta da testo in carattere AvantGarde Md Bt, di colore blu pantone 287 CVC ombreggiato in grigio pantone 424 CVC; acronimo I.G.P. composta da testo in carattere AvantGarde Md Bt, di colore giallo pantone 108 CVC ombreggiato in grigio pantone 424 CVC. Il logo deve essere riprodotto nei medesimi caratteri di stampa e nelle medesime proporzioni e colorimetria del logo di seguito illustrato: | I.G.P. Aglio Bianco Piacentino IGP-Video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=0UGUMHSDtLU[/embedyt] | Ortofrutticoli Aglio Bianco Piacentino IGP partner CO.P.A.P. Soc. Coop. Agricola R.L. Via Breda 86 - 29010 Monticelli d'Ongina (PC) - Tel: +39 0523 829456 Fax: +39 0523 820992 - E-mail: info@copap.it | Emilia-Romagna | Piacenza |
Aglio bianco Polesano Aglio Bianco Polesano DOP Disciplinare di produzione - Aglio Bianco Polesano DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta “Aglio Bianco Polesano” è riservata, all’aglio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Caratteristiche fisiche L’Aglio Bianco Polesano è una pianta con bulbi di colore bianco brillante uniforme data l’assenza di striature di altro colore, di forma regolare e compatta, leggermente appiattiti nel punto di inserimento dell’apparato radicale. Le foglie, lanceolate e strette hanno una colorazione verde/azzurra. Il bulbo deve essere di forma rotondeggiante - regolare con un leggero appiattimento della parte basale, di colore bianco lucente, ed esente da fitopatologie. Il bulbo è costituto da un numero di bulbilli variabile che risultano tra loro uniti in maniera compatta e con una caratteristica curvatura della parte esterna. I bulbilli che lo compongono devono essere perfettamente adiacenti l’uno con l’altro. Le tuniche che li avvolgono hanno colorazione rosata di varia intensità nella parte concava, bianca in quella convessa. La D.O.P. è ottenuta con l’ecotipo Bianco Polesano e la varietà Avorio. All’atto dell’immissione al consumo l’Aglio Bianco Polesano deve presentare bulbi: - sani, consistenti, puliti, in particolare privi di terra e di residui visibili di fertilizzanti o di antiparassitari; - esenti da danni da gelo o da sole, da tracce di muffa e da germogli esternamente visibili,à privi di odore o sapore estranei e di umidità esterna anormale. Lo stato del prodotto deve essere tale da consentire il trasporto e le operazioni connesse. Il prodotto dovrà avere i requisiti previsti dalle norme di qualità per le classi “Extra” e “Prima”. In particolare per la categoria: - “Extra” calibro minimo di 45 mm. - “Prima” calibro minimo di 30 mm. L’Aglio Bianco Polesano è immesso sul mercato, in trecce e treccioni, in grappoli e grappoloni, in confezioni retinate e sacchi aventi un numero di bulbi variabile. Il taglio dello stelo dev’essere netto e l’apparato radicale va asportato o completamente o in modo da lasciare le radici appena presenti con la loro parte iniziale. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento dell’Aglio Bianco Polesano comprende i seguenti comuni del Polesine, situati in provincia di Rovigo: Adria, Arquà Pol.ne, Bosaro, Canaro, Canda, Castelguglielmo, Ceregnano, Costa, Crespino, Fiesso Umbertiano, Frassinelle, Fratta, Gavello, Guarda Veneta, Lendinara, Lusia, Occhiobello, Papozze, Pettorazza, Pincara, Polesella, Pontecchio, Rovigo, S.Bellino, S.Martino di Venezze, Villadose, Villamarzana, Villanova del Ghebbo, Villanova Marchesana. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando, per ognuna, gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo preposto a tale attività, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta Rotazione colturale L’aglio bianco polesano è una coltura da rinnovo e nell’ambito della rotazione deve seguire una coltura a semina autunnale o comunque una coltura che permetta l’aratura e la preparazione del terreno entro l’epoca di semina prevista. Non può ritornare sullo stesso appezzamento prima di 3/4 anni. Il ciclo di coltivazione è annuale con semina autunno/invernale. Produzione del “seme” Caratterizzante la tecnica di produzione è l’ottenimento dei bulbilli per la semina, dato che la riproduzione avviene per via vegetativa. Infatti ogni azienda seleziona manualmente la quota di prodotto necessaria per produrre “il seme”. Qualora l’azienda agricola non sia in grado di produrre il materiale di riproduzione o quello prodotto non sia sufficiente al suo fabbisogno, può reperirlo presso altri produttori dell’area inserita nel sistema di controllo della DOP, purché accompagnato dal certificato che ne attesti l’assenza di nematodi. Le fasi per l’ottenimento del materiale da seminare prevedono: 1. la selezione manuale dei bulbi, detti “teste”, dai mazzi di aglio della partita destinata alla semina; 2. l’eliminazione manuale dei bulbilli esterni al bulbo detti “denti” o “natte”; 3. lo schiacciamento dei bulbi che può avvenire manualmente o meccanicamente; 4. l’eliminazione, mediante ventilazione ed asporto manuale, delle tuniche esterne di contenimento e dell’apparato radicale; 5. la selezione dei bulbilli detti “spigoi” ottenuti dalle operazioni precedenti. Essa può avvenire con modalità completamente manuale oppure con l’ausilio di una selezionatrice meccanica che contemporaneamente effettua anche la ventilazione. In questo caso si effettuerà una successiva selezione manuale finale dei bulbilli adatti ad essere seminati. Epoca e modalità di semina La semina deve essere effettuata dal 1 di ottobre al 31 di dicembre. Essa può avvenire manualmente, con macchine agevolatrici o essere totalmente meccanizzata con seminatrici pneumatiche. E’ ammessa la concia del seme. Il sesto di impianto (10-12 cm sulla fila e 33-40 tra le file) deve essere tale da evitare lo scalzamento delle radici durante l’inverno o una moria per asfissia radicale, ed inoltre deve consentire l’agevolazione delle operazioni colturali in particolare la sarchiatura meccanica. A tal fine il numero massimo di piante per mq. dovrà essere compreso tra le 20 e 30. La quantità di “seme” da impiegare varia a seconda della dimensione dei bulbilli, e deve essere compresa tra 750 – 1.000 Kg./ha. Concimazione ed irrigazione E’ obbligatorio predisporre un piano di concimazione che preveda l’esecuzione dell’analisi del terreno almeno una volta ogni 5 anni. Il tipo e la quantità di unità fertilizzanti da impiegare saranno correlati ai risultati dell’analisi e terranno conto dell’asporto operato dalla coltura. Nella concimazione vanno distribuiti al max 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O,. L’azoto, distribuito con più interventi o con un unico intervento se si usano concimi a lenta cessione, non deve superare i 200 kg/ha. Sono ammesse le concimazioni fogliari per l’apporto di macro e microelementi. L’eventuale somministrazione di stallatico deve avvenire sulle colture precedenti per ridurre la possibilità di sviluppo dei marciumi e per non influenzare il tipico colore bianco lucente caratterizzante l’Aglio Bianco Polesano. Qualora si effettuino irrigazioni alla coltura, andranno sospese 20 gg. prima della raccolta per permettere una migliore maturazione del bulbo e non comprometterne la successiva conservazione. Raccolta Sulla base del grado di senescenza del fogliame e della maturità fisiologica delle piante, il produttore decide il momento in cui inizia la fase di raccolta. Essa può avvenire completamente a mano, con l’ausilio di macchine agevolatrici o essere completamente meccanizzata. Dopo essere stato estirpato il prodotto deve subire una essiccazione naturale. Essa può avvenire sia in pieno campo che in azienda. Il prodotto conservato può essere venduto come DOP entro il mese di maggio dell’anno successivo alla raccolta, previa frigo – conservazione. La produzione di aglio polesano DOP dovrà essere al massimo di 14 ton. ad ettaro di prodotto secco. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico Fattore pedoclimatico La tipologia dei terreni, il clima temperato e asciutto e la diffusa presenza di aziende a conduzione familiare ha fatto sì che negli anni l’aglio assumesse importanza per il territorio. L’area interessata è caratterizzata dalla presenza di suoli fertili, frutto delle numerose inondazioni ed esondazioni avutesi nei secoli, dei due fiumi che la delimitano a sud ed a nord, ovvero il Po e l’Adige. L’opera dei suddetti fiumi ha portato alla creazione di suoli di medio impasto, argilloso/limosi, ben drenati, porosi e fertili che ben si addicono ad una produzione di pregio qual è l’Aglio Bianco Polesano. Vi è anche un fondamento geomorfologico comprovato alla base delle caratteristiche chimiche dei terreni dei Comuni elencati all’art. 3 delle quali va evidenziata la buona dotazione di fosforo e potassio scambiabili, che influenzano la conservabilità e nel caso del potassio il tipico colore bianco del prodotto. La presenza di Ca e Mg contribuisce al miglioramento qualitativo dei bulbi. Si può perciò ritenere che la naturale dotazione di determinati elementi e microelementi, dei terreni dell’area individuata fa di essi un ottimale substrato per la coltura dell’aglio bianco polesano. Fattore umano Esso va ad aggiungersi alle potenzialità dei terreni con due elementi: 1. la capacità, affinata con gli anni e trasmessa da padre in figlio, di selezionare a mano i bulbi “teste” migliori da cui ricavare il materiale da seminare “ trattenuto dalla coltura precedente o acquistato sul posto con la sola cura che esso sia grosso e sano.” S. Zennaro 1949; 2. le particolari lavorazioni eseguite a mano: la treccia detta “resta”, il treccione, il grappolo, il grappolone, fanno sì che tale coltura sia intrinsecamente connessa con il territorio, le sue tradizioni e la sua storia “.....Prima della vendita l’aglio subisce una leggera trasformazione che consiste nel riunire insieme 30-32 bulbi secchi in una specie di intreccio, detto resta nel dialetto polesano, naturalmente questa trasformazione ne aumenta il prezzo unitario......” S. Zennaro 1949. Fattore storico/economico Storicamente i primi accenni di tale coltura risalgono ai Romani, (la cui presenza risale al periodo compreso tra il I e V secolo d.C.) ai Fenici, Etruschi ed ai Celti. Gli interventi di centuriazione e bonifica operati dai Romani hanno fortemente influito sulla conformazione e assetto idrogeologico del territorio. Il Peretto R. nella sua relazione sulle strade e bonifiche nell’antico territorio di Adria, ne “La Centuriazione dell’Agro di Adria”, parlando dell’agro centuriato dice: <<Il grande disegno centuriato, che interessa per oltre 200 kmq l’area a nord-ovest di Adria e che da Rovigo si porta …..>>. A contribuire al legame con l’ambiente geografico troviamo, ancora nella pubblicazione “La Centuriazione dell’Agro di Adria” una relazione di Enrico Maragno trattante dell’attività dei coloni nell’Agro centuriato nella quale Egli richiama le Georgiche di Virgilio ove vi è la descrizione delle colture più diffuse tra le altre quella dell’aglio. Avvicinandoci al Medioevo, F.A. Bocchi scrive nei suoi “Annali Pollicinensi”, ne l’Ordinamento interni di Rovigo e Polesine durante il secolo terzodecimo: <<..Era obbligo imposto agli abitanti di Rovigo e del Comitato avente casa propria….inserire seu incalzare in broglio vel orto vel alio loco bono…>>. Avvicinandoci ai tempi nostri troviamo le prime descrizioni della sua coltivazione in pubblicazioni del XVI secolo,: Accademia dei Concordi Rovigo,: <<...Le campagne di Rovigo producono soprattutto frumento, granoturco, barbabietole da zucchero ed uva........ Notevole importanza per la zona di Selva assumono gli erbai, i prati avvicendati, le patate e l’aglio...>>. La zona di Selva comprende gli attuali Comuni di Pontecchio, Crespino, Ceregnano. Nel 1949 S. Zennaro scrive “…L’aglio è una coltura industriale che nel decennio precedente l’ultima guerra………ha acquistato una importanza notevole ed è entrata decisamente a far parte del tipico ordinamento colturale della zona.” Attorno a tale prodotto si creò infatti un’attività di commercio tale da far sì che la piazza di Rovigo, nei secoli, fosse punto di riferimento. L’aglio polesano è diventato negli anni sempre più un elemento di sviluppo economico tale da essere definito l’oro bianco del Polesine. Articolo 7. Struttura di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione é svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito all’articolo 10 del regolamento CEE 2081/82. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura La presentazione deve avvenire come di seguito riportato: Imballaggi I contenitori usati come imballaggio devono essere chiusi in modo tale che il contenuto non possa essere estratto senza la rottura della confezione. Il materiale dell’imballaggio e le dimensioni saranno quelli che il commercio richiede e la normativa permette. I grappoloni ed i treccioni vengono messi in vendita, date le dimensioni, senza l’utilizzo di un imballaggio di contenimento. Le altre tipologie di lavorazione vengono invece commercializzate in imballi di legno plastica, cartone o altro materiale idoneo. Ogni singolo pezzo (grappolo o treccia) deve essere accompagnato da un cartellino riportante la denominazione con la scritta DOP ed il nome del produttore. Inoltre la porzione terminale del pezzo rimasta deve essere avvolta da nastro adesivo riportante il logo identificativo della DOP. Ciascun imballaggio deve recare, in caratteri raggruppati sullo stesso lato, leggibili, indelebili, le indicazioni che consentano l’identificazione dell’imballatore o speditore. Sui contenitori dovrà inoltre essere indicata la denominazione “Aglio Bianco Polesano” e denominazione di origine protetta in caratteri superiori a qualunque altra indicazione presente sulla confezione. Il logo Il logo distintivo è formato da un’ovale nel quale è inserita una planimetria stilizzata del Polesine di colore verde su sfondo azzurro. Nella planimetria, sono evidenziati i due confini naturali del Polesine, l’Adige e il Po di colore azzurro. Sopra la planimetria stilizzata campeggia la scritta “DOP” che richiama il tricolore della bandiera Italiana (la D verde, la P rossa e la lettera“O” bianca, che prende la forma dell’aglio). Attorno all’ovale si distribuisce la scritta “Aglio Bianco Polesano - Denominazione D’Origine Protetta” di colore azzurro con carattere Trebuchet MS Bold Italic e Italic (grassetto obliquo e obliquo). Possono esistere della varianti alla forma a colori: monocromatico e in scala di grigi. Una minima area di spazio bianco di 5 mm, deve circondare il logo in ogni situazione. Il logo (compresa la scritta aglio bianco polesano), non deve mai essere riprodotto in misure minori di 20 mm di larghezza. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Rovigo |
Aglio di Voghiera Aglio di Voghiera DOP Disciplinare di produzione - Aglio di Voghiera DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta "Aglio di Voghiera" e' riservata all'aglio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La DOP "Aglio di Voghiera " e' ottenuta con l'ecotipo Aglio di Voghiera. L'aglio di Voghiera e' una pianta con bulbi di colore bianco luminoso e uniforme, raramente striato di rosa. Le tuniche che avvolgono i bulbilli hanno colorazione bianca a volte striata di colore rosa piu' o meno intenso. La forma del bulbo dell'aglio di Voghiera e' rotondeggiante, regolare e compatta, e' leggermente appiattita nel punto di inserimento dell'apparato radicale. Il bulbo e' costituto da un numero di bulbilli variabile che risultano tra loro uniti in maniera compatta e con una caratteristica curvatura della parte esterna. I bulbilli che compongono il bulbo devono essere perfettamente adiacenti l'uno con l'altro. All'atto dell'immissione al consumo l'aglio di Voghiera deve presentare: bulbi sani senza marciumi; esenti da parassiti; puliti, privi di sostanze estranee visibili; compatti; esenti da danni provocati dal gelo o dal sole; esenti da germogli esternamente visibili; privi di umidita' esterna anormale; privi di odore e/o sapore estranei. Puo' ottenere il riconoscimento aglio di Voghiera D.O.P. solo l'aglio che presenta i requisiti previsti dalle norme di qualita', appartenente alle categorie "Extra" e "Prima". In particolare per la categoria: "Extra" calibro minimo di 45 mm; "Prima" categoria calibro min. 40 mm. (Il calibro e' determinato dal diametro massimo della sezione equatoriale). L'aglio di Voghiera e' immesso al mercato nelle seguenti tipologie: Aglio fresco/verde: presenta lo stelo verde e la tunica esterna del bulbo ancora allo stato fresco; il bulbo si presenta esternamente di colore bianco e bianco avorio e puo' presentare una striatura di colore rosato; lo stelo di colore verde e' rigido al colletto; le radici sono di colore biancastro. Aglio semisecco: presenta lo stelo e la tunica esterna del bulbo non completamente secchi; il bulbo esternamente e' di colore bianco e bianco avorio e puo' presentare una striatura rosata; lo stelo da color verde vira al colore biancastro assumendo al colletto una minore consistenza; le radici sono di colore biancastro. Aglio secco: presenta lo stelo e la tunica esterna del bulbo nonche' la tunica che avvolge ciascun bulbillo completamente secchi; il bulbo si presenta esternamente di colore bianco e sono evidenti i bulbilli; lo stelo di colore biancastro e' di consistenza piu' fragile; le radici sono colore avorio. Articolo 3. Zona di produzione L'aglio di Voghiera viene coltivato nei territori del comune di Voghiera, di Masi Torello, Portomaggiore, Argenta e Ferrara. Tutti i comuni citati sono in provincia di Ferrara. Il territorio e' delimitato a nord dalla via Pomposa - Strada Provinciale 15, dalla via Ponte Asse verso sud sino alla localita' Borgo Sant'Anna, proseguendo per Gambulaga, Sandolo sino a raggiungere la Strada Provinciale 68. In direzione sud si raggiunge il paese di Portomaggiore, lasciata la S.P. 68 si prosegue per la localita' Ripapersico sino a raggiungere la Strada Provinciale 65, di qui procedere verso sud in direzione Consandolo. Prima del tracciato ferroviario svoltare a destra verso ovest in direzione Ospital Monacale. Il territorio ora e' delineato dalla Strada Provinciale 65 che scorre verso nord passando per i paesi di : S. Nicolo', Marrara, Monestirolo, Gaibana, Gaibanella. Lasciata la Strada 65, in direzione nord-est il confine dell'area designata e' delineato dalla via Palmirano verso le localita' Palmirano, Cona, Codrea sino a raggiungere il punto di partenza del tracciato sulla via Pomposa - Strada Provinciale 15. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando, per ognuna, gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei condizionatori, nonche' attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantita' prodotte, e' garantita la tracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo preposto a tale attivita', secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Tecniche di produzione e raccolta Rotazione colturale. L'aglio di Voghiera e' una coltura da rinnovo. La rotazione deve essere almeno di quattro anni con colture cerealicole o proteologinose. La preparazione del terreno avviene con aratura alla profondita' da cm 40 a cm 50; l'aratura estiva deve essere seguita da una successiva fresatura, seguita poi da una concimazione; il terreno deve apparire livellato, ben frantumato per consentire un adeguato scolo delle acque. Il ciclo di coltivazione e' annuale con semina in autunno. Produzione del "seme". La riproduzione del bulbillo avviene per via vegetativa, esso deve essere privo di patogeni e di qualsiasi microferita, deve provenire da un bulbo dell'anno in cui sono ben evidenti i bulbilli. Il bulbo prima della sgranatura deve essere scaldato con termoconvettore di aria calda, dai 25°C ai 35°C, per un periodo da 8 a 10 ore, al fine di eliminare l'umidita' da un 5% ad un 10%. Il bulbillo deve presentare uniformita' di pezzatura e di colore ed essere turgido e carnoso. Ogni azienda seleziona manualmente la quota di prodotto necessaria per produrre "il seme". Qualora l'azienda agricola non sia in grado di produrre il materiale di riproduzione o quello prodotto non sia sufficiente al suo fabbisogno, puo' reperirlo presso altri produttori dell'area della DOP. Le fasi per l'ottenimento del materiale da seminare prevedono: A. la selezione manuale dei bulbi, detti "teste", dai mazzi di aglio della partita destinata alla semina; B. l'eliminazione manuale dei bulbilli esterni al bulbo detti"denti"; C. lo schiacciamento dei bulbi che puo' avvenire manualmente o meccanicamente; D. l'eliminazione, mediante ventilazione ed asporto manuale, delle tuniche esterne di contenimento e dell'apparato radicale; E. la selezione dei bulbilli ottenuti dalle operazioni precedenti puo' avvenire con modalita' completamente manuale oppure con l'ausilio di una selezionatrice meccanica che contemporaneamente effettua anche la ventilazione. In questo caso si effettuera' una successiva selezione manuale finale dei bulbilli adatti ad essere seminati. Epoca e modalita' di semina. Distanza e profondita' di semina: la semina avviene dal 15 settembre al 30 novembre. Profondita' minima dei bulbilli 6 cm. Distanze fra le file: da minimo 20 cm a massimo 50 cm e sulla fila minimo 8 cm. La posizione delle piantine deve essere tale da evitare lo scalzamento delle radici durante l'inverno o una moria per asfissia radicale, ed inoltre deve consentire l'agevolazione delle operazioni colturali in particolare la sarchiatura meccanica. La semina puo' avvenire manualmente, con macchine agevolatrici o essere totalmente meccanizzata con seminatrici pneumatiche. E' ammessa la concia del seme. La quantita' di "seme" da impiegare varia a seconda della dimensione dei bulbilli, ed e' compresa fra 600 e 1300 kg/ettaro. Concimazione ed irrigazione. Nella concimazione vanno distribuiti al max 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O. L'azoto, distribuito con piu' interventi o con un unico intervento se si usano concimi a lenta cessione, non deve superare i 150 kg/ha. Sono ammesse le concimazioni fogliari per l'apporto di macro e microelementi. La distribuzione dell'acqua irrigua deve essere uniforme, non deve provocare ristagno idrico in campo; si eseguono da 1 a 3 irrigazioni per aspersione, con un apporto massimo per ciascun intervento di 300-350 m3/ha di acqua. E' fondamentale apportare acqua nella fase dell'ingrossamento del bulbo quando la piovosita' e' scarsa e insufficiente (inferiore a 40 mm di pioggia ogni quindici giorni). Nel caso in cui si effettuano irrigazioni alla coltura, queste andranno sospese quindici giorni prima della raccolta per permettere una migliore maturazione del bulbo e non compromettere la sua successiva conservazione. Raccolta. L'estirpazione dell'aglio di Voghiera avviene dal 10 giugno sino al 31 luglio in funzione della destinazione sul mercato come aglio di Voghiera "verde/fresco", "semisecco" o "secco". L'estirpazione puo' avvenire completamente a mano, con l'ausilio di macchine agevolatrici o essere completamente meccanizzata. Aglio verde/fresco si intende quello immesso al consumo dal giorno dell'estirpazione al quinto giorno dall'estirpazione stessa; Aglio semisecco si intende quello immesso al consumo tra il sesto e il decimo giorno dall'estirpazione; Aglio secco si intende quello immesso al mercato dall'undicesimo giorno dopo l'estirpazione. Al momento dell'estirpazione la produzione massima di aglio di Voghiera e' di 20 t/ha. Dopo essere stato estirpato il prodotto deve subire una essiccazione naturale. Essa puo' avvenire in tre modi: 1. in pieno campo, per un periodo che va da cinque a dieci giorni; 2. in azienda per un periodo da dieci a quaranta giorni; l'aglio e' disposto su bancali di legno per favorire il ricircolo dell'aria; durante la notte l'aglio e' posto al riparo dall'umidita', o sotto tettoie o coperto con appositi teli di nylon; 3. in atmosfera controllata, in camere isolate per un periodo da ventiquattro a trentasei ore, ad una temperatura da 25°C a 35°C. Le operazioni di produzione e condizionamento devono avvenire necessariamente nell'ambito della zona di produzione delimitata all'art. 3 per impedire che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano provocare la rottura delle teste e soprattutto la frammentazione delle cuticole generando il rischio di muffe e deterioramento del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente Le caratteristiche dell'aglio di Voghiera derivano dal forte legame con l'ambiente oltre che da fattori umani. Le caratteristiche tipiche del prodotto: bulbo rotondeggiante regolare, leggermente appiattito nel punto in cui si inserisce l'apparato radicale, costituto da bulbilli uniti in forma compatta con una caratteristica curvatura della parte esterna sono da attribuire ai terreni dove e' coltivato il prodotto. Dai terreni argillosi, argilloso-limosi, franco limosi, dalla presenza di sabbie di origine fluviale, che favoriscono il drenaggio sotterraneo delle acque deriva la serbevolezza dei bulbi, il loro alto accrescimento e soprattutto quella forma regolare e compatta che li caratterizzano. La composizione chimica, che e' un perfetto equilibrio tra enzimi, vitamine, sali minerali, flavonoidi e composti solforati che conferisce una specifica identita' genetica all'aglio di Voghiera, e' da attribuire alla riproduzione dei bulbilli da semina per via vegetativa cioe' utilizzando i bulbilli provenienti da un bulbo dell'anno, nell'area designata per la DOP, ogni anno selezionati e scelti fra i migliori. Tra i fattori pedoclimatici che contribuiscono a rendere speciale questo aglio di Voghiera rientra certamente anche il clima che e' quello tipico della Pianura Padana Ferrarese temperato e asciutto. Ultimo, ma certo non il meno importante, e' il fattore umano. Sono i produttori, infatti che curano da sempre con particolare attenzione le tecniche di irrigazione durante il periodo di semina e di raccolta; che, con capacita' affinata con gli anni e trasmessa da padre in figlio, selezionano a mano dalla coltura precedente i bulbi"teste" migliori da cui ricavare il materiale da seme avendo cura che esso sia grosso e sano, che, con eccellente maestria preparano e lavorano i bulbi preparando a mano mazzi, trecce, treccine e bulbi singoli; sono sempre i produttori che di anno in anno hanno tramandato ricette impreziosite dalla presenza dell'aglio di Voghiera. Le testimonianze archeologiche recenti e passate dell'antica Voghenza, confermano il ruolo predominante che questo centro ebbe per il delta padano, sino almeno al VII secolo dopo Cristo, caratterizzandosi come centro amministrativo imperiale, sede dei funzionari del fisco e degli amministratori dei saltus, una sorta di dogana da cui partivano attraverso il Po le merci destinate al nord-est dell'impero, verso gli empori di Adria ed Aquileia, oppure verso sud, con facili collegamenti endolagunari e stradali con il porto di Ravenna, sede della flotta pretoria per tutto l'est dell'impero cosi' come Capo Miseno lo era per tutto l'ovest. Al termine dell'esperienza altomedievale furono gli Estensi, i signori di Ferrara, a rilanciare il territorio di Voghiera. Il demanio estense incentivo' tutte le coltivazioni possibili nelle terre della zona e le cronache parlano anche di coltivazioni molto intense e particolari nelle numerose serre che dovevano fornire prodotti tutto l'anno. Una particolare attenzione era riservata alle piante da orto, come insalate, erbe e piante aromatiche (usate in larghissima misura per attenuare i non sempre freschi sapori delle carni) e soprattutto aglio. Dalla partenza degli Estensi, nel 1598, le esperienze espletate nel campo agricolo, non andarono affatto perdute in quanto tutte le coltivazioni della zona proseguirono sotto l'egida di altri illustri proprietari che avevano ben individuato le valenze di queste fertili terre che erano lungo il corso dell'antico Po, terre che avevano quelle doti e qualita' che le qualificano tra le migliori del territorio ferrarese e che consentono ancora oggi la coltivazione di produzioni a forte specializzazione come l'aglio. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformita' del prodotto al disciplinare e' svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito agli articoli 10 e 11 del regolamento CE n. 510/2006. Articolo 8. Etichettatura L'aglio di Voghiera viene immesso al consumo nelle seguenti tipologie: treccia: bulbi di prima categoria da min. 5 a max 18 bulbi, peso compreso fra 400 g. e 900 g.; treccia extra: bulbi di categoria extra, da min. 8 a max 80 bulbi; peso compreso fra 1 kg. e 5 kg. I bulbi di queste due lavorazioni devono essere intrecciati con il loro stesso stelo e legati con spago, rafia o altro materiale idoneo. Il prodotto cosi' confezionato e' inserito in una rete color bianco identificato con una etichetta che riporta il logo della D.O.P. Retino: bulbi in numero variabile; peso compreso tra 100 g. e 500 g. I bulbi sono posti in singoli sacchetti di rete color bianco o in altri contenitori di materiale consentito dalle vigenti norme. Sulla singola confezione va apposto il logo della D.O.P. Sacchi: bulbi in un numero variabile; peso compreso tra 1 e 30 kg. Vanno utilizzati sacchi di colore bianco; ognuno di essi deve riportare il logo della D.O.P. Treccina: bulbi da un min. di 3 a un max di 5; peso compreso fra un min. di 150 g. e un max. 500 g. I bulbi devono essere intrecciati con il loro stesso stelo e legati con spago, rafia o altro materiale idoneo. Il prodotto cosi' confezionato riporta su ogni bulbo un bollino adesivo con il logo della D.O.P. Bulbo singolo: peso compreso fra un min. di 50 g. e un max di 100 g. I bulbi hanno lo stelo reciso e devono avere le radici recise completamente oppure di pochi millimetri. Ogni bulbo riporta il bollino adesivo con il logo della D.O.P. Su ogni confezione deve essere apposta un'etichetta riportante la denominazione "Aglio di Voghiera" con la scritta D.O.P., il logo comunitario ed il nome del produttore. Imballaggi Le confezioni sopra descritte vengono immesse al consumo anche in imballi di legno, plastica, cartone, carta e materiali vegetali naturali, del peso compreso da 5 a 15 kg. I contenitori usati come imballaggio devono essere chiusi in modo tale che il contenuto non possa essere estratto senza la rottura della confezione. Ciascun imballaggio deve recare, in scritte raggruppate sullo stesso lato, leggibili e indelebili, le indicazioni che consentano di identificare l'imballatore o lo speditore. Sugli imballaggi dovra' inoltre essere indicata la denominazione "Aglio di Voghiera" e denominazione di origine protetta D.O.P. in caratteri superiori a qualunque altra indicazione presente sull'imballaggio e il logo comunitario. Il logo Il logo distintivo, di forma circolare di color azzurro chiaro e' formato da una figura che rappresenta meta' spicchio di Aglio tagliato nella parte centrale dalla lettera V. Lo spicchio e' di base gialla con striature di retino piu' scuro. Nel cerchio, in posizione obliqua vi e' la scritta color nero Aglio Voghiera. In alto, sempre inclusa nel cerchio appare la dicitura, color nero D.O.P. Solo per forme pubblicitarie puo' essere usata una versione in bianco e nero, in quel caso il logo circolare e' circoscritto da una linea nera. Il logo, quando stampato su etichetta, deve essere riprodotto in misura di 1/3 rispetto alla dimensione totale dell'etichetta. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione e' utilizzata la D.O.P. aglio di Voghiera, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: 1. il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; 2. gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprieta' intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. aglio di Voghiera riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso consorzio incaricato provvedera' anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAAF in quanto autorita' nazionale preposta all'attuazione del regolamento CE n. 510/2006. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Ferrara |
Amarene Brusche di Modena Igp Amarene Brusche di Modena IGP Disciplinare di produzione - Amarene Brusche di Modena IGPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» è riservata esclusivamente alla confettura che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Materia prima. La materia prima è costituita dai frutti di ciliegio acido, appartenenti a popolazioni di biotipi identificabili con i gruppi di amarene propriamente dette, oltre che di marasche, visciole e relativi incroci. Tali frutti devono provenire da piantagioni composte in tutto o in parte, comunque in misura non inferiore al 70%, dalle seguenti varietà: Amarena di Castelvetro, Amarena di Vignola dal peduncolo corto, Amarena di Vignola dal peduncolo lungo, Amarena di Montagna, Amarena di Salvaterra, Marasca di Vigo, Meteor, Mountmorency, Pandy. Caratteristiche del prodotto al consumo. Al momento dell'immissione al consumo il prodotto deve avere le seguenti caratteristiche: materia prima come sopra descritta al punto 2.1 (frutta utilizzata minimo gr 150 per 100 gr di prodotto finito), zuccheri totali (58-68%). Non sono ammessi né coloranti, né conservanti, né addensanti. Caratteristiche chimico-fisiche: aspetto esteriore: consistenza morbida, caratteristico colore rosso bruno intenso con riflessi scuri; rifrazione a 20° C: 58-68 brix (con tolleranza +/- 2); pH: 3 (con tolleranza +/-0,5); acidità (espressa in acido citrico): " 3 (con tolleranza +/- 0,5). Caratteristiche organolettiche: sapore caratteristico della confettura di frutta in buon equilibrio fra il dolce e l'asprigno con sensazione di acidità. Articolo 3. Zona di produzione, condizionamento e trasformazione La zona di produzione, condizionamento e trasformazione della confettura a denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» è rappresentata esclusivamente dall'intero territorio amministrativo della provincia di Modena e dal territorio limitrofo della provincia di Bologna, limitatamente ai seguenti comuni: Anzola nell'Emilia, Bazzano, Castel d'Aiano, Castello di Serravalle, Crespellano, Crevalcore, Monte S. Pietro, Monteveglio, San Giovanni in Persiceto, Sant'Agata Bolognese, Savigno, Vergato, come individuati dalla cartografia allegata. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine del prodotto L'origine delle «Amarene brusche di Modena - Marene» è attestata da una storia plurisecolare. Nel modenese il ciliegioè tradizionalmente presente, di solito accorpato in pochi esemplari, presso i casolari di campagna. Di ciò è, tra gli altri, testimone fin dal 1820 il grande botanico Giorgio Gallesio (cfr. il manoscritto «I giornali dei viaggi» stampato a Firenze nel 1995). Il primo esperimento di coltivazione intensiva della pianta viene attuato nel 1882 da un avvocato, Luigi Mancini, nel suo podere «La Colombarina» presso Vignola (v. G. Silingardi «I pionieri dell'economia modenese» in Bollettino della CCIAA di Modena, 1963). La specifica vocazione del territorio favorì lo sviluppo della cerasicoltura su larga scala, sempre alla fine dell'800, come alternativa ai disastri provocati dalla fillossera della vite e dalla crisi della bachicoltura. I maggiori volumi di produzione non trovarono ostacoli ad una pronta collocazione sul mercato, sia in Italia che all'estero (v. Bollettini della CCIAA di Modena). In tale contesto, le ciliegie brusche ebbero subito particolare fortuna anche nella trasformazione, sulla base di una tradizione secolare che affonda salde radici fin nel Rinascimento (Nannini «La gastronomia alla corte di Modena nei secoli XVI e XVII» in Archivio comunale di Modena). Nel 1662 è attestata una ricetta di confettura di ciliegia acida nel libro «L'arte di ben cucinare et istruire» di Bartolomeo Stefani, ma anche nei secoli successivi non mancano preziose testimonianze di una attività profondamente legata al territorio. Ne sono la prova due manoscritti modenesi dell'800 – il primo costituito da quattro quaderni compilati da quattro generazioni di padrone di casa di estrazione borghese e pubblicato nel 1970 (Tripi «Centonovantadue ricette dell'800 padano») e il secondo redatto da Ferdinando Cavazzoni, credenziere di Casa Molza, e pubblicato nel 2001 (Ronzoni «Un libro di cucina modenese dell'ottocento») - che riportano modalità di preparazione della confettura molto vicine alla ricetta moderna. Su questi presupposti, il passaggio dalle case di abitazione ai laboratori artigiani e alle piccole e medie aziende non poteva che essere breve. Gli stabilimenti privati, pur utilizzando tecnologie più avanzate, riuscirono tuttavia a mantenere sostanzialmente invariati i principi di base della produzione. Essi vennero avviati nel decennio 1915-25 e alcuni, tuttora in attività, rappresentano la continuità storica di una delle più tipiche tradizioni modenesi. L'origine del prodotto è garantita, inoltre, da un sistema di tracciabilità fondato sulla iscrizione dei produttori, dei condizionatori e dei trasformatori in un apposito elenco tenuto dall'organismo di controllo di cui all'art. 7. Articolo 5. Metodo di ottenimento Metodo di coltivazione, raccolta e stoccaggio. Le condizioni ambientali e di coltura dei frutteti destinati alla produzione della confettura a denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire al prodotto le specifiche caratteristiche. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli di norma usati nella zona di produzione, e cioè tali da garantire una illuminazione e arieggiamento dell'intera chioma dell'albero. In particolare, la distanza lungo la fila e quella tra le file non devono essere inferiori ai quattro metri, mentre le forme di allevamento devono essere a vaso o a fusetto, e loro varianti anche irregolari. La coltivazione non richiede interventi particolari sotto il profilo della concimazione e della difesa fitosanitaria. È praticato l'inerbimento naturale nell'interfilare mentre sulla fila si opera con il diserbo chimico o pacciamatura per evitare danneggiamenti alle piante che hanno spiccata attitudine ai polloni. È consentita l'irrigazione di soccorso. È vietata, comunque, ogni pratica di forzatura. La raccolta viene effettuata nel periodo compreso dal 20 maggio al 31 luglio. Per evitare la possibilità di danneggiamento parziale dei frutti, qualora il prodotto sia raccolto meccanicamente, la consegna all'impianto di trasformazione deve essere effettuata entro ventiquattro ore dalla raccolta. Al fine di mantenere le caratteristiche qualitative dei frutti ed evitare l'insorgere di fermentazioni è necessario tenere sotto controllo la temperatura mediante processo di raffreddamento esterno da avviarsi entro due ore dalla raccolta. Il raffreddamento può avvenire attraverso la semplice immersione nei«bins» di acqua e di ghiaccio ovvero di sola acqua avente una temperatura non superiore ai 15°C, come pure attraverso l'utilizzo di stazioni mobili di raffreddamento o di celle frigorifere presso i centri di raccolta che assicurino una temperatura variabile tra i 5° e i 15°C. Metodo di lavorazione. Nella preparazione ed elaborazione della confettura a denominazione protetta «Amarene brusche di Modena - Marene», al fine di conferire al prodotto le sue peculiari caratteristiche, sono ammesse soltanto le pratiche di trasformazione tradizionali, riconducibili alla metodologia della concentrazione per evaporazione termica del frutto. Al momento della trasformazione il prodotto deve essere maturo, deve cioè presentare una colorazione uniforme su almeno il 90% dei frutti. La lavorazione inizia con l'inserimento dei frutti in una passatrice o denocciolatrice, dove questi vengono denocciolati e privati dei piccioli. Succo e frutta vengono quindi avviati al concentratore, dove si aggiunge zucchero saccarosio in percentuale non superiore al 35% in peso del prodotto e dove si predispone e si mantiene per almeno 30 minuti una temperatura compresa fra 60° e 80°C allo scopo di sciogliere lo zucchero. Non è ammessa l'aggiunta di zuccheri diversi dal saccarosio. È consentito l'utilizzo di acido citrico come correttore di acidità. La concentrazione per evaporazione può avvenire, oltre che con il metodo classico del fuoco diretto a vaso aperto, anche sottovuoto. Questo secondo metodo è basato su di una depressione interna al concentratore e quindi su di una bollitura a temperatura inferiore (tra i 60° e i 70°C), cosa che permette una riduzione dei tempi di lavorazione. Confezionamento. Al fine di salvaguardare la qualità del prodotto e garantirne il controllo e la tracciabilità, il confezionamento deve avvenire nella zona di produzione, condizionamento e trasformazione indicate all'art. 3. Il prodotto viene confezionato e posto in commercio in idonei contenitori di vetro o di banda stagnata aventi le seguenti capacità: 15 ml, 41 ml, 212 ml, 228 ml, 236 ml, 314 ml, 370 ml, 720 ml, 2650 ml, 5000 ml. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente Gli elementi che comprovano il legame con l'ambiente sono rappresentati da: il clima tendenzialmente subumido che caratterizza la zona di produzione e che, secondo la letteratura scientifica (V.M. Longstroth e R.L. Perry), per talune sue caratteristiche - come la distribuzione costante delle precipitazioni, con moderata eccedenza nel periodo invernale e moderata deficienza nel periodo estivo, e la temperatura, con periodi invernali non eccessivamente rigidi e periodi estivi mediamente temperati - influisce positivamente sulla coltivazione della pianta; i fattori pedologici, consistenti nella diffusa presenza di suoli ben strutturati con discreta porosità e permeabilità e con una sostanziale conformazione di tipo franco limoso, che risultano particolarmente adatti alla coltivazione della pianta (V. Provincia di Modena «Indagine sui suoli», 1963); i fattori sociali evidenziati dall'usanza, attestata dal Gallesio fin dai primi anni dell'800, di contornare i casolari di campagna di quattro o cinque piante di amarene allo scopo di fare sciroppi, conserve, confetture, budini e torte, nonché dalla esistenza di una consolidata tradizione di attività di preparazione del prodotto a livello famigliare; i fattori economici rilevabili dalla diffusione sul territorio, a partire dagli inizi del secolo scorso, di numerose aziende di produzione, di centri di raccolta e frigoconservazione, nonché di laboratori artigianali e di piccole e medie aziende di trasformazione; i fattori produttivi evidenziati dalla persistenza nel territorio lungo i secoli di un sistema di produzione della confettura basato, pur nella inevitabile evoluzione tecnologica, sulla concentrazione per evaporazione termica del frutto; i fattori umani consistenti nella persistenza nel tempo di quel particolare «saper fare», che è legato alla necessità della rapida trasformazione di un frutto di ridotta conservabilità e che ha dato vita a un prodotto rinomato e apprezzato principalmente per la naturalità del processo produttivo, senza l'impiego di addensanti coloranti o conservanti, e l'alto contenuto di frutta rispetto allo zucchero immesso; i fattori gastronomici, quali le numerose ricette che nel tempo testimoniano l'utilizzo del prodotto nella preparazione di dolci tipici del territorio sia a livello famigliare che artigianale, dalle più antiche - contenute in particolare ne «L'arte di ben cucinare et istruire» di Bartolomeo Stefani del 1662, nel manoscritto noto come«Centonovantadue ricette dell'800 padano» del 1860 e nel ricettario di Ferdinando Cavazzoni, credenziere di Casa Molza, pure del 1860 - fino alle più recenti, nelle quali si suggerisce l'impiego della confettura specialmente per fare crostate casalinghe. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE 2081/1992. Articolo 8. Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente in etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relativa menzione (in conformità alle prescrizioni del regolamento CE 1726/1998 e successive modificazioni) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori indicazioni: «Amarene brusche di Modena - Marene» seguita, per esteso o in sigla (DOP), dalla espressione traducibile denominazione di origine protetta; il nome, la ragione sociale, l'indirizzo dell'azienda produttrice e confezionatrice; il logo del prodotto, consistente come da riproduzione sotto riportata, in una figura formata da una A graziata in carattere tipografico times e in colore verde scuro (pantone n. 363) nella quale la lineetta mediana è sostituita da una amarena in colore rosso (pantone n. 1788) con gambo e foglia. Il gambo del frutto è nella sua lunghezza in colore verde chiaro (pantone n. 382) e all'apice in colore rosso (pantone n. 1788), mentre la foglia, che si confonde parzialmente con la lettera A, è in colore verde scuro nella parte superiore (pantone n. 363) e in colore verde chiaro nella parte inferiore (pantone n. 382). La figura è inscritta in un quadrato di mm 74x 74. Nello spazio sottostanteè riprodotta la scritta in colore nero AMARENE BRUSCHE DI MODENA - MARENE D.O.P. riportata in carattere tipografico novarese medium in tre righe occupanti uno spazio misurato in linea orizzontale rispettivamente di mm. 106, 61, 30 e di altezza mm 7, fra loro distanziate di mm 4. Si omette logo. Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, nonché l'indicazione del nome dell'azienda coltivatrice. Il produttore ha facoltà di indicare in etichetta i riferimenti alla varietà della pianta da cui proviene il frutto, l'annata di produzione, nonché il metodo di trasformazione impiegato. La designazione «Amarene brusche di Modena - Marene» è intraducibile. Articolo 9. Utilizzo della denominazione di origine protetta per i prodotti derivati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la D.O.P. «Amarene brusche di Modena - Marene», anche a seguito di processi di elaborazione e trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle politiche agricole e forestali in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del regolamento CEE 2081/1992. L'utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Modena, Bologna |
Anguria Reggiana Anguria Reggiana IGP Disciplinare di produzione - Anguria Reggiana IGPArticolo 1.
Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L’Indicazione geografica protetta "Anguria Reggiana" designa i frutti della specie botanica Citrullus lanatus allo stato fresco prodotti nella zona descritta nel successivo articolo 3, delle seguenti tipologie:
La caratteristica che identifica l’”Anguria Reggiana” è il sapore, particolarmente dolce, della polpa, legato al tenore zuccherino maggiore di 11° Brix per la tipologia Ashai Mijako e 12° Brix per le tipologie Crimson e Sentinel. Per tutte le tipologie, al momento dell’immissione al consumo i frutti devono essere:
- sulla buccia può essere presente una zona di colore più chiaro nella parte che è rimasta a contatto con il suolo durante la crescita. Di seguito sono riportate le caratteristiche qualitative in relazione alle diverse tipologie di frutto: Articolo 3.
L’area è così delimitata: a nord, partendo dalla località Tagliata di Guastalla, il confine percorre la SP62R sull'argine maestro del fiume Po (seguendo il percorso dell’ex SS62) sino all’intersezione con la sp41 che prosegue sempre sull'argine fino alla località Coenzo a Mane; da qui verso sud si segue l’argine del fiume Enza sino a all’intersezione dell’autostrada A1; il confine meridionale segue l’autostrada A1 e prosegue poi a sud sulla SP 113 e la via Emilia (SS9), sino a Rubiera; da qui prosegue a nord sulla SP 46 ed in localita Ca Ferrarini prosegue lungo il confine amministrativo della provincia di Reggio Emilia sino all’intersezione con la SP 44 sulla quale prosegue sino alla SP46 dove prosegue sino alla località Ranaro di Reggiolo; di qui segue la SP 43 e la SP2 sino a raggiungere di nuovo la località Tagliata. Articolo 4. Prova dell’origine Al fine di garantire l’origine del prodotto ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5.
Nella realtà operativa per la valutazione del grado di maturità ci si basa su fattori esterni del frutto:
Non sono ammessi frutti che manifestano colpo di sole, ovvero quando la buccia perde la naturale striatura. La produzione massima consentita per ettaro non deve superare i seguenti quantitativi per tipologia: Articolo 6.
Il legame causale tra l’”Anguria Reggiana” con la zona di produzione, che determina la qualità specifica, è fondato sulle caratteristiche della zona geografica delimitata e le competenze dei produttori locali. Particolare importanza assume l'aspetto pedologico: le condizioni del suolo, infatti, contribuiscono in modo determinante a definirne l'accrescimento, la conformazione, nonché le caratteristiche chimiche ed organolettiche ed infine la qualità che ne fanno un prodotto agricolo riconoscibile e con una reputazione affermata. L’area definita è costituita, in relazione alle caratteristiche pedologiche, geologiche, morfologiche e idrogeologiche da terre calcaree dei dossi fluviali, da terre calcaree e di transizione (ad esempio tra dossi e valli) e da terre argillose (ad esempio delle valli bonificate). Il frutto matura soprattutto nei terreni tendenzialmente argillosi delle zone bonificate nei secoli scorsi, difficili nelle lavorazioni ma feraci e ricchi d’elementi naturali quali il potassio. Le sostanze presenti nel terreno vengono assorbite dal frutto e gli conferiscono le caratteristiche qualitative descritte all’articolo 2, in particolare i livelli elevati e costanti di gradi brix, così come testimonia lo studio pubblicato in Le caratteristiche chimico-fisiche del prodotto coltivato nelle terre da anguria della provincia reggiana all’interno della pubblicazione Anguria reggiana. Tradizione, terre e qualità, 2012 di Maietti et al. e lo studio pubblicato in Terre dell’anguria reggiana all’interno della pubblicazione Anguria reggiana. Tradizione, terre e qualità. 2012 di Scotti, C., Raimondi, S., Pezzoli, M. La caratteristica che identifica l’”Anguria Reggiana” è il sapore, particolarmente dolce della polpa, legato al tenore zuccherino. Tale caratteristica dell’ “Anguria Reggiana”, è legata all’abilità dei produttori e alla raffinata tecnica colturale adottata che si manifesta in particolare al momento della raccolta, o “stacco”. Essa avviene in almeno 3 passaggi per ogni pianta, tali da far sì che al consumo ogni “Anguria Reggiana” risulti a maturazione completa e con il massimo grado zuccherino prima della sovramaturazione, con pasta croccante e soda. Sono le abilità umane, che vengono consolidate con l’esperienza e con le tecniche produttive tramandate nel tempo, che permettono di riconoscere quando il frutto raggiunge il giusto grado di maturazione, definito dal suono che produce l’anguria quando viene percossa, e individuare così il momento preciso dello stacco. Lo stacco avviene per mezzo della “roncola”, peculiare attrezzo dalla lama non troppo ricurva. Questo particolare attrezzo nel corso degli anni è stato perfezionato nella forma per impedire di recidere la ramificazione della pianta che deve rimanere nelle condizioni fisiologiche ottimali sino allo stacco di tutti i frutti. L’operazione dello stacco presuppone un antico e consolidato sapere degli “spiccatori” reggiani, capaci di selezionare rapidamente il frutto maturo e di raccoglierlo preservando la produzione successiva. La reputazione dell’elevata qualità dell’Anguria Reggiana si rifà al XVI secolo: corrispondenze fra le antiche corti del Rinascimento padano decantano la bontà del prodotto coltivato in queste terre. Il frutto è rimasto a lungo un prodotto d'elite fino al XVIII secolo, quando il Risorgimento aprì le frontiere fra gli antichi e piccoli stati della Nazione e consentì anche un allargamento dei confini di commercializzazione. Nel tempo, l’elevata qualità della produzione locale ha fatto conoscere il prodotto sui mercati di Milano, Genova e delle regioni limitrofe fino a farsi riconoscere nello scorso secolo oltre le Alpi. La zona di pianura in provincia di Reggio Emilia è richiamata nella Guida Gastronomica del Touring Club Italiano, datata 1931, per “angurie (cocomeri) e meloni zuccherini”. Il territorio designato include i centri di maggiore riconoscibilità storica in cui veniva coltivata tradizionalmente l’anguria, quali ad esempio Gualtieri, Novellara, Santa Vittoria, Poviglio e Cadelbosco di Sopra, Rio Saliceto e Ca’ de’ Frati. La popolarità della coltivazione e del consumo dell’anguria nel territorio è comprovata anche dalla presenza di capanni dell’inizio del XX secolo costruiti in materiali naturali, quali legno e frasche, dove si consumava e si vendeva l’anguria a fette. Più recentemente anche l’abilità dei produttori della zona si è sempre più indirizzata alla specializzazione nella coltivazione dell’anguria, fra l’altro istituendo competizioni locali per premiare l’anguria con il tenore zuccherino più elevato; un’azienda locale nel 2012 è invece stata premiata al concorso internazionale indetto dal Great Pumpkin Commonwealth per avere ottenuto l’anguria più grande del mondo. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 36 e 37 del Reg. UE 1151/2012. Tale struttura è l’Organismo di controllo Check Fruit - via C. Boldrini, 24 – 40121 - Bologna, Italia, tel. (+39) 051 6494836, e-mail: info@checkfruit.it. Articolo 8. Etichettatura L’indicazione geografica protetta “Anguria Reggiana” deve essere immessa al consumo ponendo ordinatamente i frutti in appositi contenitori oppure in bins e mini bins di materiale atto allo stoccaggio. Su ogni anguria deve essere obbligatoriamente apposto il logo identificativo dell’IGP Anguria Reggiana e il simbolo IGP della UE. Sulle confezioni devono comparire tutti gli elementi previsti dalla normativa corrente in materia di etichettatura. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Reggio Emilia |
Arancia del Gargano Arancia del Gargano IGP Disciplinare di produzione - Arancia del Gargano IGPArticolo 1. Denominazione. L'indicazione geografica protetta «Arancia del Gargano» è riservata alle arance prodotte in un'area specifica del promontorio del Gargano, nella regione Puglia, completamente maturate sulla pianta e prodotte per il consumo fresco e la trasformazione, che rispettano le condizioni e i requisiti stabiliti nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto L'indicazione geografica protetta «Arancia del Gargano» è riservata alle cultivar tradizionalmente coltivate, e precisamente a: A. Tipi del gruppo Biondo Comune, tradizionalmente individuati dal nome Biondo Comune del Gargano; B. L'ecotipo locale Duretta del Gargano, autoctona del Gargano, localmente individuata «arancia tosta». Biondo Comune del Gargano: di forma sferica o piriforme, buccia più o meno sottile, coriacea ma con grana alquanto fine e di colore giallo-dorato intenso. Diametro minimo 60 mm; albedo di consistenza soffice e di media aderenza, asse carpellare irregolare, medio, semipieno. Polpa e succo color giallo arancio, con contenuti in zuccheri non inferiori al 9%, acidità inferiore all'1,2%. Resa minima in succo, pressato a mano, 35%; tenore zuccherino in gradi Brix minimo 10; rapporto di maturazione, Brix/acido citrico anidro, non inferiore a 6. Arancia Duretta del Gargano («Arancia Tosta»): forma tonda od ovale, «Duretta tonda» o a «viso lungo», buccia di colore arancio chiaro con intensità varia, superficie molto liscia e finemente papillata; polpa di tessitura fine e con piccole vescichette, ambrata, croccante, semi assenti o in numero ridotto. Diametri medi dei frutti di mm 55-60. Resa minima in succo, pressato a mano, pari al 35%; contenuto in zuccheri non inferiore al 10 %, tenore zuccherino in gradi Brix minimo 11; acidità inferiore all'1,2%. Rapporto di maturazione, Brix/acido citrico anidro, non inferiore a 6,2. Entrambi i tipi descritti devono presentare frutti pesanti e comunque non inferiori a 100 grammi, con buccia uniformemente colorata, base del peduncolo color verde vivace. Articolo 3. Zona di produzione Per «Arancia del Gargano», s'intende il frutto prodotto e confezionato in un'area che interessa i territori di Vico del Gargano, Ischitella e Rodi Garganico e precisamente il tratto costiero subcostiero del Promontorio del Gargano che va da Vico del Gargano a Rodi Garganico, fin sotto Ischitella. L'area è identificata dai seguenti confini naturali: a nord, la linea di spiaggia compresa nel tratto contrada Calenella-Foce Torrente Romondato, ad ovest il tracciato del Torrente citato, a sud-ovest, il tratto strada provinciale Frazione Isola Varano-Ischitella e il tracciato del Torrente Pietrafitta, a sud-est i tracciati dei tratturi Canneto e San Nicola, ad est il limite del territorio del comune di Vico del Gargano rappresentato dalla contrada Calenella. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, dei produttori, dei confezionatori e trasformatori è garantita la tracciabilità e rintracciabilità del prodotto. La prova dell'origine, inoltre, è comprovata da specifici adempimenti cui si sottopongono gli agrumicoltori, quali il catasto di tutti i terreni sottoposti alla coltivazione di «Arancia del Gargano», nonché la tenuta di appositi registri di produzione e la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento L'Arancia del Gargano è ottenuta da uno specifico ambiente, con una tecnica consolidata nella tradizione, idonea ad ottenere arance con specifiche caratteristiche di qualità. 5.1. I terreni I terreni sono orograficamente inquadrabili nella fascia perimetrale del promontorio modellata in valli e vallecole. Geomorfologicamente si tratta di piccole valli calcaree con terreni della categoria «suoli rossi mediterranei». 5.2. Il portainnesto Il portainnesto, come da tradizione agronomica, è il Melangolo (citrus mearda), certificato come tale dalla normativa vigente. 5.3. Impianto e sesto d'impianto, forme di protezione L'impianto dell'aranceto è fatto su terreni in pendio e su pianori, esposti a sud, sud-est, sud-ovest, e comunque nel pieno rispetto dei caratteri orografici e pedologici che hanno definito l'agrumicoltura garganica; su quelli in pendio si procede alla sistemazione a terrazzo, quali muretti a secco e ciglionamenti. Come da tradizione agronomica l'aranceto è consociabile con il limone «Femminello del Gargano». Le protezioni dai venti, ove necessarie, sono assicurate da frangivento vivi di leccio e alloro ed altre essenze agrarie, ovvero da reti e canneti. Il sesto d'impianto è quello tradizionale, a quinconce, e in ogni caso, con una densità d'impianto compresa tra 250 e 400 piante per ettaro. Le varietà da coltivare sono quelle definite all'art. 2. 5.4. L'allevamento La forma da dare all'albero d'arancio è quella tipica della zona e precisamente una semisfera, localmente denominata «cupola»; l'impalcatura della stessa è costituita da due branche principali e due secondarie facendo in modo che la chioma si sviluppi secondo un cerchio inscritto in un quadrato. Pertanto la cupola internamente è cava, per favorire l'arieggiamento e le operazioni di raccolta. 5.5. Le cure colturali Nel periodo che va da maggio ad ottobre, le piante di arancio sono irrigate. Le lavorazioni al terreno si limitano alle zappature primaverili e alle concimazioni, generalmente ancora con letame ovino-caprino; in alternativa si ricorre a concimazioni a base di perfosfati. Prima della ripresa vegetativa, periodiche potature primaverili, generalmente annuali, modellano costantemente la «cupola» e, soprattutto, garantiscono il necessario equilibrio tra attività vegetativa e produttiva. Le cure colturali continuano con la difesa, sia da avversità meteoriche, fronteggiate con i frangivento, sia da attacchi parassitari, principalmente cocciniglie, causa del problema delle fumaggini. Le colture utilizzanti processi di natura biologica sono assoggettate alla specifica normativa. 5.6. Le rese Le rese non devono superare le 30 tonnellate per ettaro per il Biondo Comune del Gargano e le 25 tonnellate per l'ecotipo locale Duretta del Gargano. 5.7. L'epoca di raccolta L'epoca di raccolta, data la naturale e accentuata scalarità di maturazione dell'Arancia del Gargano è così stabilita: 15 aprile - fine agosto per il Biondo Comune del Gargano; 1° dicembre - 30 aprile per la Duretta del Gargano. La raccolta è fatta manualmente e con l'ausilio di forbici. I frutti raccolti devono presentarsi sani. È vietata la maturazione artificiale dei frutti. Il confezionamento del prodotto IGP «Arancia del Gargano» può avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all'art. 3 del presente disciplinare, al fine di garantire la tracciabilità ed il controllo. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente La domanda di registrazione della I.G.P. «Arancia del Gargano» si basa sulla indubbia reputazione che nel corso dei secoli questo agrume ha conquistato presso i consumatori. Infatti, le condizioni climatiche dell'area dove insistono gli agrumeti sono tali da tradursi in notevoli vantaggi qualitativi: innanzi tutto il clima non eccessivamente caldo non favorisce lo sviluppo di forti patologie sia a carico dei frutti sia delle piante. Un secondo aspetto, legato alle condizioni climatiche, è quello che fa dell'epoca di maturazione l'autentica caratterizzazione degli agrumi garganici; non gennaio, febbraio o marzo, ma addirittura fine aprile-maggio, e anche agosto, diversi mesi dopo l'epoca di maturazione di tutte le altre aree agrumicole italiane. Un ultimo e non meno importante aspetto è la spiccata serbevolezza dell'Arancia del Gargano, che permetteva in tempi passati alle arance del Gargano di sottoporsi a viaggi di 30 e anche 40 giorni e arrivare integri a Chicago, o New York. Contributo essenziale alla crescita e alla reputazione di questo agrume è stato dato oltre che dalle inconfondibili qualità organolettiche dell'Arancia del Gargano, e dalla sua particolare pezzatura, sintesi delle condizioni pedoclimatiche della zona di produzione (terreni rosso-calcarei, ricchi principalmente di ferro e manganese, generalmente acclivi, da fianchi di vallette o da tratti di fondovalle; esposizione ai venti freddi causa di repentini abbassamenti di temperatura; clima particolarmente mite, dato il sistema di dolci colline «degradanti amare»), anche dalla costante opera dell'uomo, che nel corso del tempo ha maturato un importante patrimonio di conoscenze agronomiche. Le tecniche di coltivazione sono ancora quelle tradizionali, di grande rispetto per l'ambiente e di una radicata consapevolezza di un limitato uso di risorse energetiche. L'area di produzione dell'Arancia del Gargano è caratterizzata da terreni generalmente acclivi, da fianchi di vallette o da tratti di fondovalle, e presenta una temperatura che per ben 8 mesi supera i 10° C, e che nei mesi più freddi si assesta sui 3-10° C. La collocazione dell'area nei quadranti settentrionali del promontorio del Gargano, la espone ai venti freddi causa di repentini abbassamenti di temperatura, di qui la necessità di particolari forme di protezione, sperimentate con efficientissimi frangivento (vivi e morti). Al di là di questi stress termici, comunque eccezionali, l'area dell'Arancia del Gargano si caratterizza con un clima particolarmente mite, dato il sistema di dolci colline «degradanti a mare» con cui è conformata che la rendono nettamente differente dalle aree circostanti. Su un piano fitogeografico l'area, con caratteri di rigogliosità e lussureggiamento, rientra nella fascia di vegetazione potenziale inquadrabile nella parte più evoluta del «Quercino ilicis». Dal punto di vista geomorfologico si tratta di piccole valli calcaree con terreni della categoria «suoli rossi mediterranei» (con piccoli tratti a «regosuoli e suoli alluvionali») che sul piano fisico-chimico si presentano di medio spessore, con «scheletro» a volte abbondante, poveri di fosforo ed azoto ma particolarmente ricchi di potassio e microelementi. Il Gargano è un emblematico esempio di successo scaturito da scelte agronomiche in perfetta armonia con le vocazioni, le condizioni geo-pedo-climatiche di una piccola «nicchia ambientale» del Bacino dell'Adriatico. Fin dall'antichità la fama dell'Arancia del Gargano aveva valicato i confini regionali ed era menzionata nelle opere di diversi autori, tra cui lo stesso Gabriele d'Annunzio. Fin dal 1700 gli agrumi del Gargano diventano protagonisti di un'importante processione, che ancora oggi si tiene ogni anno a febbraio, in onore di San Valentino, Santo protettore degli agrumeti, durante la quale si benedicono le piante e i frutti di aranci e limoni. Sono conservati numerosi registri, fotografie, poster, locandine, a dimostrazione della straordinaria fama a livello anche internazionale raggiunta da questi straordinari ed inconfondibili agrumi del Gargano. I primi riferimenti storici sull'esistenza della coltivazione degli agrumi sul territorio risalgono all'anno 1003, grazie a Melo, principe di Bari, che, volendo dare dimostrazione ai Normanni della ricchezza produttiva delle terre garganiche, spedì in Normandia i «pomi citrini» del Gargano, corrispondenti al melangolo (arancio amaro). Nel seicento si intensificò un notevole traffico di agrumi dei comuni di Vico del Gargano e di Rodi Garganico con i Veneziani. Questi intensi scambi commerciali continuarono anche nell'Ottocento, e la fama dell'Arancia del Gargano raggiunse persino gli altri Stati europei e gli Stati americani. Articolo 7. Controlli Il controllo per l'applicazione del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato o da un'autorità pubblica designata, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Etichettatura La commercializzazione, destinata al consumo fresco e alla trasformazione, deve riguardare frutti con requisiti così come stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Il prodotto, nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio ortofrutticolo, può essere commercializzato: 1. sfuso e ogni frutto deve riportare il logo I.G.P. «Arancia del Gargano»; 2. in confezioni, ovvero con incarto, e almeno l'80% dei frutti costituenti la confezione deve osservare analogo adempimento. Nel caso di confezionamento, i contenitori devono essere rigidi, con capienza da un minimo di 1 kg ad un massimo di 25 kg e devono essere costituiti di materiale di origine vegetale, quali legno o cartone. Le confezioni commerciali devono riportare le seguenti indicazioni: Arancia del Gargano, eventualmente seguite dal nome del tipo Biondo Comune del Gargano o dell'ecotipo locale Duretta del Gargano; il logo; la dicitura di I.G.P. anche per esteso; il nome del produttore/commerciante, ragione sociale, indirizzo del confezionatore, peso netto all'origine. I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la I.G.P. «Arancia del Gargano», anche a seguito di processi di eleborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della I.G.P. riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Mi.P.A.F. in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del regolamento (CEE) n. 2081/92. È fatto divieto di utilizzare nomi di specie e varietà diverse da quelle contemplate nel presente disciplinare. È consentito, infine, ai produttori o confezionatori l'uso di marchi privati o di particolari indicazioni, purché non siano laudativi e non siano concepiti per trarre in inganno l'acquirente. Articolo 9. Il logo Il logo di Arancia del Gargano è l'immagine qui riportata su sfondo bianco, e rappresenta una stilizzazione di due Arance, con rametto fogliato, all'interno di una corona ellissoidale; sulla corona è riportata la dicitura «Arancia del Gargano» ed in basso al centro della stessa la dicitura per esteso «Indicazione geografica protetta». Caratteristiche grafiche: dimensioni pixel 486\times 398; risoluzione 200 Dpi; la corona ellissoidale è di color arancione Pantone 716 CVC; testo «ARANCIA DEL GARGANO» in carattere Arial Black tutto maiuscolo, dim 37\times 54 pixel, di color Bianco Pantone 607 CVC contornato in color Nero Pantone Quadricromia CVC; testo «Indicazione geografica protetta» in carattere Miandra GD, dim 22 pt, di color Bianco Pantone 607 CVC in stile «Arco prospettiva inferiore», con ombreggiatura; le Arance sono di colore Arancione Pantone sfumato da Pantone 716 CVC fino a Pantone 142 CVC, con sfumatura macchiettata di colore arancione Pantone 157 CVC; il Rametto è in colore Verde Pantone 357 CVC, le foglie in colore Pantone 3435 CVC e le nervature in Verde Pantone 5767 C. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Foggia |
Arancia di Ribera Arancia di Ribera DOP Disciplinare di produzione - Arancia di Ribera DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” è riservata ai frutti che rispondono alle indicazioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” è riservata alle produzioni derivanti dalle seguenti varietà: a) Brasiliano con i cloni: Brasiliano comune, Brasiliano risanato; b) Washington Navel , Washington navel comune, Washington Navel risanato, Washington Navel 3033; c) Navelina con i cloni: Navelina comune, Navelina risanata e Navelina ISA 315; All’atto della sua immissione al consumo la Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” presenta le seguenti caratteristiche: frutto (esperidio) - diametro traverso minimo di 70 mm; - calibro minimo di 6 secondo la classificazione europea; - forma tipicamente sferica-ellissoidale (ovoide o schiacciata o ellittica) con ombelico interno; - colore della buccia arancio uniforme, con tendenza al rossastro a fine inverno; - polpa con colore arancio uniforme, tessitura fine e soda, senza semi; succo - colore arancio; - resa in succo non inferiore al 40 %; - contenuto di solidi solubili compreso tra 9 e 15 Brix; - acidità compresa tra 0.75 e 1.50; - rapporto solidi solubili/acidi organici titolabili non inferiore a 8. La DOP “Arancia di Ribera” è riservata alle arance appartenenti alla categoria commerciale “Extra” e “ I ”. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’ “Arancia di Ribera” comprende le aree della Provincia di Agrigento ricadenti nei Comuni di: Bivona, Burgio, Calamonaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Menfi, Montallegro, Ribera, Sciacca, Siculiana e Villafranca Sicula e della Provincia di Palermo nel comune di Chiusa Sclafani. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata in modo da garantire il rispetto delle norme contenute nello specifico disciplinare. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche iscritte nei elenchi sono assoggettate al controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La produzione della “DOP Arancia di Ribera” proviene da impianti condotti con i seguenti metodi: a) tradizionale: ottenuto mediante l’adozione dei sistemi ordinari praticati nel comprensorio ai sensi delle norme di “Normale buona pratica agricola” in conformità ai Regolamenti comunitari e nel rispetto dei limiti dei residui di fitofarmaci; b) integrato: ottenuto con l’osservanza delle norme tecniche di produzione integrata della Regione Siciliana in conformità ai Regolamenti comunitari in materia agroambientale; c) biologico: in conformità al Regolamento CEE 2092/91 e successive modificazioni. La densità di piantagione è compresa tra 400 e 650 piante per ettaro. I portinnesti ammessi sono i seguenti: Citrus aurantium (arancio amaro o melangolo), citrange Troyer, citrange Carrizo, citrumeli, Poncirus trifoliata, mandarino Cleopatra, Citrus macrophylla, esenti da virosi e dotati di alta stabilità genetica. L’operazione di raccolta avviene manualmente e il distacco dei frutti deve essere effettuato con forbici. La produzione massima per gli agrumeti non può superare i 400 quintali per ettaro. In annate eccezionalmente favorevoli tali limiti possono essere superati al massimo del 10%. E’ fatto assoluto divieto di praticare la deverdizzazione dei frutti. Tecniche di allevamento Per la produzione della “DOP Arancia di Ribera” sono utilizzate due tipologie d’impianto: costituzione di nuovi agrumeti attraverso messa a dimora di giovani piante da vivaio, riconversione varietale di agrumeti già esistenti con le nuove cultivar. In entrambi i casi il materiale di propagazione utilizzato (marze, portinnesti, piante innestate) deve essere certificato. Nuovo Impianto Il sesto adottato deve essere tale da consentire un’agevole esecuzione delle principali operazioni colturali e il transito delle attrezzature agricole e al contempo garantire un equilibrato sviluppo vegeto-produttivo delle piante. A tal fine la densità d’impianto nei nuovi impianti dovrà essere compresa tra 400 e 650 piante/Ha, in dipendenza del portinnesto utilizzato. La messa a dimora viene effettuata nel periodo invernale, a partire dal mese di dicembre fino a tutto marzo, con piante di uno o due anni e punto di innesto ad un altezza compresa tra 50 e 60 cm avendo cura di non ricoprire il colletto per prevenire l’insorgenza di fitopatie. Reinnesto La tecnica del reinnesto si esegue su agrumeti preesistenti che rispondano ai seguenti requisiti minimi: - densità compresa tra 400 e 650 piante/ha; - buone condizioni vegetative e sanitarie; I reinnesti si effettuano nella stagione primaverile, nei mesi di marzo e aprile, adottando la tecnica “a penna”, “a corona” o “a pezza”. Il reinnesto deve essere preceduto da una energica potatura, direttamente sul fusto o le branche principali della varietà che si vogliono reinnestare. Potatura Gli interventi di potatura vengono eseguiti da febbraio a settembre e devono consentire la formazione di una struttura a “globo” armonica e “piena”. La potatura viene effettuata annualmente con interventi cesori moderati, miranti ad evitare che si crei un affastellamento della vegetazione all’interno della chioma. Gestione della flora spontanea Il controllo delle erbe infestanti viene effettuato con poche lavorazioni meccaniche, utilizzando attrezzi che operano superficialmente per evitare di danneggiare l’apparato radicale. Lavorazioni La prima lavorazione si esegue nel periodo compreso tra il 1° marzo ed il 30 aprile e ha lo scopo di ripulire il terreno e interrare i concimi, che vengono distribuiti in questo periodo dell’anno. Successivi interventi sono consentiti nel periodo primaverile/estivo, ad allegagione avvenuta. Nutrizione e concimazione La concimazione viene eseguita nel periodo compreso tra il 1° febbraio ed il 30 settembre, anche in fertirrigazione. Metodo convenzionale e integrato La concimazione si esegue con concimi organici e/o granulari complessi organici o organo-minerali o minerali interrati con una leggera lavorazione del terreno. Metodo biologico La concimazione si esegue con prodotti autorizzati ai sensi del Reg. CE 2092/91 e successive modifiche. Si esegue con concimi organici o organo-minerali interrati tramite una leggera lavorazione del terreno o in fertirrigazione. Irrigazione L’irrigazione avviene con il metodo a microgetto localizzato sia a “farfalla” che “a baffo”. Difesa fitosanitaria La prevenzione ed il controllo fitosanitario dai fitopatogeni, insetti e acari fitofagi si differenzia a seconda della tecnica di produzione attuata, (tradizionale, integrata o biologica). Raccolta La raccolta per la varietà Navelina inizia il 1° novembre e termina alla fine di febbraio; mentre per le varietà Brasiliano e Washington navel inizia nella prima decade di dicembre e termina alla fine di maggio. Il taglio dei frutti è effettuato con l’ausilio di forbici al fine di evitare il distacco del calice. Condizionamento Per i frutti non immessi immediatamente al consumo, dopo la raccolta è permessa la conservazione a basse temperature. Le condizioni di conservazione nelle celle frigorifere sono: temperature compresa tra 3 e 6 °C., umidità relativa tra il 75 – 95%. I tempi di condizionamento non devono superare i 90 giorni dalla raccolta. Al fine di salvaguardare la qualità e l’integrità delle produzioni a “DOP”, tutte le operazioni di condizionamento dovranno avvenire all’interno dell’area di produzione delimitata ai sensi dell’art. 3, in quanto lunghi trasporti e successive manipolazioni favoriscono l’insorgenza di fenomeni patogeni e contaminazioni del prodotto. Infatti, l’Arancia di Ribera non subisce alcun trattamento chimico sia in pre e post raccolta sia nella fase di condizionamento, se non quello del lavaggio con acqua potabile. L’assenza sulla buccia di cere e conservanti chimici rende l’Arancia di Ribera più sensibile ai trasporti e alle manipolazioni. Articolo 6. Legame con l'ambiente Le caratteristiche peculiari dell’Arancia di Ribera sono: - una consistenza della polpa tale che le vescicole di succo si dissolvono in bocca lasciando pochissimi residui membranosi; - un perfetto equilibrio tra gusto, aroma e profumo. - polpa bionda e zuccherina adatta al consumo fresco e che la distingue dalle altre varietà siciliane pigmentate di rosso e dal sapore subacido. E’ provato che queste caratteristiche qualitative ed organolettiche si differenziano da quelle provenienti da altri areali di coltivazione, conferendole una propria identità nei mercati nazionali ed europei, oramai dal 1950 circa con la denominazione Arancia di Ribera. Maggiore impulso all’affermazione dell’Arancia di Ribera viene dato dall’organizzazione della Fiera Mercato, già dalla prima edizione del 1966, che diventa “Sagra dell’Arancia di Ribera” dal 1985. Queste qualità esclusive sono essenzialmente legate ai fattori ambientali: clima, terreno e acqua. Gli aranceti, infatti, sono presenti ai lati e sui versanti dei fiumi Verdura, Magazzolo, Platani e Carboj dove la natura dei terreni è costituita da un alto contenuto di argilla tale che il terreno si crepacci durante l’estate. Questi suoli che appartengono all’ordine dei Vertisuoli e degli Inceptsuoli hanno una grande potenzialità agronomica. Essi sono ricchi di minerali primari prontamente assimilabili, ad alta capacità di scambio cationico (> 20 meq/100 g.), caratteristica che contribuisce ad aumentare notevolmente il contenuto di potassio scambiabile e disponibile per l’arancia di Ribera. L’elevata disponibilità di potassio, che favorisce la migrazione degli zuccheri dalle radici, foglie e rami sino ai frutti, unite alle condizioni climatiche tipiche dell’area mediterranea, contribuiscono in maniera decisa ad aumentare il contenuto di zuccheri e la qualità gustativa nell’ Arancia di Ribera. In queste aree, anche le caratteristiche fisiche del terreno svolgono un ruolo importante nel determinare le caratteristiche del prodotto. I suoli, formati da sedimenti alluvionali, sono caratterizzati da una tessitura equilibrata, che assicura la succosità dei frutti e conferisce unicità ai suoli di questa area, legata all’elevato contenuto di argilla, mitigato dalla sabbia e frequentemente da ciottoli, che garantiscono la libera circolazione dell’aria e dell’acqua e consentono l’instaurazione di processi biologici, con l’insediamento di una microflora “positiva”, favorevoli alla sintesi della sostanza organica che, come è noto, favorisce l’assimilazione degli elementi nutritivi e dell’acqua. Inoltre, durante la stagione estiva, per far fronte alla mancanza di piogge, gli agrumeti ricadenti nel comprensorio dell’Arancia di Ribera vengono irrigati attraverso un sistema di canalizzazione che utilizza le acque invasate nelle dighe Castello, Arancio e di Prizzi, provenienti rispettivamente dai fiumi Magazzolo, Carboj e Verdura. I suddetti fiumi forniscono abbondante acqua di ottima qualità, di composizione equilibrata con bassa conducibilità esente da elementi inquinanti. La presenza del mare determina per tutto l’anno condizioni termiche e igrometriche, che ben si sposano con le esigenze ecofisiologiche dell’arancio, assai raramente, infatti, si verificano danni da calamità naturali come gelate o venti sciroccali responsabili di notevoli danni per le colture. La sapienza dell’uomo nel coltivare e curare gli aranceti nel rispetto delle tradizioni e culture locali e la salubrità dell’ambiente contribuiscono armonicamente a fornire a questo prodotto qualità uniche. Altri parametri importanti che caratterizzano l’arancia di Ribera sono: - l’ottimo rapporto tra i solidi solubili totali e gli acidi organici: - la pezzatura media dei frutti alquanto elevata; - il colore arancio intenso della buccia e del succo; - la succosità elevata che la rende una buona varietà anche da succo. L’areale in cui viene coltivata l’Arancia di Ribera è una vera “oasi arancicola” totalmente distaccata dal contesto agrumicolo regionale. Nella vallata del fiume Verdura documenti storici dimostrano la coltivazione di eccellenti produzioni di “melarance”, di arance vaniglia e di altri agrumi già a partire dagli inizi del 1800, in cui si descrive un territorio ricco e con acque dolcissime e prodotti che venivano trasportati a Palermo ed esportati fino in America. Altri documenti descrivono la presenza di arance ombelicate nel bacino del mediterraneo nello stesso periodo. Quindi un’areale di coltivazione ricco ed eccellente, con diverse varietà tra le quali varietà ombelicale già a partire dal 1800. Le prime piante di Brasiliano giunsero a Ribera acquistate da alcuni agricoltori riberesi a Palermo intorno agli anni ’30. La perfetta acclimatazione di questi aranci, l’abbondante produzione, l’eccellente qualità del frutto, spinsero gli agricoltori locali a propagare ed impiantare il Brasiliano nei loro campi in sostituzione degli aranci più antichi. La coltura andò affermandosi a poco a poco ma con continuità, tanto che nel 1940 investiva già 100 ettari e circa 6.350 nel 2000. L’arancia di Ribera trovò ben presto un centro di ideale diffusione lungo la vallata del fiume Verdura, grazie anche alla possibilità di attingere acqua per l’irrigazione. Ben presto la vallata si trasformò in un continuo aranceto. Il principale attore di queste trasformazioni è stato sempre l’agricoltore, che ha saputo cogliere le caratteristiche e le condizioni ottimali dell’ambiente, acquisendo una capacità professionale unica, punto di riferimento per l’intero territorio regionale relativamente alla coltivazione degli agrumi e creando una ricchezza ed un paesaggio unici al mondo. L’importanza economica e sociale della coltura dell’arancio nel territorio riberese è dimostrata dal numero di aziende interessate, che oggi sono circa 4.000. Gli agricoltori, da tempo impegnati nella coltivazione di questo agrume, hanno ormai acquisito una elevata professionalità nel settore, che si evidenzia nella fase colturale, con l’adozione di tecniche innovative e razionali, nonché nella fase produttiva e commerciale. Il territorio agricolo di Ribera ha rappresentato per molti decenni il punto di riferimento più all’avanguardia dell’intero territorio regionale ed in alcuni casi anche a livello nazionale per le capacità professionali delle maestranze, per le avanzate tecniche colturali messe a punto dai coltivatori, per la qualità delle produzioni ottenute, che continuano a riscuotere notevole successo. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’articolo 10 ed 11 del Reg. CEE n. 510/06. tale struttura di controllo è l’ autorità pubblica designata: Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A:Mirri” – Via G.Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo – Tel. 0916565220 – Fax 0916570803. Articolo 8. Etichettatura L’ “Arancia di Ribera DOP” è immessa al consumo nelle seguenti confezioni: - contenitori e/o vassoi di legno, plastica e cartone del peso fino ad un massimo di 25 kg.; - sacchi retinati del peso massimo di 5 kg.; - bins alveolari del peso massimo di 40 kg. Le confezioni, i sacchi ed i bins devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. La confezioni recano obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili: 1. La denominazione “Arancia di Ribera D.O.P.” e il Logo, con caratteri superiori a quelli delle altre diciture presenti in etichetta; 2. La varietà di arance: Brasiliano, Washington navel e Navelina; 3. Il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e/o confezionatrice; 4. La categoria commerciale di appartenenza “Extra” o “ I ”. E’ altresì vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, all’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché a altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. Debbono inoltre comparire gli elementi atti a individuare nome, ragione sociale e indirizzo del confezionatore. E’ facoltativa l’indicazione della settimana di raccolta dei frutti. Il Logo dell’ “Arancia di Ribera DOP” risulta così composto: Dicitura “Arancia di Ribera D.O.P. Denominazione Di Origine Protetta” in carattere Textile, “Arancia di Ribera”, minuscolo con le iniziali maiuscolo ad eccezione dell’articolo “di”, “DOP” in maiuscolo puntato e “Denominazione di Origine Protetta” tutto maiuscolo. La dicitura Arancia di Ribera è sormontata da un accenno di sky-line del frutto con i contorni e colori tipici dell’arancia di Ribera: grossa dimensione, buccia arancione e foglie larghe. Nel lato sinistro della dicitura “D.O.P” è presente la Sicilia geografica stilizzata. Indici colorimetrici: foglia verde (74%C 18%M 100%Y 4%K ); frutto arancio (1%C 77%M 100%Y 0%K ); blu per la dicitura (100%C 91%M 31%Y 24%K ). | D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Agrigento, Palermo |
Arancia Rossa di Sicilia I.g.p. Arancia Rossa di Sicilia IGP Disciplinare di produzione - Arancia Rossa di Sicilia IGPArticolo 1. La indicazione geografica protetta "Arancia rossa di Sicilia" è riservata ai frutti pigmentati che rispondono alle condizioni ed ai requisiti, stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La indicazione geografica protetta "Arancia rossa di Sicilia" è riservata alle seguenti varietà:
coltivate in purezza varietale, nel territorio idoneo della Regione Sicilia definito nel successivo art.3. Articolo 3. La zona di produzione dell'"Arancia rossa di Sicilia" comprende il territorio idoneo della Sicilia Orientale per la coltivazione dell'Arancia ed è così individuato: Provincia di Catania - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Catania, Adrano, Belpasso, Biancavilla, Caltagirone, Castel di Judica, Grammichele, Licodia Eubea, Mazzarrone, Militello Val di Catania, Mineo, Misterbianco, Motta Sant'Anastasia, Palagonia, Paternò, Ramacca, Santa Maria di Licodia, Scordia e Randazzo limitatamente all'area detta "isola di Spanò". Provincia di Siracusa - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Lentini, Francofonte, Carlentini, Buccheri, Melilli, Augusta, Priolo, Siracusa, Floridia, Solarino, Sortino e Noto Provincia di Enna - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Centuripe, Regalbuto, Catenanuova e Troina limitatamente all'area detta "Cugno di Troina". Provincia di Ragusa: Acate, Comiso, Chiaramonte e Vittoria. Articolo 4. Le condizioni ambientali e di coltura degli aranceti destinati alla produzione dell "Arancia rossa di Sicilia" devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire al prodotto che ne deriva le specifiche caratteristiche di qualità I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli in uso generalizzato atti a mantenere un perfetto equilibrio e sviluppo della pianta oltre ad una normale aereazione e soleggiamento della stessa. La densità di piante per ettaro è normalmente compresa tra 230 e 420 Per gli impianti esistenti e destinati ad esaurimento è ammessa una densità fino ad un massimo di 725 piante per ettaro. Per i sesti dinamici la densità è compresa tra 600 e 840 piante per ettaro. Per i nuovi impianti sono ammessi altri sesti su proposta dell'Assessorato per l'Agricoltura della Regione Sicilia, previo parere dell'Istituto Sperimentale per l'agrumicoltura di Acireale, purché non siano modificate le caratteristiche dei frutti. I portainnesti idonei sono i seguenti: arancio amaro, citrange Troyer, citrange Carrizo, Poncirus trifoliata, esenti da virosi e dotati di alta stabilità genetica. Le operazioni colturali e le modalità di raccolta, devono essere quelli generalmente utilizzati, il distacco dei frutti viene effettuato con l'ausilio di forbicine di. raccolta che operano il taglio del peduncolo. La produzione unitaria massima consentita di "Arancia rossa di Sicilia" per le tre varietà è fissata in quintali 300 per ettaro. Per le selezioni clonali "Tarocco Nucellare", "Moro Nucellare" e"Sanguinello Nucellare" la produzione unitaria massima consentita è di q.li 360 per ettaro. A detti limiti, anche in annate, eccezionalmente favorevoli, la resa deve essere riportata attraverso una accurata cernita, purché la produzione globale dell'agrumeto non superi di oltre il 30 per cento detti limiti. È fatto assoluto divieto di praticare la deverdizzazione dei frutti. Articolo 5. La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità è accertata dalla Regione Sicilia. Gli aranceti idonei alla produzione dell "Arancia rossa di Sicilia" sono inseriti in apposito Albo tenuto, attivato, aggiornato e pubblicato dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio. Copia di tale Albo deve essere depositata presso tutti i Comuni compresi nel territorio di produzione. Il Ministero per le politiche agricole, ai fini dell'attivazione del suddetto Albo emanerà apposite disposizioni ove saranno stabilite le modalità per le iscrizioni agli albi, per le denuncie di produzione, per la modulistica da adottarsi per un corretto ed opportuno controllo della produzione riconosciuta e commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta. Saranno altresì stabiliti criteri e norme per l'eventuale delega dei controlli ai sensi del Reg. (CEE) 2081/92 nonché per le caratteristiche del logo figurativo della indicazione geografica protetta. Articolo 6. I frutti di "Arancia rossa di Sicilia" all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche: Arancia rossa di Sicilia Tarocco - forma: obovata o globosa, con base più o meno prominente ("Muso" lungo o corto) - colore della buccia: arancio con parti colorate in rosso granato più o meno intenso; - colore della polpa: arancio con screziature rosse più o meno intense in relazione all'epoca di raccolta; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40%, determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; - contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10,0 espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 7,0, determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Arancia rossa di Sicilia Moro - forma: globosa o ovoidale; - colore della buccia: arancio con sfumature più intense su un lato del frutto; - colore della polpa: interamente rosso vinoso a maturazione avanzata; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40, determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10, espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 6,5, determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Può essere tollerato il rapporto di 5,5 per i frutti raccolti nel mese di dicembre; Arancia rossa di Sicilia Sanguinello - forma: globosa o obovata; - colore della buccia: arancio con sfumatore rosse; - colore della polpa: arancio con screziature rosse; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40% determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; - contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10,0 espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 8,0 determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Il colore della buccia e della polpa dei frutti delle tre cultivar può presentare variazione della descrizione suddetta in relazione all'epoca di raccolta ed alla caratteristica del clone. Su proposta dei produttori interessati, il Ministro per le Politiche Agricole, nell'ambito delle linee del piano nazionale di lotta fitopatologica integrata e del codice di buona pratica agricola di cui alla direttiva (CEE n.91/676 Allegato IV) può stabilire limiti di residui di fitofarmaci, operazioni agronomiche e colturali atte al mantenimento del livello qualitativo stabilito nel presente disciplinare. Articolo 7. L Arancia rossa di Sicilia è immessa al consumo con il logo della Indicazione Geografica Protetta figurante su ogni frutto e confezionata nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio ortofrutticolo. Sulle confezioni deve figurare, in caratteri chiari, indelebili e nettamente distinguibili e da ogni altra scritta la denominazione "Arancia rossa di Sicilia", immediatamente seguita dalla indicazione varietale (Tarocco, Moro o Sanguinello). Nello spazio immediatamente sottostante deve comparire la menzione "Indicazione Geografica Protetta". È vietata l'aggiunta alla indicazione di cui al comma precedente di qualsiasi qualificazione o menzioni diverse da quelle espressamente previste nel presente disciplinare di produzione ivi compresi gli aggettivi: Tipo, Fine, Extra, Superiore, Selezionato, Scelto, e similari. È altresì vietato utilizzare nomi di varietà diverse da quelle espressamente previste nel presente disciplinare di produzione. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l acquirente; nonché eventuale nome di aziende o di aranceti dai quali effettivamente provengono le arance Debbono inoltre comparire gli elementi atti ad individuare nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, peso lordo all'origine. È facoltativa l'indicazione della settimana di raccolta dei frutti. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania, Siracusa, Enna |
Asparago Bianco di Bassano Asparago Bianco di Bassano DOP Disciplinare di produzione - Asparago Bianco di Bassano DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta (DOP) "Asparago Bianco di Bassano" e' riservata ai turioni di asparago (Asparagus officinalis L.) che rispondono alle caratteristiche ed alle condizioni stabilite dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La denominazione di origine protetta (DOP) "Asparago Bianco di Bassano" designa i turioni di asparago ottenuti nella zona di produzione delimitata nel successivo art. 3 del presente disciplinare di produzione, discendenti dall'ecotipo locale "Comune - o Chiaro - di Bassano". 1. Caratteristiche estetiche. I turioni che possono fregiarsi della DOP "Asparago Bianco di Bassano" devono essere: a) di colore bianco. Una colorazione leggermente rosata ed eventuali lievi tracce di ruggine sono ammessi alle brattee ed alla base, purche' non si estendano all'apice dei turioni (primi 3 cm) ed a condizione che possano essere eliminate con la pelatura normale da parte del consumatore e, in ogni caso, non devono superare il 10% del prodotto del mazzo; b) ben formati: dritti; interi; con apice serrato; i turioni non devono essere vuoti, ne' spaccati, ne' pelati, ne' spezzati. La bassa fibrosita', caratteristica qualitativa dell'asparago Bianco di Bassano, determina, al momento del confezionamento, un'elevata spaccatura laterale dei turioni per cui sono tollerati lievi spacchi, sopraggiunti dopo la raccolta, al massimo sul 15% del prodotto racchiuso nel mazzo; sono ammessi turioni lievemente incurvati; c) teneri; non sono ammessi i turioni con principi di lignificazione; d) di aspetto e odore freschi; privi di odore o sapore estraneo; e) sani - esenti da attacchi di roditori e di insetti; f) puliti, privi di terra o di qualsiasi altra impurita'; g) privi di gocciolatura e sufficientemente asciutti dopo lavaggio e refrigerazione con acqua fredda, esente da additivi chimici. La sezione praticata alla base deve essere il piu' possibile netta e perpendicolare all'asse longitudinale. 2. Calibratura. La calibratura e' determinata secondo la lunghezza ed il diametro. Il diametro centrale dei turioni e' quello della sezione presa al centro della lunghezza. Il diametro centrale minimo, compresa la tolleranza, e' fissato in 11 mm. I turioni devono essere confezionati in maniera tale che in ogni mazzo siano compresi turioni con differenza di diametro medio non superiore a 10 mm. I mazzi vanno classificati in base al diametro centrale dei turioni che li compongono. La lunghezza dei turioni presenti deve essere in rapporto stretto con tale classificazione. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di condizionamento e di confezionamento dell'"Asparago Bianco di Bassano" di cui al presente disciplinare di produzione comprende, nell'ambito della provincia di Vicenza, i territori dei comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano, Cassola, Mussolente, Pove del Grappa, Romano D'Ezzelino, Rosa', Rossano Veneto, Tezze sul Brenta e Marostica. Articolo 4. Elementi storici che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo sara' monitorata documentando per ognuna i prodotti in entrata ed i prodotti in uscita. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo incaricata, dei terreni coltivati, dei produttori e dei confezionatori, nonche' la denuncia dei quantitativi prodotti, e' garantita la tracciabilita' e rintracciabilita' del prodotto da monte a valle della filiera stessa. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. In particolare saranno monitorati: l'iscrizione, per ciascuna campagna produttiva, dei terreni coltivati a "Asparago Bianco di Bassano" nell'elenco depositato presso la sede dell'Organismo di controllo; l'indicazione degli estremi catastali dei terreni coltivati ad Asparago Bianco di Bassano e, per ciascuna particella catastale, la ditta proprietaria, la ditta produttrice, la localita', la superficie coltivata ad Asparago Bianco di Bassano; la registrazione dei codici progressivi di numerazione dei mazzi marchiati. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta Caratteristiche dei terreni. I terreni devono avere un ph compreso fra 5,5 e 7,5. E' obbligatoria un'analisi dei terreni per ogni nuovo impianto e, in ogni caso, almeno ogni 5 anni per i parametri principali (ph, azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio e sostanza organica). Per i nuovi impianti sono valide le analisi effettuate nel triennio precedente. 1. Preparazione del terreno ed impianto. La preparazione del terreno va effettuata nell'autunno precedente l'impianto, con un'aratura leggera, ad una profondita' inferiore o uguale a 30 cm, seguita eventualmente, da una ripuntatura a 40-50 cm. Nella realizzazione di nuovi impianti la distanza tra le file non deve risultare inferiore a 1,8 m per le fine binate e 2 m per le file singole; la densita' massima dovra' comunque essere di 1,8 di piante/metro quadro. I solchi devono avere una profondita' di 15-20 cm. L'orientamento delle file deve essere preferibilmente da nord a sud, secondo l'andamento dei venti dominanti che percorrono la Valsugana, in modo da garantire un buon arieggiamento alla coltura e la diminuzione dei rischi di infezioni fungine e di allettamento delle piante. Il trapianto delle zampe di asparago deve essere eseguito nei mesi di marzo od aprile, per le piantine esso deve avvenire entro il mese di giugno. 2. Rotazioni. Il reimpianto di una asparagiaia sullo stesso terreno puo' essere effettuato solo dopo 4 anni. In caso di accertata presenza di fitopatie di tipo radicale (rizoctonia e fusarium), il reimpianto puo' avvenire non prima di 8 anni. E' inoltre vietato far precedere all'impianto dell'asparagiaia le colture della patata, erba medica, carota, trifoglio, barbabietola per possibilita' di attacchi di rizoctonia. E' altresi' consigliato far precedere all'impianto dell'asparago le colture cerealicole come l'orzo, il grano, il mais. 3. Materiale di propagazione. Piattaforma varietale. La riproduzione del materiale vegetativo da utilizzarsi per auto approvvigionamento puo' essere fatta dagli stessi agricoltori. Puo' essere utilizzato solo l'ecotipo locale purche' rispondente alle caratteristiche di cui all'art. 2. 4. Concimazione. E' obbligatorio, prima di un nuovo impianto, effettuare un'analisi completa del terreno, da ripetersi, relativamente ai parametri fondamentali (pH, N, P. K, Ca, Mg e sostanza organica) ogni 5 anni; sono valide anche analisi effettuate nel triennio precedente. In ordine al mantenimento della fertilita' dei terreni, si distingue una concimazione pre-impianto e una concimazione per gli anni di produzione. In pre-impianto e' richiesta la distribuzione di letame bovino nella dose di 600 q/ha da interrare quando maturo. L'impiego di altri concimi organici va rapportato al valore di riferimento indicato per il letame bovino. Per gli anni di produzione la concimazione andra' fatta in funzione dei risultati delle analisi del terreno e delle asportazioni medie della coltura. La provenienza dell'azoto deve essere, per almeno il 50% di natura organica. La concimazione fosfatica, e parte della concimazione potassica, sara' effettuata in corrispondenza delle lavorazioni autunnali o di fine inverno, mentre la concimazione azotata e la restante potassica sara' effettuata nel periodo post raccolta (non oltre il mese di luglio), frazionandola in piu' interventi. L'apporto annuo di elementi nutritivi principali dovra' comunque non superare i seguenti limiti massimi di unita' ad ettaro: - azoto 150; - fosforo 80; - potassio 180. Eventuali integrazioni di microelementi andranno effettuate nel periodo autunno-inverno. 5. Difesa fitosanitaria. Gli interventi devono seguire le indicazioni previste dalla regione Veneto relativamente alla lotta integrata per l'asparago bianco. Le norme tecniche di riferimento fanno capo alla delibera della giunta regionale del Veneto n. 488 del 28 febbraio 2003 e alle successive modifiche ed integrazioni emanate dalla stessa amministrazione. Nella individuazione delle tecniche agronomiche dovranno essere privilegiati i seguenti aspetti: a) utilizzazione di materiale di propagazione sano e resistente alle fitopatie; b) adozione di pratiche agronomiche in grado di creare condizioni sfavorevoli agli organismi dannosi (es. ampie rotazioni, concimazioni equilibrate, irrigazioni localizzate, adeguate lavorazioni del terreno, ecc.). 6. Pacciamatura. E' consentita la pacciamatura nel periodo di raccolta con film plastico scuro adeguato al contenimento delle malerbe e alla protezione dalla luce, o con altro materiale idoneo a garantire le caratteristiche finali del prodotto. 7. Irrigazione. Gli interventi irrigui si rendono necessari in relazione all'andamento meteorologico stagionale ed alla fase fenologica. 8. Interventi autunnali. Nel periodo di completo disseccamento della parte aerea si dovra' provvedere allo sfalcio, all'asportazione ed alla bruciatura della stessa, allo spianamento dei cumuli del terreno, a fine raccolta, onde evitare l'esagerato innalzamento dell'apparato radicale della pianta. 9. Raccolta. I periodi massimi di raccolta, considerando come primo anno l'anno d'impianto, sono i seguenti: Il periodo di raccolta deve essere compreso tra il 1B0 marzo ed il 15 giugno. Le produzioni in coltura forzata o protetta (tunnel) possono essere raccolte prima della suddetta data e comunque non prima del 1B0 febbraio previa autorizzazione dell'organismo di controllo. La produzione massima consentita in asparagiaia in piena produzione, e' pari a 80 q/ha. Il condizionamento del prodotto ed il suo confezionamento devono avvenire all'interno della zona di produzione delimitata dall'art. 3 del disciplinare per assicurare le caratteristiche tipiche, la rintracciabilita' e il controllo del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico Le condizioni ambientali e tecnico-colturali degli impianti destinati alla produzione dell'Asparago Bianco di Bassano, atte a conferire al prodotto le caratteristiche tipiche, sono le seguenti: 1. I terreni. I terreni della zona di produzione dell'Asparago Bianco di Bassano sono caratterizzati da una tessitura di tipo franco o franco-sabbiosa, con un sottosuolo ricco di ghiaia, dotati di una buona permeabilita' e di una discreta presenza di sostanza organica; il pH si colloca su valori prevalenti di 5,5-7,5 (terreni sub-acidi-neutri). L'area interessata e' di origine alluvionale, essendo ricompresa nell'area della Valsugana che ospita il fiume Brenta. La sua caratteristica risulta determinata dalla composizione fisico-chimica dei materiali detritici, ghiaiosi, sabbiosi e limosi trasportati dalle acque correnti e depositati sulla pianura fluviale, che ne caratterizzano la composizione. Tale caratteristica, aggiunta alla bassa presenza di carbonati, influisce positivamente sulle caratteristiche qualitative dell'Asparago di Bassano ed in particolare sull'assenza di fibrosita', determinando l'ottenimento di turioni teneri ed integralmente consumabili. 2. Il clima. Le zone di coltivazione dell'Asparago Bianco di Bassano presentano una situazione climatica che risente fortemente dell'influenza del fiume Brenta che attraversa la Valsugana e della protezione, a monte, delle Prealpi Venete e del Massiccio del Grappa. Il clima pertanto si presenta mite e ventilato, non umido, caratteristiche che influiscono positivamente sulla sanita' della coltura, riducendo l'incidenza della malattie crittogamiche. Le precipitazioni medie annuali si collocano intorno ai 1.000 mm annui con massimi in corrispondenza dei mesi di aprile-maggio e settembre-ottobre. In riferimento alla temperatura il valore medio si aggira dai 2,5B0 ai 23B0 con valori estremi nei mesi di gennaio e luglio. Tra gli eventi meteorologici da tenere in considerazione, si segnala l'andamento e la direzione del vento che dall'Alta Valsugana si spinge verso sud-est, determinando un micro clima locale, caratterizzante l'areale di coltivazione gli scarsi ristagni di umidita', una minore presenza di nebbie, una minore incidenza sull'escursione termica dei suoli permette di ridurre sensibilmente le fitopatie nella coltura. L'elevata areazione riduce inoltre la presenza di ristagni che permette alla coltura di svilupparsi in maniera costante. La Serenissima stimava l'asparago cibo nobile in quanto se ne trova traccia nella contabilita' di banchetti offerti ad ospiti di gran riguardo gia' nel primo Cinquecento. Dal Seicento lo coltivava diffusamente negli Orti di Terraferma. I padri in viaggio per il Concilio della Controriforma di Trento (1545-1563), transitando da Bassano, ebbero modo di gustare il prodotto locale e ci fu chi, tra loro, lascio' scritto dei suoi pregi dietetici. In una leggenda trascritta si racconta che S. Antonio da Padova aveva portato dall'Africa delle sementi di asparago. Recatosi a Bassano per ammansire il tiranno Ezzelino, concludeva positivamente l'incontro. Tornando verso Padova, percorrendo la strada che congiungeva Bassano a Rosa', cospargeva tra le siepi le sementi che rendono tuttora quella terra come la piu' indicata e feconda per la coltura del turione. In un famoso dipinto del pittore veneziano Giovambattista Piazzetta (1682-1754) "La Cena di Emmaus" - Claveleur Museum of Art - e' ben visibile il piatto di asparagi preparato secondo la tradizionale ricetta bassanese: "sparasi e ovi, sale e pevare, oio e aseo" (asparagi e uova, sale e pepe, olio e aceto). Nel 1847 il prof. Ferrazzi ("Alcuni cenni dell'Agronomia e della Industria Bassanese, 1847, pag. 14, in allegato 5) descrivendo le qualita' delle produzioni agricole locali, affermava "gli asparagi bassanesi si' candidi, si' buoni, si' saporosi, non vogliono essere altrimenti lodati; sono il dono piu' bello e gradito della nuova stagione". Alla voce asparago dell'Enciclopedia Agraria Italiana (Ed. 1952), riporta l'opinione generale che anche in altre localita' "l'asparago coltivato sia il bassanese, tuttora preferito alle razze d'Argenteuil per il migliore adattamento al clima ed anche per le sue ottime qualita' organolettiche". Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione e' svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del reg. (CEE) n. 2081/82. Articolo 8. Modalita' di confezionamento ed etichettatura 1. Imballaggio e presentazione. Il contenuto di ogni imballaggio deve contenere mazzi della medesima grandezza; ogni mazzo deve essere omogeneo. I turioni devono essere venduti confezionati in mazzi saldamente legati, con peso compreso fra 0,5 e 4 kg. I turioni che si trovano all'esterno del mazzo devono corrispondere, per aspetto e dimensioni, alla media di quelli che lo costituiscono; i turioni devono essere di lunghezza uniforme. 2. Confezionamento dei mazzi. Come da tradizione, dopo aver pareggiato il fondo, ogni mazzo deve essere legato saldamente con una "Stroppa" (giovane ramo o"succhione" di salice). Ad ogni mazzo deve essere apposto un contrassegno, fissato alla stroppa, riportante il marchio della D.O.P. "Asparago Bianco di Bassano" nonche' il numero di identificazione progressiva del mazzo che ne permette la rintracciabilita'. I mazzi devono essere disposti regolarmente nell'imballaggio. 3. Caratteristiche degli imballaggi. I mazzi possono essere riposti in contenitori di legno, plastica o altro materiale idoneo. All'esterno di ogni imballaggio devono essere apposte, con indicazione diretta o con apposita etichetta, le seguenti informazioni: ASPARAGO BIANCO DI BASSANO - D.O.P. nome del produttore; ragione sociale ed indirizzo del confezionatore; data di confezionamento; nonche' le seguenti caratteristiche commerciali: categoria di qualita' (Norme UE); calibro; numero di mazzi; peso medio dei mazzi. Il marchio del prodotto e' costituito dal logo della DOP e dal codice progressivo, identificativo del prodotto e del produttore a garanzia della tracciabilita' del prodotto. Tale marchio viene affissato con una chiusura non riutilizzabile, alla "stroppa", nella parte superiore del mazzo, a garanzia del prodotto DOP. Il logo e' costituito da un disco verde dal bordo sagomato a 24 lobi. Tale disco verde e' contornato da due profili anch'essi ondulati di colore rosso il piu' esterno e di colore bianco il piu' interno. Al centro del disco verde, occupandone i due terzi della superficie, e' posto il disegno stilizzato di un mazzo di asparagi di colore bianco profilati di verde formato da cinque asparagi in primo piano e quattro dietro a questi, attraversati per tutta la larghezza e per un terzo dell'altezza dalla sagoma inserita centralmente in colore rosso del Ponte palladiano in legno a quattro piloni di Bassano del Grappa. Sotto gli asparagi, disposta a semicerchio, leggibile da sinistra a destra e' collocata la scritta di colore bianco con il carattere France Bold ttf in maiuscolo "Asparago bianco di Bassano". I colori di riferimento sono il verde Pantone 348, il rosso Pantone 186 e il bianco. Le dimensioni del logo riportate nelle targhette identificative dei mazzi, in alluminio ossidato o serigrafato, atossico, avranno diametro di 3 centimetri. Il logo eventualmente riportato su imballaggi, confezioni, depliant, ecc. dovra' in ogni caso avere delle dimensioni significativamente superiori a qualunque altra scritta. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Vicenza |
Asparago Bianco di Cimadolmo Asparago Bianco di Cimadolmo IGP Disciplinare di produzione - Asparago Bianco di Cimadolmo IGPArticolo 1. Nome del Prodotto La denominazione Asparago Bianco di Cimadolmo e riservata ai turioni di asparago che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel Reg.CE 2081/92 e nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Le cultivar idonee alla produzione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo sono: - PRECOCE D'ARGENTEUIL - GLADIO - LARAC - DARIANA - JM2001 - JM2004. Possono essere presenti negli impianti altre cultivar fino a un massimo del 20%. Articolo 3. Delimitazione della zona geografica di produzione La zona geografica di produzione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo ricade in provincia di TREVISO e comprende l'intero territorio comunale di: BREDA DI PIAVE CIMADOLMO FONTANELLE MARENO DI PIAVE MASERADA SUL PIAVE ODERZO ORMELLE PONTE DI PIAVE SAN POLO DI PIAVE SANTA LUCIA DI PIAVE VAZZOLA che viene delimitata ed evidenziata nell'allegata carta geografica. Articolo 4. Condizioni pedoclimatiche - tecniche colturali Condizioni pedoclimatiche. Nell'ambito della zona sopra delimitata sono idonee alla coltivazione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo i terreni, aventi le seguenti caratteristiche: terreni sabbiosi-limosi, di origine alluvionale, sciolti, soffici, con reazione da neutra a subalcalina, permeabili e accuratamente drenati. Il clima e quello temperato - umido tipico della zona di produzione, caratterizzato da primavere con elevate intensita di pioggia che favoriscono il rapido accrescimento dell'asparago, consentendo l'ottenimento di turioni bianchi, teneri e privi di fibrosita. Condizioni tecnico colturali Scelta del materiale vivaistico: - devono essere impiegate zampe o piantine esenti da malattie. Sistema di produzione ed impianto: Il periodo di trapianto per le zampe e tra marzo ed aprile. La densita d'impianto non deve superare le 16 mila piantine e/o zampe per ha, con larghezza tra le file non inferiore a due metri e mezzo. La coltura non deve succedere a se stessa o ad altre liliacee per almeno 24 mesi. Inoltre la Coltura non deve succedere alla bietola, patata, carota e leguminose. E' da eseguire un'analisi completa del terreno ove tale coltura e destinata e ripeterla almeno dopo cinque anni. Gestione del suolo e nutrizione delle piante: II terreno destinato all'impianto deve essere preparato procedendo ad una aratura leggera, preceduta o seguita da ripuntatura profonda. Per la formazione dei cumuli per la produzione di turioni bianchi non deve essere impiegato l'aratro ma un'attrezzatura idonea. E' d'obbligo la pacciamatura per la produzione di turioni bianchi. In caso di utilizzo di film plastico nero lo spessore minimo deve essere di 0,1 mm. Mediamente un quintale di asparago asporta: 2,5 kg di azoto, 0,7 kg di fosforo, 2,25 kg di potassio; tali quantitativi sono da reintegrare con la concimazione. L'azoto ed il potassio vanno distribuiti da maggio a fine luglio, il fosforo ed il boro a fine autunno - inizio inverno. . La concimazione minerale deve essere integrata con ammendanti organici. . L'asparago abbisogna di irrigazioni. In periodo siccitoso sono da apportare 50 mm . di acqua ogni 10 giorni. In relazione al livello pluviometrico, si rendono in media necessari 3-4 interventi irrigui da giugno a tutto agosto. Difesa fitosanitaria: La difesa fitosanitaria deve fondarsi sulla corretta applicazione delle tecniche agronomiche. Deve pertanto fare ricorso alle tecniche di lotta integrata indicate dai Servizi fitosanitari preposti o di lotta biologica in modo da ridurre al minimo indispensabile gli interventi di chimici. Raccolta: La raccolta inizia a partire dal terzo anno. I primi turioni si raccolgono in marzo (il venti circa) ed il periodo di raccolta si protrae per 15-20 giorni al terzo anno di impianto, per 40-60 giorni dal quarto anno in poi. Il periodo di raccolta non deve in ogni caso protrarsi oltre il 30 maggio. La produzione massima prevista e di 7000 Kg/ha. I turioni di Asparago Bianco di Cimadolmo vanno raccolti nelle ore piu fresche della giornata e con minore intensita di luce. Articolo 5. Controlli Gli impianti idonei alla produzione della IGP "Asparago Bianco di Cimadolmo" sono iscritti in un apposito elenco attivato, tenuto ed aggiornato dall'organismo di controllo di cui all'art. 10 comma 2, del regolamento CEE 2081/92. Ai fini dell'espletamento dei controlli e per garantire la rintracciabilita del prodotto, il produttore e tenuto a presentare all'organismo di controllo la denuncia di inizio raccolta, indicando l'eventuale centro di lavorazione e confezionamento, e successivamente annotare su apposito registro con cadenza settimanale i quantitativi prodotti ed eventualmente conferiti al predetto centro. Infine il produttore, entro 30 giorni dalla data indicata di fine raccolta, deve presentare al citato organismo di controllo una denuncia finale della produzione annuale. Articolo 6. Caratteristiche del prodotto I turioni dell"'Asparago Bianco di Cimadolmo" devono essere totalmente bianchi, cosi come previsto dalla normativa comunitaria sulla commercializzazione degli asparagi. Inoltre i turioni dell'"Asparago Bianco di Cimadolmo" devono essere: - interi; - di aspetto e di odore freschi; - sani; - esenti da attacco di roditori o insetti; - praticamente esenti da ammaccature; - puliti, e cioe praticamente privi di terra e di qualsiasi altra impurita; - privi di umidita estema eccessiva, cioe sufficientemente asciutti dopo l'eventuale lavaggio o refrigerazione con acqua fredda (i turioni possono essere lavati non immersi); . privi di odore o sapore estraneo. La sezione praticata alla base deve essere il piu possibile netta e perpendicolare all'asse longitudinale. Inoltre i turioni non devono essere vuoti, ne spaccati, ne pelati, ne spezzati. Sono tollerati lievi spacchi sopraggiunti dopo la raccolta purche non superino i limiti previsti dalle tolleranze. L"'Asparago Bianco di Cimadolmo", ai fini dell'immissione al consumo, e classificato nelle seguenti n. 2 categorie : - Categoria Extra; - Categoria Prima. Articolo 7. Conservazione e condizionamento 1) Conservazione: Dopo la raccolta gli asparagi devono essere avviati al centro di lavorazione entro 12 ore, consegnati in mazzi o alla rinfusa. Per la loro conservazione e indispensabile rallentare il metabolismo del prodotto, mediante un rapido raffreddamento del prodotto tramite conservazione a temperatura idonea. 2) Condizionamento. Il condizionamento deve essere tale da assicurare al prodotto una sufficiente protezione. Al condizionamento il prodotto deve essere privo di qualsiasi corpo estraneo. I turioni devono essere presentati in una delle maniere seguenti: A) in mazzi saldamente legati da 0,5 kg a 3 kg. I turioni che si trovano sulla parte estema di ciascun mazzo devono corrispondere per aspetto e dimensione alla media di quelli che lo costituiscono. I mazzi devono essere disposti regolarmente nell'imballaggio; ogni mazzo puo essere protetto da carta. In uno stesso imballaggio i mazzi devono essere dello stesso peso e della stessa lunghezza; B) In imballaggi unitari o disposti nell'imballaggio a strati ma non in mazzi. Il contenuto di ogni imballaggio o di ogni mazzo in uno stesso imballaggio deve essere omogeneo e deve contenere solo turioni della stessa categoria di qualita e dello stesso calibro. Articolo 8. Etichettatura L'etichetta deve essere posta a fascia nella zona centrale del mazzo o al di sopra della confezione (per il prodotto presentato in imballaggi unitari). In etichetta la designazione della I.G.P. deve essere indicata attraverso le diciture: "Asparago Bianco di Cimadolmo" e "Indicazione Geografica Protetta", in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e colorimetria. Sull'etichetta deve essere apposto il sigillo di garanzia contenente il logo, ovvero il simbolo distintivo dell'Indicazione Geografica Protetta, la cui descrizione, raffigurazione e indici colorimetrici sono riportati in allegato al presente disciplinare. E' fatto divieto di usare, nella designazione e presentazione della indicazione geografica protetta di cui all'art. 1 qualsiasi altra indicazione ed aggettivazione aggiuntiva, diverse da quelle previste dal presente disciplinare. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso |
Asparago di Badoere Asparago di Badoere IGP Disciplinare di produzione - Asparago di Badoere IGPArticolo 1. Denominazione La denominazione "Asparago di Badoere" I.G.P. - nelle tipologie Bianco e Verde - è riservata ai turioni di asparago che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione ai sensi del Reg. CEE 2081/92. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L' "Asparago di Badoere" deve essere costituito da turioni generati da piante della famiglia delle Liliacee - genere Asparagus - specie officinalis - varietà "Dariana", "Thielim", "Zeno", “Avalim”,“Grolim” per la tipologia “bianca”, varietà “Eros”, “Thielim”, “Grolim”, “Dariana”, “Avalim” per la tipologia “verde”. All'atto dell'immissione al consumo l' "Asparago di Badoere " I.G.P. . per entrambe le tipologie deve essere: - Intero; - Sano; - Privo di danni provocati da un lavaggio inadeguato; - Pulito; - Di aspetto e di colore fresco; - Privo di parassiti; - Privo di danni provocati da parassiti; - Privo di ammaccature; - Privo di umidità esterna anormale; - Privo di odore e/o sapore estranei; - Croccante; - Non vuoto; - Non pelato. Il taglio alla base dovrà essere netto e perpendicolare all'asse longitudinale, ed in particolare: "Asparago di Badoere" I.G.P. - Bianco Categoria Extra: Conformazione:turione diritto; apice molto serrato; Colore: bianco, con possibili sfumature rosate acquisite dopo la fase di confezionamento; Sapore: dolce, non acido, non salato, tenero, privo di fibrosità, aroma lieve di legumi freschi e spiga di grano matura, con venature di amaro appena percepibili; Calibro: da 12 a 20 mm; con differenza massima di 6 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo o imballaggio; Lunghezza: Compresa tra i 14 e i 22 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. Categoria Prima: Conformazione: turione diritto; apice serrato; Colore: bianco, con possibili sfumature rosate acquisite dopo la fase di confezionamento; Sapore: dolce, non acido, non salato, tenero, privo di fibrosità, aroma lieve di legumi freschi e spiga di grano matura, con venature di amaro appena percepibili; Calibro: da 10 a 22 mm; con differenza massima di 8 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. Lunghezza: compresa tra i 14 e i 22 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Verde Categoria Extra: Conformazione:turione diritto, con possibile leggera deviazione della punta, apice molto serrato; Colore: parte apicale - verde intenso e brillante, con possibili sfumature violacee; parte basale (non superiore al 5% del turione) – verde con variazioni violacee fino al bianco; Sapore: dolce e marcato, non acido, non salato, non amaro, tenero, privo di fibrosità, aroma fruttato ed erbaceo persistente; Calibro: da 12 a 20 mm; con differenza massima di 6 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo; Lunghezza: Compresa tra i 18 e i 27 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo. Categoria Prima: Conformazione:turione diritto, con possibile leggera deviazione della punta, apice serrato; Colore: parte apicale - verde intenso e brillante, con possibili sfumature violacee; parte basale (non superiore al 5% del turione) - verde con variazioni violacee fino al bianco; Sapore: dolce e marcato, non acido, non salato, non amaro, tenero, privo di fibrosità, aroma fruttato ed erbaceo persistente; Calibro da 8 a 22 mm; con differenza massima di 8 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo; Lunghezza: Compresa tra i 16 e i 27 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo. In relazione alle caratteristiche delle categorie sopra descritte, devono ritenersi ammesse tolleranze per un massimo del 3% per ogni tipologia. Articolo 3. Zona di produzione e confezionamento La zona di produzione e confezionamento dell’ "Asparago di Badoere" I.G.P. comprende nell'ambito delle province di Padova, Treviso e Venezia, l'intero territorio dei seguenti comuni: Provincia di Padova: Piombino Dese; Trebaseleghe; Provincia di Treviso: Casale sul Sile; Casier; Istrana; Mogliano Veneto; Morgano; Paese; Preganziol; Quinto di Treviso; Resana; Treviso; Vedelago; Zero Branco; Provincia di Venezia: Scorzè. All’interno di detta area geografica la produzione dell’”Asparago di Badoere” I.g.p. può avvenire esclusivamente nei terreni che soddisfano le condizioni di cui all’art. 6. Articolo 4. Elementi comprovanti l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione, dei produttori, dei confezionatori nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta La coltivazione dell' " Asparago di Badoere" potrà avvenire in serra o in pieno campo. La messa a dimora delle "zampe" deve essere effettuata nel periodo compreso tra il primo febbraio e il 30 giugno, con una densità massima d'impianto di 22.000 piantine-zampe/ettaro. In ogni caso la coltura non potrà succedere a se stessa o ad altre liliacee per un minimo di 36 mesi; è fatto, inoltre, divieto di far succedere, per un minimo di 12 mesi, la coltura dell'asparago a patate, carote, barbabietole e leguminose. Annualmente potranno essere effettuati interventi di concimazione sia organica che chimica. Tali interventi dovranno prevedere non meno di una concimazione organica. Le concimazioni chimiche comunque non potranno superare le seguenti unità: - azoto (N) 150 kg/ha; - fosforo (P205) 100 kg/ha; - potassio (K20) 200 kg/ha. L'impianto inoltre, dovrà essere mantenuto in perfetta efficienza mediante una regolare attività di controllo delle infestanti che potrà avvenire sia con mezzi meccanici che con interventi chimici. A partire dalla data di impianto e per almeno 18 mesi, cioè nella cosiddetta fase di rafforzamento, al fine di garantire il sano accrescimento delle piante, è vietata la raccolta di qualsivoglia turione. Per la tipologia Bianco è obbligatorio effettuare una baulatura ed una pacciamatura delle piante, mediante l'utilizzo di un film plastico nero dello spessore minimo di 0,10 mm o di altro materiale idoneo ad inibire il normale processo di fotosintesi. La raccolta dell'" Asparago di Badoere" dovrà avvenire - conclusa la fase di rafforzamento - tra il primo febbraio e il 31 maggio di ogni anno. La quantità massima/ettaro dopo la toilettatura non potrà superare i 7.000 kg. Articolo 6. Aspetti pedoclimatici comprovanti il legame con l'ambiente geografico La zona di produzione dell'" Asparago di Badoere" è caratterizzata da una temperatura media ponderata di ca. 15° C, con escursioni che possono superare, nell'arco dell'anno, i 30° C. Le precipitazioni medie annue si collocano attorno ai 900 mm. I giorni maggiormente piovosi si concentrano - normalmente - nel periodo primaverile ed autunnale. Queste condizioni escludono la necessità di interventi irrigui nel periodo di raccolta dei turioni, evitando ogni sorta di stress idrico alle piante che garantiscono, in questo modo, agli asparagi di Badoere una qualità ottima. Il territorio, inoltre, è caratterizzato dalla presenza di fiumi di risorgiva, a lento decorso, quali i fiumi: Sile, Zero, Dese e degli affluenti degli stessi, capaci di rendere i terreni fertili e produttivi. Questo garantisce un'ottima vigoria delle piante senza la necessità di intervenire con concimazioni oltre a quelle definite all’art. 5; la bassa concentrazione di azoto, inoltre, consente l'ottenimento di turioni integri privi di evidenti spaccature o fessurazioni. La zona di produzione è caratterizzata da terreni sciolti. La coltivazione dell’"Asparago di Badoere" è possibile solo in terreni: Profondi, a tessitura da moderatamente grossolana a media, scarsamente calcarei in superficie, a reazione da subalcalina a neutra e drenaggio da buono a medio, con possibile accumulo di carbonato di calcio in profondità (caranto). Terreni così caratterizzati garantiscono agli asparagi di Badoere un rapido sviluppo assicurando cosi turioni che dal punto di vista fisico, presentano scarsa fibrosità e un colore particolarmente brillante; e dal punto di vista organolettico acquisiscono le caratteristiche distintive descritte all’art. 2. La compresenza di tali condizioni costituiscono un elemento imprescindibile a garanzia della qualità dell'" Asparago di Badoere" poichè concorre a definire gli aspetti fisici e organolettici tipici del prodotto. Nel Veneto la coltura dell'asparago ha una lunga tradizione, l'origine sembra risalire alla conquista da parte dei Romani delle terre venete. Fin dal medioevo questa coltivazione era conosciuta ed affermata nel territorio che si estende a sud delle Prealpi venete in una fascia pianeggiante che collega idealmente il medio corso del Brenta, del Sile e del Piave, aree connotate da terreni accomunati dalla presenza di quei fiumi la cui rilevanza in termini agronomici non necessita certamente di spiegazioni. La coltivazione specializzata della pianta, comunque, è però piuttosto recente, essendosi sviluppata dopo l'ultimo conflitto mondiale in concomitanza con la trasformazione delle mezzadrie e con l'abbandono degli allevamenti del baco da seta che ha reso disponibile, nella stagione primaverile (periodo nel quale, precedentemente, l'allevamento del baco richiedeva un impegno notevole), una manodopera che diversamente non avrebbe trovato impiego. Dal punto di vista documentale sono innumerevoli le fonti che annoverano l'"Asparago di Badoere" come una delle produzioni locali più pregiate del Veneto. Vale la pena altresì ricordare, inoltre, che l'importanza di Badoere nella produzione degli asparagi, a livello provinciale, spinse l'amministrazione comunale di Morgano, ad organizzare fin dal 1968 la "Prima Mostra Provinciale dell'Asparago", tradizione che si tramanda ancor oggi. Un'attività che è fortemente radicata nella cultura degli abitanti del territorio interessato a questa produzione dove le tecniche di coltivazione sono state tramandate di generazione in generazione. La particolare combinazione dei fattori produttivi, quali la manualità e l'artigianalità unitamente ai fattori pedoclimatici dell'area delimitata consente a questo tipo di produzione di differenziarsi con decisione da tutto il comparto di riferimento. La grande diffusione e notorietà del prodotto, raggiunte grazie alla realizzazione di diverse iniziative promozionali, dimostrano la grande reputazione dell'''Asparago di Badoere". Articolo 7. Struttura di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del Reg. CEE 2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura AI fine di consentirne la commercializzazione, gli asparagi che si fregiano della denominazione"Asparago di Badoere" I.G.P. devono essere confezionati, nella zona di produzione indicata all'articolo 3 del presente disciplinare, nel rispetto delle seguenti disposizioni: A. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Bianco - In mazzi saldamente legati con rafia per un peso compreso tra i 0,7 e 1,2 kg; - In confezioni idonee ad uso alimentare per un peso non superiore a 2,0 kg. b. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Verde - In mazzi legati con rafia o elastico per un peso compreso tra i 0,5 e 1,2 kg; - In confezioni idonee ad uso alimentare per un peso non superiore a 2,0 kg. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo ed includere soltanto asparagi dello stesso tipo, categoria e calibro. La parte visibile dell'imballaggio deve essere rappresentativa dell'insieme. Il condizionamento deve essere tale da assicurare al prodotto una sufficiente protezione. I mazzi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Sui mazzi e sulle confezioni deve essere apposta un'etichetta indicante: - in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture "Asparago di Badoere" I.G.P. con specifico riferimento alla tipologia - verde o bianco - confezionata; - gli elementi atti ad individuare: · nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del confezionatore; · la categoria commerciale Extra o Prima secondo quanto disciplinato dall'art. 2 del presente disciplinare; · calibro; · nonché quanto previsto dalla normativa vigente; Tale etichetta potrà riportare altresì altre indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. Su ciascun mazzo o confezione, inoltre, dovrà essere apposto il sigillo di garanzia in maniera tale che l'apertura del mazzo o della confezione comporti la rottura dello stesso sigillo, contenente il logo della I.G.P. "Asparago di Badoere" e ogni altra indicazione prevista dalla normativa vigente. II logo identificativo della I.G.P. "Asparago di Badoere" è costituito da un quadrato con angoli arrotondati, con all’interno una rappresentazione grafica suddivisa in due piani. In primo piano è presente il prodotto con la stilizzazione grafica di 5 asparagi raggruppati a forma di mazzo, in secondo piano un disegno grafico rappresenta un particolare della costruzione architettonica della barchessa presente nella piazza del paese, una quinta sagomata ad onda suddivide i due piani e nella sua parte inferiore destra appare la dicitura "Asparago di Badoere" in due righe. Il logo è realizzato con l'utilizzo, nei vari campi, di n° 04 colori presenti nella scala cromatica Pantone: P293CV, P410CV, P471CV, P155CV. Bordo che racchiude tutto il logo 100% P293CV Tratto che disegna gli asparagi 100% P410CV Tratto che raggruppa i 5 asparagi a forma di mazzo 80% P471CV Area a forma di onda che suddivide i due piani grafici 100% P293CV Bordo che delimita la parte superiore della sagoma onda 70% P293CV Facciata esterna della barchessa 100% P155CV Traccia tetto barchessa 80% P471CV Profilo cornice su tetto barchessa 100% P410CV Profilo cornice tra fori finestre e colonne su facciata barchessa 100% P410CV Consorzio dell’Asparago di Badoere Tracce delimitanti le colonne 100% P410CV Parte in luce basamento colonne 40% P410CV Parte in ombra basamento colonne 60% P410CV Capitello colonne 60% P410CV Parte superiore al capitello colonne, parte in ombra 80% P471CV Parte superiore al capitello colonne, parte in luce 60% P471CV Filetti su parte superiore capitello colonne e capitello arco 100% P471CV Zona in ombra parte superiore sagoma arco portico 100% P410CV Zona in ombra parte inferiore sagoma arco portico 80% P410CV Sagome finestre/porte e pavimento interno portico 100% P410CV Parete verticale interno portico 60% P410CV Area cielo 20% P293CV Scritta "Asparago di Badoere" 100% Bianco | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Padova, Treviso, Venezia |
Asparago di Cantello Asparago di Cantello IGP Disciplinare di produzione - Asparago di Cantello IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Lombardia | Varese |
Asparago verde di Altedo Asparago Verde di Altedo IGP Asparago Verde di Altedo IGP
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Bologna, Ferrara |
Basilico Genovese Basilico Genovese DOP Disciplinare di produzione -Basilico Genovese DOPArticolo 1. La denominazione di origine protetta “Basilico Genovese”, di seguito indicata con la sigla DOP, è riservata, nel settore orticolo, a basilico (Ocimum Basilicum L.) di tipologia genovese che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Sementi e caratteristica della pianta Le sementi impiegabili per la produzione del “Basilico genovese” D.O.P. devono appartenere alla specie Ocimum Basilicum L., di ecotipi o selezioni autoctone, ed avere le caratteristiche di seguito elencate: - pianta con altezza da media a molto alta e portamento espanso o cilindrico; - densità del fogliame classificabile nelle classi di espressione intermedie (medio-bassa, media, medio-alta) e non nelle classi estreme (bassa o alta); - forma della foglia ellittica; - bollosità del lembo e incisioni del margine assenti/molto deboli o deboli; - piano della lamina fogliare piatto o convesso; - assenza totale di aroma di menta; - aroma intenso e caratteristico. Articolo 3. Zone ed epoca di produzione La zona di produzione del “BASILICO GENOVESE” D.O.P. è delimitata al solo versante tirrenico del territorio amministrativo della Regione Liguria con delimitazione individuabile nello spartiacque. Nella stessa zona deve avvenire il condizionamento, garantendo in tal modo la rintracciabilità e il controllo della denominazione e preservando le caratteristiche qualitative del prodotto, facilmente deteriorabile. Le produzioni sono realizzabili durante tutto l’arco dell’anno. Articolo 4. Legame storico della coltura con l’area geografica Il basilico è stato introdotto in diverse aree del Mediterraneo e nella stessa Liguria dai Romani che ad esso attribuivano proprietà curative. Il basilico divenne coltura tradizionale ed il suo uso venne esteso anche a quello culinario. Il nucleo originario di produzione era circoscritto all’areale genovese. Consolidandosi le condizioni favorevoli di mercato per il largo consumo di basilico per la preparazione di numerose ricette e del celeberrimo pesto genovese, la zona di produzione si è allargata investendo anche tutta la fascia marittima del territorio ligure. Articolo 5. Elenco dei produttori e denunce di coltivazione I produttori in regola con i requisiti del presente disciplinare, che vogliono fregiarsi della DOP “Basilico Genovese” dovranno iscriversi all’Elenco dei Produttori gestito dallo specifico organismo di controllo e denunciare annualmente al gestore del medesimo comunque almeno 30 giorni prima della semina: - le superfici da investire distinte in piena aria, coltura protetta - la varietà di semente utilizzata, tipologia produttiva (consumo fresco/per la trasformazione) - dimensioni massime del mazzetto o del bouquet che si intende adottare all’interno di quanto stabilito nel presente disciplinare. Entro il 31 gennaio dell’anno successivo alla denuncia di coltivazione il produttore si impegna a trasmettere i quantitativi effettivamente prodotti e commercializzati. E’ fatto divieto ai produttori di superare i quantitativi stabiliti nel presente disciplinare. Terreno e ambienti di coltivazione La coltivazione del “BASILICO GENOVESE” DOP può essere effettuata nei seguenti ambienti di coltivazione: in ambiente protetto e in pieno campo. In ambiente protetto la coltivazione può essere svolta tutto l’anno purché venga assicurata una ventilazione continua 24 ore/giorno, rinnovando l’intero volume di aria contenuta nella serra almeno 2 volte/ora dal tramonto al sorgere del sole e almeno 20 volte/ora dal sorgere del sole al tramonto. Tale ricambio di aria deve essere garantito dall’opportuna gestione delle aperture di ventilazione e, nel periodo invernale, eventualmente anche con il contributo dell’impianto di riscaldamento di soccorso. Sono esplicitamente escluse dal presente disciplinare serre insect-proof, o serre che non garantiscano gli scambi di aria sopra indicati come minimi. La coltivazione del “BASILICO GENOVESE” DOP in ambiente protetto può essere eseguita sia su bancale, sia in piena terra. E’ vietata la produzione di “BASILICO GENOVESE” DOP su substrati privi di terreno naturale. Nel caso della coltivazione su bancale, il terreno di coltivazione deve essere quello naturale prelevato, nella stessa area in cui insiste l’azienda. In particolare, al fine di restituire al terreno naturale trasportato su bancale le caratteristiche fisiche proprie, è ammesso miscelare ammendamenti minerali in percentuale non superiore al 20% in volume. E’ vietato l’uso del bromuro di metile per la disinfezione del terre. Denuncia di produzione Le produzioni consentite nell’arco dell’intero anno sono: 1) CONSUMO FRESCO: in coltura protetta: 7000 piantine /mq./anno confezionabili in mazzetti da 3 a 10 piantine oppure in bouquet da30 a 100 piantine. in piena aria: 2000 piantine /mq./anno confezionabili in mazzetti da 3 a 10 piantine oppure in bouquet da 30 a 100 piantine. 2) PER LA TRASFORMAZIONE: in coltura protetta: 10 Kg./mq/anno; in piena aria: 8 Kg/mq/anno. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame dell’ambiente. È noto a tutti che il basilico coltivato versante tirrenico della Liguria è caratterizzato da profumo e gusto del tutto particolari molto apprezzati dal mercato. Inoltre è esente dal gusto di menta che rappresenta una tara per l’uso in cucina di questa pianta. La rispondenza ai requisiti previsti dal presente disciplinare, nonché la provenienza del prodotto saranno verificati dall’organismo di controllo di cui al successivo art. 7. Il predetto organismo gestirà un apposito elenco di produttori di “BASILICO GENOVESE” DOP. Articolo 7. Organismo di controllo Il controllo sarà effettuato da un Organismo conforme alle previsioni dell’art. 10 Regolamento (CEE) n. 2081/92. Ai fini del presente disciplinare saranno controllate le produzioni massime di mazzetti e/o bouquet conseguiti a metro quadro. Articolo 8. Confezionamento 1) basilico da commercializzare fresco: La pianta intera è confezionata a mazzi con almeno due coppie di foglie vere (in particolare una coppia di foglie vere completamente distesa e la seconda in fase di formazione) e, al massimo, con quattro coppie di foglie vere. Sono identificabili due tipologie di mazzi: il mazzo piccolo o “mazzetto” e il mazzo grande o“bouquet”. Il mazzetto è composto da 3 a 10 piante intere complete di radici, è confezionato con carta per alimenti contrassegnata dal marchio D.O.P. ed è legato singolarmente. Mazzi di maggiori dimensioni rientrano nella tipologia del “bouquet”; un bouquet è costituito dall’equivalente numero di piante contenute in 10 mazzetti e vengono confezionati in modo analogo. Non è vincolante il peso del prodotto bensì il numero delle piante. Nella preparazione dei mazzi è consentita l’utilizzazione di materiale inerte da porre a contatto con le radici al solo fine di evitare una precoce disidratazione delle piantine in esso contenute. Gli imballaggi per contenere i singoli mazzi o gli eventuali sacchetti devono essere in materiale conforme alle normative vigenti e devono essere contrassegnati con il logo della DOP e con il marchio aziendale completo. L’identificazione aziendale dovrà avere dimensioni e posizionamento che la rendano sufficientemente evidente in rapporto al logo e alla dicitura della DOP. 2) Basilico per la trasformazione Per la trasformazione artigianale e/o industriale è necessario impiegare porzioni di piante integre con massimo quattro coppie di foglie vere. Il basilico dovrà essere avviato alla trasformazione unitamente alla documentazione fiscale relativa, che dovrà riportare la definizione DOP. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Liguria | La Spezia, Genova, Imperia, Savona |
Brovada Brovada DOPBrovada DOP Disciplinare di produzione - Brovada DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta “Brovada” è riservata al prodotto, ottenuto attraverso la macerazione, la fermentazione e il fettucciamento dell’ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ) “rapa da brovada” che rispetta le condizioni e le caratteristiche stabilite nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto La DOP “Brovada” identifica un prodotto ottenuto dalla trasformazione dell’ ecotipo locale “rapa da brovada” che deve presentare alla maturazione in campo le seguenti caratteristiche: radice a forma cilindrica o tronco conica che facilita il lavoro di fettucciamento; lunghezza minima 12 cm; polpa soda e succosa di colore bianco; epidermide con una colorazione rosso-violacea a partire dal colletto e fino a 2/3 della lunghezza complessiva, la parte restante bianca; radice interrata almeno per 1/3 della sua lunghezza totale. Il prodotto viene immesso al consumo grattugiato a fettucce con le seguenti caratteristiche: consistenza croccante ed elastica, mai dura; colore bianco crema, tendente al rosa o al rosato o al rosso in una scala di colori legata alle caratteristiche della vinaccia utilizzata; dimensione delle fettucce compresa tra i 3 e 7 mm; pH compreso tra 3,4 e 3,8; acidità volatile non superiore a 5,5 mg/g espressa come acido acetico; sapore acido senza sentori di vegetale fresco; aroma pungente di vinaccia. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento della “Brovada” DOP è compresa all’interno delle Province di Gorizia, Pordenone e Udine, nel territorio censuario ed amministrativo dei seguenti comuni, limitatamente ai territori presenti sotto i 1.200 metri slm: Provincia di Gorizia: Capriva del Friuli, Cormons, Dolegna del Collio, Doberdò del Lago, Farra d’Isonzo, Fogliano Redipuglia, Gorizia, Gradisca d’Isonzo, Grado, Mariano del Friuli, Medea, Monfalcone, Moraro, Mossa, Romans d’Isonzo, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Canzian d’Isonzo, San Floriano del Collio, San Lorenzo Isontino, San Pier d’Isonzo, Savogna d’Isonzo, Staranzano, Turriaco, Villesse. Provincia di Pordenone: Andreis, Arba, Arzene, Aviano, Azzano Decimo, Barcis, Brugnera, Budoia, Caneva, Castelnovo del Friuli, Casarsa della Delizia, Cavasso Nuovo, Chions, Cimolais, Claut, Clauzetto, Cordenons, Cordovado, Erto e Casso, Fanna, Fiume Veneto, Fontanafredda, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Morsano al Tagliamento, Pasiano, Pinzano al Tagliamento, Polcenigo, Porcia, Pordenone, Prata di Pordenone, Pravisdomini, Roveredo in Piano, Sacile, San Giorgio della Richinvelda, San Martino al Tagliamento, San Quirino, San Vito al Tagliamento, Sequals, Sesto al Reghena, Spilimbergo, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto, Travesio, Vajont, Valvasone, Vito d’Asio, Vivaro, Zoppola. Provincia di Udine: Aiello del Friuli, Amaro, Ampezzo, Aquileia, Arta Terme, Artegna, Attimis, Bagnaria Arsa, Basiliano, Bertiolo, Bicinicco, Bordano, Buja, Buttrio, Camino al Tagliamento, Campoformido, Campolongo al Torre, Carlino, Cassacco, Castions di Strada, Cavazzo Carnico, Cercivento, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Chiusaforte, Cividale del Friuli, Codroipo, Colloredo di Monte Albano, Comeglians, Corno di Rosazzo, Coseano, Dignano, Dogna, Drenchia, Enemonzo, Faedis, Fagagna, Fiumicello, Flaibano, Forgaria nel Friuli, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Gemona del Friuli, Gonars, Grimacco, Latisana, Lauco, Lestizza, Lignano Sabbiadoro, Ligosullo, Lusevera, Magnano in Riviera, Majano, Malborghetto-Valbruna, Manzano, Marano Lagunare, Martignacco, Mereto di Tomba, Moggio Udinese, Moimacco, Montenars, Mortegliano, Moruzzo, Muzzana del Turgnano, Nimis, Osoppo, Ovaro, Pagnacco, Palazzolo dello Stella, Palmanova, Paluzza, Pasian di Prato, Paularo, Pavia di Udine, Pocenia, Pontebba, Porpetto, Povoletto, Pozzuolo del Friuli, Pradamano, Prato Carnico, Precenicco, Premariacco, Preone, Prepotto, Pulfero, Ragogna, Ravascletto, Raveo, Reana del Rojale, Remanzacco, Resia, Resiutta, Rigolato, Rive d’Arcano, Rivignano, Ronchis, Ruda, San Daniele del Friuli, San Giorgio di Nogaro, San Giovanni al Natisone, San Leonardo, San Pietro al Natisone, San Vito al Torre, San Vito di Fagagna, Santa Maria la Longa, Savogna, Sedegliano, Socchieve, Stregna, Sutrio, Taipana, Talmassons, Tapogliano, Tarcento, Tarvisio, Tavagnacco, Teor, Terzo d’Aquileia, Tolmezzo, Torreano, Torviscosa, Trasaghis, Treppo Carnico, Treppo Grande, Tricesimo, Trivignano Udinese, Udine, Varmo, Venzone, Verzegnis, Villa Santina, Villa Vicentina, Visco, Zuglio. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei rispettivi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Coltivazione delle rape L’ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ), “rapa da brovada” è iscritto al Registro regionale per la “tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale” della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia alla sezione vegetali. La produzione del seme, operata attraverso la selezione fenotipica (ossia ottenimento del seme dalle piante migliori), avviene presso le aziende ricadenti nell’areale di produzione. E’ ammessa la riproduzione, selezione e coltivazione delle sementi ottenute esclusivamente per autoproduzione o approvvigionamento da un soggetto riconosciuto e inserito nel sistema di controllo di cui al successivo art. 7. Preparazione del terreno Precessione colturale: la rapa viene coltivata in successione ai cereali autunno vernini (orzo e frumento) o all’erba medica o su terreno libero dalla precedente annata agraria. La coltivazione della rapa non può succedere a se stessa o alle altre specie della famiglia delle Cruciferae. Semina. La semina avviene in modo scalare esclusivamente dal 15 giugno al 30 di agosto, utilizzando delle seminatrici a file da ortaggi; la semina può avvenire anche manualmente tramite la distribuzione del seme a spaglio. La semina deve avere una densità massima di 180.000 piante ettaro. Concimazione Devono essere sempre rispettati i seguenti massimali di concimazione chimica per ettaro di coltura nel caso dell’azoto da 0 a 60 unità/anno, per il fosforo da 0 a 90 unità/anno per il potassio da 0 a 120 unità/anno. Raccolta delle rape La raccolta delle rape deve iniziare a partire dal 1° settembre e quando le foglie basali della rapa ingialliscono e appassiscono e deve concludersi entro il 31 dicembre. La produzione massima dell’ecotipo rapa da brovada non deve superare le 45 tonnellate ettaro. Le rape dopo la raccolta possono: - essere immediatamente scollettate in campo sia manualmente utilizzando un coltello oppure tramite l’impiego di mezzi meccanici per la raccolta in campo dei tuberi; - non essere scollettate. In questo caso devono essere ridotte le foglie e accorciate a “ciuffo” senza intaccare la polpa. Conservazione delle rape Le rape scollettate devono essere: - avviate entro 24 ore dalla loro raccolta alle successive fasi di lavaggio e di immissione nei tini/contenitori per la fase di macerazione – fermentazione; - conservate senza essere lavate per un periodo massimo dal giorno della raccolta: di 10 giorni se questa avviene durante il mese di settembre; di 20 giorni se questa avviene durante il periodo compreso tra il 1° di ottobre al 31 dicembre (data ultima di conservazione delle rape scollettate 20 gennaio). Le rape non scollettate possono essere conservate per un periodo massimo di 40 giorni dalla raccolta. Le rape che vengono conservate devono essere stoccate in locali che assicurino una temperatura compresa tra gli 0 e i 25°C e un buon arieggiamento naturale e/o forzato. Le rape devono essere riposte in cassoni di legno e/o plastica oppure in sacchi di rete per tuberi e radici. Solo le rape non scollettate possono essere stoccate alla rinfusa con un altezza del cumulo mai superiore agli 80 cm. E’ ammessa la conservazione delle rape scollettate e non scollettate in cella frigorifera a temperature comprese tra 0 e 4°C e una umidità relativa compresa tra 80 e 95%, per un periodo massimo di 4 mesi dal giorno della raccolta. Lavaggio delle rape Le rape sono lavate sia manualmente che con attrezzature meccaniche; devono sempre essere immesse nei tini/contenitori entro le 72 ore successive al momento del loro lavaggio. Le rape non utilizzate immediatamente dopo il lavaggio, devono essere lasciate asciugare in locali condotti a una temperatura compresa tra i 0 e i 25°C, sempre nel rispetto dei tempi sopra indicati. Tecnica e metodo per l’ottenimento della brovada Materie prime per la formazione della massa fermentante: Rapa da brovada, ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ), di cui all’art. 2; Vinaccia con le seguenti caratteristiche: - proveniente esclusivamente dalla vinificazione di uve appartenenti ai vitigni a bacca rossa dell’area delimitata all’art. 3; - priva di muffe e marciumi evidenti; - asciutta e facile da sminuzzare; Acqua. Ingredienti facoltativi: Uva pigiata: proveniente da vitigni a bacca rossa coltivati nell’area delimitata all’art. 3 da mescolare esclusivamente alla vinaccia. Vino rosso: ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area delimitata all’art. 3. Aceto di vino rosso Sale marino grosso Non è ammesso l’uso di conservanti e coloranti. Conservazione della vinaccia L’ingrediente vinaccia se non viene utilizzato entro 30 giorni dal momento della sua pigiatura deve essere conservato per un periodo massimo di 13 mesi e, in questo caso, non deve essere mai stata utilizzata. La conservazione deve avvenire in locali che garantiscano temperature comprese tra gli 0 e i 30°C. I due metodi di conservazione della vinaccia ammessi sono: - mantenimento al riparo dalla luce in contenitori di plastica per alimenti e/o vetroresina e/o acciaio, il prodotto a tal fine deve essere pressato e il contenitore sigillato per evitare ogni contatto con l’aria. - mescolamento con del vino ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione in una proporzione massima del 50% in volume, in contenitori di plastica per alimenti e/o vetroresina e/o acciaio che vengono lasciati aperti. Preparazione e riutilizzo della vinaccia acidificata E’ ammessa la “acetificazione” della vinaccia prima che la stessa venga utilizzata per la stratificazione. Tale processo consiste nella macerazione della vinaccia da sola o addizionata agli ulteriori ingredienti nelle seguenti proporzioni: - per 100 Kg di vinaccia, acqua da 0 a 15 litri; - per 100 Kg di vinaccia, vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, da 10 a 20 litri; - per 100 Kg di vinaccia, uva a bacca rossa pigiata, ottenuta da vitigni coltivati nell’ area di produzione di cui all’ art. 3, da 30 a 50 Kg; - per 100 Kg di vinaccia, vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’ area di produzione di cui all’ art. 3, da 10 a 20 litri e uva a bacca rossa pigiata, ottenuta da vitigni coltivati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, da 30 a 50 Kg in proporzioni variabili tra loro. La macerazione deve avvenire in condizioni aerobiche per un periodo compreso tra i due e i trenta giorni; deve essere sempre garantita l’assenza dell’odore di muffa. E’ ammesso il riutilizzo della vinaccia acidificata usata durante un processo fermentativo per la preparazione di nuovi tini durante la stessa annualità produttiva. Se riutilizzata, deve essere eliminato sempre e completamente lo strato superficiale chiamato“cappello”. Preparazione della massa fermentante I contenitori in cui viene eseguito l’intero processo di fermentazione devono essere in legno, vetroresina, acciaio inox o plastica per alimenti. Le rape vengono quindi disposte nei tini/contenitori a strati con la vinaccia in modo alternato. Nella creazione degli strati deve sempre essere utilizzata una quantità di vinaccia pari ad un minimo del 25% del peso delle rape immesse e massimo del 100% del peso delle rape immesse. L’ultimo strato deve essere sempre costituito da vinaccia che assicuri la completa immersione dello strato più superficiale di rape per evitare ossidazioni e processi degenerativi. E’ ammesso distribuire il sale marino grosso a spaglio sopra ogni strato di vinaccia o al completamento della stratificazione alternata. La quantità di sale eventualmente aspersa non deve superare lo 0,5% della quantità in peso di rape immesse nel tino/contenitore. Dopo la preparazione della massa fermentante ogni tino viene coperto con tavole di legno non trattato. Caratteristiche del liquido di fermentazione A completamento della stratificazione si procede all’aggiunta di sola acqua oppure di acqua con l’aggiunta dei seguenti ingredienti: - aceto di vino rosso tra lo 0 e il 10% del totale del liquido utilizzato, - vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’ area di produzione di cui all’art. 3, tra lo 0 e il 10 % del totale del liquido utilizzato, - aceto di vino rosso e vino, in proporzioni diverse tra loro, per una quantità totale compresa tra lo 0 e il 10%. L’acqua o la soluzione acquosa deve essere versata fino a riempire completamente il contenitore. Il processo di riempimento deve essere completato entro il giorno successivo. Sono ammessi nei primi quattro giorni dall’inizio del processo di macerazione/fermentazione rabbocchi con l’acqua o con la stessa soluzione acquosa precedentemente utilizzata. Una volta estratte le rape è ammessa la riutilizzazione del liquido di fermentazione per la preparazione di nuovi tini. Il liquido deve avere il caratteristico odore acido e non deve essere oleoso. Caratteristiche e durata del processo fermentativo I locali dove vengono posti i tini/contenitori per la fermentazione devono avere una temperatura ambientale compresa tra gli 8 e i 25°C. La temperatura della massa fermentante a partire dal quarto giorno dalla copertura del tino/contenitore, deve essere monitorata al fine di assicurare una temperatura compresa tra i 10 e i 22°C. La durata del processo non deve essere mai inferiore: - ai 25 giorni per il prodotto avviato alla produzione durante il mese di settembre; - ai 30 giorni per il prodotto avviato alla produzione durante i mesi da ottobre a marzo. La conformità del processo fermentativo della massa è da considerare concluso quando la rapa tagliata a metà presenta: - la parte interna con la caratteristica colorazione bianco crema, tendente al rosa o al rosato o al rosso in una scala di colori legata alle caratteristiche della vinaccia utilizzata proveniente esclusivamente dalla vinificazione di uve dell’area di produzione di cui all’ art. 3 appartenenti a vitigni a bacca rossa; - un aroma di vinaccia; - non deve avere odore o sapore di rapa fresca; - elasticità, ovvero un pronto ripristino della superficie sottoposta a pressione manuale. Preparazione del prodotto per l’immissione al consumo Dopo la fase fermentativa, una volta estratte dai tini le rape vengono ripulite dalla vinaccia e lavate esclusivamente con acqua. Il prodotto che non viene lavato subito deve essere conservato esclusivamente nel liquido di fermentazione filtrato dalla vinaccia, per un massimo di 48 ore. Si procede alla selezione e pelatura delle rape. Deve essere eliminato il prodotto che presenta i seguenti difetti: ammaccature e muffe profonde, non eliminabili con il taglio e la pulizia; parti annerite e fibrose, eccessiva mollezza al tatto. Le rape idonee vengono fettucciate con la grattugia con fori di dimensioni non inferiore ai 3 mm e non superiore ai 7 mm al fine di ottenere il così detto “taglio a fiammifero”. Tutte queste operazioni possono essere eseguite sia manualmente che meccanicamente. Il prodotto fettucciato, che non viene immediatamente messo nei contenitori destinati all’immissione al consumo (nelle tipologie previste dal successivo art. 8), deve essere conservato in contenitori di plastica per alimenti dotati di chiusura riposti in locali con una temperatura compresa tra i 4 e i 10°C, per un massimo di 48 ore. Durante questa fase è vietata l’aggiunta al prodotto di qualsiasi liquido e/o additivo. Nelle confezioni da immettere al consumo viene aggiunto del liquido derivante dal naturale rilascio dell’acqua presente nei tessuti della rapa o formato artificialmente da una soluzione composta esclusivamente da acqua e aceto di vino rosso e/o vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, addizionati in una misura compresa tra il 2 e il 10% del totale del liquido utilizzato; Il liquido deve essere presente in una proporzione compresa tra 200 e 250 ml per ogni chilogrammo di prodotto. Conservazione del prodotto finito Una volta confezionato il prodotto deve essere conservato in locali chiusi, al buio, con una temperatura compresa tra 4 e 10°C per un periodo massimo di 15 giorni. La “Brovada” è un prodotto agro-alimentare strettamente legato a un consumo stagionale, pertanto la preparazione delle massa fermentante può avere inizio esclusivamente a partire dal 1° settembre fino al 31 marzo. L’immissione al consumo della “Brovada” è ammessa a partire dal 26 di settembre e deve concludersi il 15 maggio di ogni anno. È necessario che il condizionamento del prodotto, prima dell’immissione al consumo, avvenga nel luogo di produzione in modo da ridurre al minimo i rischi di alterazione dello stesso. Nel caso di spostamento/trasporto il liquido naturalmente rilasciato dalle rape dopo il processo di fettucciamento è soggetto a fenomeni di degradazione con alterazione dei principali parametri chimico-organolettici. Articolo 6. Legame con l’ambiente La “Brovada” è un prodotto tipico, originale ed esclusivo dell’area di produzione definita nel precedente articolo 3, tutto quello che la riguarda è unico a partire dal nome che non è traducibile se non spiegando le modalità di preparazione di questo prodotto. Della parola “Brovada” esistono in Friuli Venezia Giulia alcune varianti locali quali: broada, broade, brovade, bruade, sbrovada, sbrovade, tutte verosimilmente originate dalla base longobarda breowan, cioè bollire. Termini simili derivanti da tale verbo si ritrovano in parlate dialettali di altre parti d’Italia ma, solo nell’area delimitata essi sono usati come sostantivo per individuare questo alimento ottenuto dalle rape. Questa particolarità linguistica conferma che, anche se la rapa è diffusa in un area produttiva ben più vasta, la fermentazione con la vinaccia, la preparazione con la grattugia e il suo uso in numerose e popolari ricette è oggi esclusivo di questa zona compresa nel territorio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. L’ecotipo utilizzato è stato selezionato in funzione dell’ambiente specifico dell’area di produzione delimitata e nell’ottica di migliorare le caratteristiche organolettiche della “Brovada”. La “rapa da Brovada” presenta una radice di grandi dimensioni dalla singolare forma cilindrica, particolarmente adatta al processo di fettucciamento, un tempo solo manuale; la polpa soda e succosa consente la produzione di una “Brovada” croccante ed elastica con un giusto equilibrio tra sapore piccante e grado zuccherino. La fisiologia della rapa è naturalmente in stretta correlazione con le caratteristiche del suolo, la disponibilità idrica e il clima nell’ambiente della zona di produzione. La temperatura estiva, ottimale in funzione dell’energia solare disponibile e del tempo di esposizione alla luce, favorisce l’attività vegetativa e permette un’elevata elaborazione di carboidrati e aminoacidi liberi. La temperatura autunnale, periodo in cui si conclude la maturazione della rapa, caratterizzata da una buona escursione termica e cioè dall’alternanza tra giornate calde, che favoriscono l’attività metabolica di sintesi delle sostanze di riserva, e le notti fresche, che rallentano l’attività respiratoria della pianta, a vantaggio della serbevolezza della polpa e dell’aumento delle dimensioni delle radici che risultano ricche di zuccheri e di ottimo calibro. I terreni al disotto dei 1200 metri s.l.m., limite di coltivazione di questo ortaggio nella zona di produzione delimitata, dedicati alla coltura sono sciolti e con scarso contenuto di scheletro con una tessitura caratterizzata da permeabilità ed ottimo drenaggio che permettono una elevata presenza di ossigeno. Ciò rende la rapa meno sensibile agli attacchi parassitari garantendo uno sviluppo perfettamente sano. I caratteri peculiari del suolo, uniti alla mitezza della temperatura nel periodo vegetativo, agiscono direttamente sull’accrescimento della rapa permettendo una produzione di ottimo livello qualitativo soprattutto in termini di tenerezza e assenza di fibrosità. La produzione della “Brovada” richiede un altro ingrediente fondamentale: la vinaccia, anch’essa risultato della specifica interazione tra vitigni rossi e il territorio friulano. In molte fasi del processo di elaborazione, la conoscenza ed esperienza diretta dei produttori friulani hanno un ruolo determinante. Cruciali sono alcuni passaggi: il processo di acidificazione della vinaccia, la sua “valutazione” in funzione del quantitativo da utilizzare, la corretta esecuzione della stratificazione nei tini, la determinazione della durata del processo fermentativo delle rape e l’individuazione della sua conclusione. Molti sono i fattori che interagiscono con il corretto evolversi dei due processi di inacidimento: delle vinacce ad opera dei batteri acetici e delle rape ad opera di batteri lattici. Guidare una corretta fermentazione solo sulle basi dell’osservazione e dell’esperienza è certamente un fatto di cultura e del fatto che si tratti di cultura tutta e solo friulanaè confermato da una ricca documentazione. Numerosi sono i riferimenti storici che testimoniano la presenza di questo prodotto nella zona descritta all’art. 3 del presente disciplinare di produzione. Nella “Cronaca inedita” di Jacopo Valvasone di Maniago (Storico del XVI secolo) circa le“Incursioni dei turchi in Friuli” pubblicate a Udine nel 1860, Tip. Tombetti – Murero, troviamo il seguente passaggio a testimonianza dell’abitudine nell’anno 1478 di conservare in questo territorio le rape in vinaccia : “(…) Fra le molte crudeltà ne racconterò questa sola successa nella detta ultima incursione (il fatto avvenne nel villaggio di Palse presso Pordenone), (…) una povera contadina (…) s’ascose dietro ad un tinazzo che era pieno di rape conservate ne raspi d’uva, come ancora si costuma di fare in questi nostri paesi (…)”. Troviamo una descrizione del modo di fare e conservare le rape in uno scritto del prof. Filippo Re negli “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” Tomo Quinto – Gennaio, Febbraio e Marzo 1810. Il procedimento, riportato quasi duecento anni fa, dall’illustre studioso di agraria, è per gli aspetti salienti quello seguito ancor oggi per produrre la “Brovada”. Ne conferma la peculiarità friulana: - E. Sartorelli, “Uno sguardo alla gastronomia friulana” in “Sot la nape”, Bollettino trimestrale della società filologica friulana n° 1 Udine, 1960 gennaio–marzo. A proposito della “Brovada” l’autore riporta che è: “… un piatto friulano di antica origine… si ottiene facendo fermentare le rape sotto le vinacce per un paio di mesi, cuocendole mano a mano che occorrono… dopo averle grattuggiate finemente”. - M. Del Torre, C. del Cer, B. Natti e G. Zuliani, “Itinerari gastronomici”, Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine 1974 – volume n° 2, parte seconda, pag. 1304. Gli autori parlano della “Brovada” nei seguenti termini: “La brovada rappresenta un altro dei piatti tipicissimi, esteso a tutto il Friuli…”. Non solo testi di agraria o cucina, ma anche opere di letteratura citano la “Brovada”: - Ippolito Nievo (1831 – 1861) nelle “Confessioni di un italiano, 1867” presenta il personaggio di Spaccafumo, mentre gusta accanto al fuoco la “Brovada”: “Fin da fanciullo egli avea tenuto usanza di buon vicino … tanto ché il vederlo capitar ogni tanto a mangiare daccanto al fuoco la sua scodella di brovada la era diventata per tutti un’abitudine”; sempre nel testo di Ippolito Nievo dalla nota dello stesso autore si rileva che la “Brovada” era: “una minestra di rape grattugiate e messe a bollire con pesto di prosciutto” e che queste rape grattugiate si mangiavano anche crude come antipasto”; - Guido Piovene (1907 – 1974) in “Viaggio in Italia – 1957” scrive: “L’effluvio degli arrosti si unisce a quello acidulo della brovada, un piatto di rape bollite ed imbevute con gli umori della vinaccia”; - Padre Davide Maria Turoldo (1916 – 1992) cita la “Brovada”in un proverbio in lingua friulana: “duc lu san / che buine je uei / ma mior je doman …”, ovvero “tutti lo sanno che la “Brovada” è buona oggi, ma migliore domani”. E’ interessante notare la rapa pure negli stemmi del comune di Ovaro (Udine), che risale ad una deliberazione del Consiglio Comunale del 3 giugno 1950, e nello stemma del Borgo San Rocco di Gorizia, chiamato anche Borgo degli Ufiei (rape). La “Brovada” è sempre stata un piatto povero per i poveri e rappresenta per la sua semplicità e storia una testimonianza etnografica ed evolutiva della cucina del Friuli Venezia Giulia. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Istituto Nord Est Qualità (INEQ) con sede in Via Rodeano n. 71 - 33038 San Daniele Del Friuli (UD) tel. +390432-940349, fax +390432-943357, e-mail info@ineq.it. Articolo 8. Etichettatura La “Brovada” viene immessa al consumo nelle seguenti confezioni chiuse ermeticamente: - sacchetti di plastica per alimenti da 500 g, 600 g, 700 g, 800 g, 900 g,1 kg 1,1 kg, 1,2 kg, 1,3 kg, 1,4 kg,1,5 kg; - vaschette di plastica per alimenti da 100 g, 150 g, 200 g, 250 g, 300 g, 350 g, 400 g, 450 g, 500 g, 550 g, 600 g, 650 g, 700 g, 750 g, 800 g, 850 g, 900 g, 950 g, 1 kg, 1,05 kg, 1,1 kg, 1,15 kg, 1,2 kg, 1,25 kg, 1,3 kg, 1,35 kg, 1,4 kg, 1,45 kg, 1,5 kg, 3 kg, 4 kg; - secchielli di plastica per alimenti da 2,5 kg, 5 kg, 10 kg; - vasi di vetro da 250 g, 400 g, 500 g, 600 g, 700 g, 800 g, 900 g, 1 kg, 1,1 kg, 1,2 kg, 1,3 kg, 1,4 kg, 1,5 kg. L’etichetta della “Brovada”, deve essere obbligatoriamente apposta su ogni singola confezione. Sulle etichette apposte sulle confezioni dovranno apparire: - il logo Il logo si presenta composto sostanzialmente da due elementi principali, la grafica raffigurante la stilizzazione di una rapa e il testo “BROVADA”. Il disegno della rapa si presenta con un segno grafico eseguito manualmente a cartoncino su una carta ruvida. Il risultato di questa metodologia è ben riscontrabile nell’irregolarità dei bordi che la compongono. La parte del fogliame si presenta di colore verde Pantone 355, mentre il corpo che presenta dei tratti a sfumare per indicare la rotondità a cono, è di colore rosso violaceo riferibile alla scala Pantone 220. Il disegno completo della rapa si presenta con una angolazione di circa 20 gradi rispetto al suo asse verticale e si interseca, con parte del suo fogliame, sotto la lettera “B” della dicitura “BROVADA” scritta completamente in maiuscolo. Il carattere impiegato per il testo “BROVADA” è il Palatino Black, mentre per il colore si fa riferimento al Pantone Blu 072 o Blu 3005. Sotto l’insieme del logo, composto dai due elementi descritti in precedenza, trova posto la dicitura: “DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA” battuta in maiuscolo con il carattere Palatino Regular ma ampliato nella sua larghezza al 120%. La misura di questo testo è pari alla lunghezza del “BROVADA”. La dicitura porta nella cromia l’identico riferimento Pantone Blu 072 o Blu 3005; - il simbolo comunitario; - l’anno di produzione della vinaccia; - l’indicazione del lotto di produzione. La denominazione “Brovada” DOP è intraducibile. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Friuli Venezia Giulia | Trieste, Udine, Pordenone, Gorizia |
Cappero di Pantelleria Cappero di Pantelleria IGP Disciplinare di produzione - Cappero di Pantelleria IGPArticolo 1. L’Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La zona di produzione del "Cappero di Pantelleria" comprende l’intero territorio dell’isola di Pantelleria in provincia di Trapani. Articolo 3. I cappereti destinati alla produzione del "Cappero di Pantelleria" debbono essere costituiti da piante della specie botanica "cappero spinosa" varietà inermis cultivar nocellara. I cappereti aventi le caratteristiche sopraindicate, su richiesta dei conduttori interessati redatta su modello conforme predisposto dalla Camera di Commercio di Trapani, possono essere iscritti, previo accertamento degli organi tecnici della Regione Sicilia, all’albo del "Cappero di Pantelleria". Gli accertamenti tecnici concernono la rilevazione delle superfici dei cappereti, il numero delle piante, la rispondenza varietale e quant’altro utile ad assicurare il rispetto delle condizioni stabilite nel presente disciplinare di produzione. Il suddetto albo è istituito, attivato e aggiornato dalla C.C.I.A.A. di Trapani. Articolo 4. Le condizioni di impianto e le operazioni colturali dei capperi destinati alla produzione della Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire ai bottoni fiorali (Capperi) le caratteristiche specifiche. Le piante di cappero debbono essere impiantate ad una distanza minima di m 2,5 lungo la fila e di m 2,5 tra le file, con una densità di n° 2000 piante per ettaro. La produzione massima di capperi freschi, aventi diritto alla I.G.P. "Cappero di Pantelleria", pur con le variabili annuali in funzione dell’andamento climatico, è fissata in kg 1,5 per pianta ed in ql 30 per ettaro. Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la produzione per pianta e per ettaro di capperi da utilizzare con l’Indicazione Geografica Protetta, dovrà essere riportata ai suddetti limiti di produttività attraverso accurata cernita. Articolo 5. L’inizio delle operazioni di raccolta deve essere specificatamente autorizzato dagli organi tecnici della regione Sicilia su proposta dei produttori, e si protraggono da inizio maggio fino a tutto ottobre. La raccolta procede a mano e scalarmente, lasciando sulla pianta i bottoni fiorali che non hanno raggiunto un sufficiente stato di maturazione. La denuncia di produzione dei capperi destinati alla produzione del "Cappero di Pantelleria" deve essere effettuata dagli interessati iscritti all’albo, entro il decimo giorno successivo a quello di inizio delle operazioni di raccolta, indicando la quantità parziale di prodotto raccolto e la presunta produzione globale dell’annata, utilizzando i moduli conformi al modello predisposto dalla Camera di Commercio di Trapani che provvede a rilasciare ricevuta frazionata agli interessati. Il termine ultimo di presentazione delle denunce scalari di produzione è fissato alla data del 15 novembre di ogni anno. Gli organi tecnici della regione Sicilia possono verificare con sopralluoghi la rispondenza delle dichiarazioni di produzioni e delle condizioni di coltivazione. Le operazioni di salatura e l’acquisizione delle caratteristiche previste per l’immissione al consumo del cappero debbono essere effettuate esclusivamente nel territorio dell’isola di Pantelleria. I capperi commercializzati prima dell’acquisizione delle caratteristiche previste nel successivo art. 6, fuori dalla zona di produzione, perdono in via definitiva il diritto di utilizzo della Indicazione Geografica Protetta e di qualsiasi riferimento geografico. Le operazioni di salatura a secco con esclusivo utilizzo di sale marino, avvengono attraverso fasi successive di elaborazione del prodotto. Nella prima fase, che si protrae per circa otto-dieci giorni, la massa di capperi viene addizionata di sale marino nella misura del 40% ed è giornalmente rimescolata al fine di favorire la fermentazione lattica, che conferisce le particolari caratteristiche organolettiche: trascorso il periodo di tempo sopraindicato viene eliminata l’acqua di vegetazione estratta con la salatura. La successiva fase di elaborazione prosegue con ulteriore aggiunta di sale marino nella misura del 25% rispetto al totale della massa derivante dal primo processo di salatura. Attraverso rimescolamento e sgrondo giornaliero della fase liquida, risultante da ulteriore naturale deposito dell’acqua di vegetazione, i capperi acquistano le caratteristiche per l’immissione al consumo, raggiungendo idonea maturazione dopo circa una decina di giorni. Articolo 6. Il "Cappero di Pantelleria" all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche: - forma: globosa, subsferica, raramente oblunga o conica; - colore: verde tendente al senape; - odore: aromatico, forte, caratteristico senza alcuna inflessione di muffa o odori estranei; - sapore: aromatico, salato, caratteristico dei capperi di Pantelleria al sale marino; - umidità: 54%; - peso specifico medio: 0,6; - calibro medio dei capperi: 9 mm; - sale marino presente mediante nei capperi: 25%. Articolo 7. Nella designazione e presentazione della Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" le diciture "Cappero di Pantelleria" e "Indicazione Geografica Protetta" devono essere indicate in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e medesima colorimetria. Nello stesso campo visivo devono essere compresi gli altri elementi atti ad individuare nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, data di raccolta, peso netto all’origine. Eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo o non idoneo a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del prodotto, possono essere riportate anche in altro campo visivo. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, o comunque utilizza per la trasformazione con la denominazione "Cappero di Pantelleria" un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione è punito a norma degli articoli 515 e 516 del codice penale e dell’art. 18 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n° 109. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Trapani |
Carciofo Brindisino Carciofo Brindisino IGP Disciplinare di produzione - Carciofo Brindisino IGPArticolo 1. Denominazione. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Carciofo Brindisino” è riservata ai carciofi allo stato fresco che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento (CE) n. 510/2006, e indicati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Carciofo Brindisino” designa i carciofi della specie Cynara cardunculus subsp. scolymus (L.) Hayek riferibili all’ecotipo “Carciofo Brindisino”, prodotti nel territorio definito nel successivo art. 3. Le caratteristiche morfologiche della pianta del “Carciofo Brindisino” sono rappresentate da taglia di altezza media con elevata attitudine pollonifera, foglie di colore verde, inermi con eterofillia elevata. Ciclo vegetativo da luglio a giugno; epoca di produzione autunnale-vernino-primaverile. Il “Carciofo Brindisino” ammesso a tutela, all’atto dell’immissione al consumo, deve avere le seguenti caratteristiche: - capolino di forma cilindrica, con altezza minima di 8 cm e diametro minimo di 6, mediamente compatto, brattee esterne di colore verde con sfumature violette, ad apice arrotondato intero o lievemente inciso, inerme o talvolta con una piccola spina; brattee interne di colore bianco verdastro con lievi sfumature violette, gambo non superiore a 10 cm, spessore sottile o medio; - capolini integri, di aspetto fresco, privi di segni di avvizzimento, sani (esenti da danni provocati da parassiti), puliti, privi di odori e/o sapori estranei; - categoria commerciale “Extra” e “I”. Articolo 3. Zona di produzione. La zona di produzione della IGP “Carciofo Brindisino” di cui al presente disciplinare, comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni della provincia di Brindisi: Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. La tecnica di produzione della IGP “Carciofo Brindisino” è la seguente: − il materiale da propagazione deve provenire esclusivamente da piante appartenenti all’ecotipo“Carciofo Brindisino” coltivate nell’area di produzione indicata nell’art. 3, o da vivai accreditati di cui al D.M. del 14/04/1997 che utilizzano materiale di propagazione di categoria C.A.C. (Conformitas Agraria Communitatis) proveniente dalla zona di produzione, e costituito da: - carducci - parti di ceppaia (zampe, tozzetti) - ovoli (ramificazioni quiescenti inserite alla base del fusto) - piantine micropropagate - piante da vivaio provenienti da germoplasma risanato - piante da seme - prima dell'impianto è necessaria una lavorazione profonda del terreno alla quale ne seguono altre più superficiali; - gli organi di propagazione, in fase di quiescenza e/o pre – germogliati, vengono trapiantati in pieno campo tra luglio e ottobre. Le raccolte dei carciofi iniziano dal 1 novembre e terminano il 30 maggio dell’anno successivo; - la densità di piantagione non deve superare le 8.000 piante/ha. In funzione della tecnica colturale adottata la distanza tra le file può variare fra 80 e 120 cm sulla fila e 120 -180 cm tra le file; - la rotazione deve essere almeno biennale, alternando il carciofo con colture miglioratrici, da rinnovo o seminativi; - la concimazione prevede interventi di fondo e successivi apporti, anche con il metodo della fertirrigazione, durante il ciclo colturale. Le dosi massime consentite non devono superare i 300 kg/ha di azoto, i 120 kg/ha di P2O5 e i 150 kg/ha di k2O e microelementi. E’ vietato l’uso di fitoregolatori di sintesi; - per l’irrigazione devono essere previsti sistemi a microportata di erogazione; - per il controllo delle avversità fitosanitarie e delle infestanti, nella scelta dei mezzi d’intervento è obbligatorio rispettare le norme di difesa integrata del carciofo aggiornate dalla Regione Puglia – Osservatorio Fitosanitario Regionale - e pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia. Il “Carciofo Brindisino” deve essere raccolto con cura evitando danni meccanici in tutte le fasi di raccolta, trasporto, consegna allo stabilimento di condizionamento. La raccolta deve essere eseguita a mano, tagliando lo stelo (gambo) del carciofo ad una lunghezza non superiore a 10 cm, con l’eventuale presenza di 1 o 2 foglie. Il “Carciofo Brindisino” deve essere conservato in luoghi freschi, coperti, arieggiati, non soggetti a ristagni di umidità. Il “Carciofo Brindisino” deve essere condizionato nel territorio dei comuni di cui all’art. 3 al fine di evitare danni e/o deterioramento qualitativo degli stessi. Si tratta di un prodotto facilmente deperibile che se non condizionato mal sopporta manipolazioni e spostamenti. Infatti i processi di decadimento della qualità, quali imbrunimenti ed avvizzimenti, sono tanto più evidenti quanto più aumenta il tempo di conservazione; pertanto il trasporto e il condizionamento del prodotto devono essere effettuati nei territori di produzione. Il condizionamento consiste in una o più delle seguenti operazioni: - sgambatura: taglio totale o parziale del gambo. La porzione rimanente del gambo può inoltre essere ripulita della parte fibrosa esterna; - spuntatura: consiste nel taglio della parte apicale delle brattee del carciofo; - rimozione delle brattee esterne: consiste nel rimuovere le brattee più fibrose del capolino per garantire l’immediata fruibilità del prodotto; - etichettatura ed imballaggi. Articolo 6. Legame con l’ambiente. Da un punto di vista storico le prime notizie sul consumo di carciofo nel Salento risalgono al 1736: in tale anno nel Seminario di Otranto risulta servito per due volte il carciofo prodotto in quell’area nel mese di aprile. Inoltre nel 1773 l’Abate Vincenzo Corrado, di Oria, riporta una quindicina di ricette in cui è presente il carciofo. Le prime rilevazioni statistiche sulla coltivazione del carciofo in provincia di Brindisi risalgono al 1930 quando questa coltura era praticata su circa 60 ettari in particolare nei comuni di Carovigno (18 ha), Mesagne (16 ha), Brindisi (13 ha), San Vito dei Normanni (9 ha). Secondo i dati dell’ISTAT nel 1946 furono superati i 100 ha, nel 1961 i 2000 ha, nel 1965 i 5000 ha, nel 1979 i 7000 ha e negli anni 80 i 9000 ha. Le condizioni climatiche del territorio di coltivazione del “Carciofo Brindisino”, sono tipicamente mediterranee, ed hanno favorito la diffusa presenza della coltura da tempi immemorabili. Gli evidenti segni del connubio tra coltura e popolazione si trovano anche nel gran numero di piatti a base di carciofo che caratterizza la cucina locale, e nell’elevato grado di specializzazione dei produttori dell’area, acquisita con tecniche di coltivazione tramandate da padre in figlio. Il territorio di coltivazione del “Carciofo Brindisino” conferisce ai capolini particolari caratteristiche qualitative ed organolettiche. In particolare i suoli ricchi di potassio, unitamente ai fattori umani e alle peculiarità dell’ecotipo utilizzato, conferiscono ai capolini caratteristiche di tenerezza e sapidità che sono determinati da una scarsa presenza di fibra e un elevato contenuto di inulina, sostanze fenoliche e flavonoidi. Tali caratteristiche sono conferite dalla particolare composizione dei suoli, cioè i terreni sabbiosi calcarei d’origine costiera, meglio conosciuti come “tufi”, che accompagnano il litorale adriatico specialmente nel tratto Brindisino. Per struttura e composizione abbastanza fertili sono le terre sui “tufi” e le sabbie argillose; mentre sono in genere poco fertili le sabbie, le argille marnose e i terreni alluvionali sabbiosi. Generalmente sono suoli con contenuto medio di azoto, basso di fosforo ed elevato di potassio. I terreni risultano mediamente dotati di sostanza organica, hanno un pH neutro o sub-alcalino ed una buona capacità idrica di campo. Le tecniche di coltivazione messe a punto dagli agricoltori nei territori delimitati per la produzione del “Carciofo Brindisino” unitamente alle condizioni pedoclimatiche del suddetto territorio, conferiscono la precocità che consente la presenza sul mercato già dal mese di ottobre; inoltre la tenerezza e delicatezza dei capolini, in particolare nella parte basale delle brattee, ed il ricettacolo carnoso e gustoso, rappresentano caratteristiche di pregio per le varie destinazioni culinarie. Le caratteristiche del carciofo rimangono pressoché invariate nel corso dei cicli produttivi, a motivo della standardizzazione della tecnica colturale. La giacitura pianeggiante del territorio consente di ottenere una produzione di capolini con caratteristiche morfologiche omogenee. Tutto l’areale è caratterizzato da clima mediterraneo con inverni miti ed estati caldo-umide, per effetto dell’azione di eventi atmosferici del mediterraneo Nord orientale. La media delle temperature nei mesi freddi si attesta intorno ai 9°C, mentre nei mesi caldi attorno ai 25,5 °C. Non si riscontrano, se non in rari casi, fenomeni di forti escursioni termiche. Le precipitazioni, frequenti in autunno e in inverno, si attestano attorno ai 550 mm. di pioggia/anno. La primavera e l’estate sono caratterizzate da lunghi periodi di siccità. L’armonia fra questi elementi pedoclimatici contraddistingue il nostro territorio rendendolo particolarmente adatto alla produzione del “Carciofo Brindisino” con qualità specifiche tali da caratterizzarlo e farlo apprezzare dai mercati nazionali ed esteri. La spiccata vocazione del territorio ha portato, negli ultimi decenni, all’incremento della superficie coltivata a carciofo, tanto che attualmente circa il 20% della produzione nazionale di carciofi proviene dalla provincia di Brindisi. Articolo 7. Controlli. Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006 dalla Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura di Brindisi Via Bastioni Carlo V n. 4/6 – 72100 Brindisi Articolo 8. Etichettatura e Imballaggi. Il “Carciofo Brindisino” viene immesso al consumo utilizzando contenitori, con capienza da un minimo di “1” (un) carciofo fino ad un massimo di “25” (venticinque) carciofi, realizzati con materiale di origine vegetale, di cartone o altro materiale riciclabile consentito dalla normativa, chiusi con un sigillo che dopo l’apertura diviene inutilizzabile. Su ogni confezione deve essere apposto il logotipo della IGP più avanti descritto ed una etichetta sulla quale sono riportate sullo stesso lato, in caratteri leggibili, visibili all'esterno, indelebili le seguenti indicazioni: - la denominazione “Carciofo Brindisino” e il simbolo comunitario IGP; - nome ed indirizzo o simbolo o codice di identificazione del confezionatore e del produttore di carciofi; - categoria di qualità “Extra” o “I”; - il numero dei carciofi o dei capolini; - ogni altra indicazione prevista dalle leggi vigenti. Tutte le diciture previste dal presente disciplinare, devono essere raggruppate nel medesimo campo visivo e presentate in modo chiaro, leggibile e indelebile. Il logotipo IGP “Carciofo Brindisino” è costituito da un cerchio con bordo dentellato, di colore arancio chiaro, recante al centro un’immagine antropomorfa di un carciofo di colore verde. Alle spalle dell’immagine del carciofo, sulla sinistra, è rappresentata la stilizzazione del monumento al Marinaio della città di Brindisi. Sempre sullo sfondo sono rappresentati inoltre il cielo, il mare e la terra, quest’ultima come simbolo dell’agricoltura. L’immagine del carciofo è contornata da una cornice, sempre di forma circolare e di colore arancione, che riporta all’interno la dicitura: “IGP CARCIOFO BRINDISINO” di colore verde scuro. Il logotipo IGP “Carciofo Brindisino” è costituito dal marchio rappresentato nella seguente immagine, la cui massima riduzione consentita è fissata in 2 cm di diametro. Sono inoltre utilizzabili anche la versione in bianco e nero e monocromatica di colore verde E’ vietata l’aggiunta di qualunque qualificazione non espressamente prevista nel presente disciplinare, e/o eventuali indicazioni accessorie aventi carattere laudativo o tendenti a trarre in inganno il consumatore sulla natura e caratteristiche del prodotto. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Brindisi |
Carciofo di Paestum Carciofo di Pestum IGP Disciplinare di produzione - Carciofo di Pestum IGPArticolo 1. L’indicazione geografica protetta (I.G.P.) "Carciofo di Paestum" è riservata ai carciofi che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, elaborato ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 2. L’indicazione geografica protetta "Carciofo di Paestum" designa i capolini dei biotipi riferibili al tipo “Romanesco”, anche detto “Tondo di Paestum”, prodotto nel territorio definito nel successivo art. 3. Articolo 3. La zona di produzione del "Carciofo di Paestum”, di cui al presente disciplinare comprende parte del territorio dei seguenti comuni della provincia di Salerno: Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano, Serre. Più precisamente il confine dell'area interessata inizia a Sud dalla strada che, a partire dall’intersezione tra il Mar Tirreno ed il fiume Solofrone (Carta I.G.M. 1:25000 di Agropoli Foglio 198 III Sud Ovest), giunge alla Stazione di Ogliastro Cilento e, da qui, prosegue verso Est costeggiando la località Tempa della Monaca e Mattine, attraversa la località Piscone fino ad incrociare il vallone San Pietro in corrispondenza del confine naturale tra Agropoli ed Ogliastro Cilento, prosegue, quindi, incrociando il confine comunale tra Ogliastro Cilento e Cicerale, passa nei pressi delle località Terzerie, Ficocelle e San Felice dove abbandona la suddetta via seguendo la curva a quota 49, passando, prima, al di sotto del torrente la Mola poi, risalendo verso Nord, incrocia il suddetto torrente entrando nel territorio comunale di Giungano. Qui imbocca la via che passa in prossimità delle località San Giuseppe e Convingenti, attraversa il vallone Tremonti, costeggia la località Lampione, si immette sulla strada che da Giungano porta alla Strada Statale n. 18 percorrendola per breve tratto e, quindi, devia lungo la via che costeggia Terra Lunga attraversando il confine comunale con Capaccio, passa per la località C.se Picilli, poi per la località Cannito e la località Font. Strazzano e, quindi, discende lungo il sentiero che attraversa il vallone Cannito e giunge ad immettersi sulla vecchia strada Cilentana in corrispondenza della località Pisciolo, Da qui prosegue (Carta I.G.M. 1: 25000 di Paestum Foglio 198 III Nord Ovest), sempre lungo la strada Cilentana, passando per Chiumara, ed all’altezza di Gian Cesare, risale a monte fino ad immettersi, all’altezza del Km 2, sulla Strada Provinciale n. 13. Da qui discende fino alla località Pietrale immettendosi sulla Strada Statale n. 166 degli Alburni, in prossimità del Km. 3. Prosegue lungo questa via fino ad incrociare, oltrepassato il Km 5, il confine comunale tra Roccadaspide e Capaccio in prossimità di Seude di Rocca. Prosegue lungo il suddetto confine comunale, devia su strada che conduce, dopo breve tratto, alla strada che coincide con il confine comunale tra Capaccio ed Albanella, passando al di sotto di C.se Torre, di Masseria Scigliati congiungendosi con la via Consortile. Segue la via Consortile, attraversa la località Fravita fino a raggiungere l’abitato di Matinella del comune di Albanella (Carta I.G.M. 1:25000 di Persano Foglio 198 IV Sud Ovest). Prosegue lungo la continuazione della stessa via fino a superare il Ponte la Cosa entrando nel comune di Altavilla Silentina e raggiunge (Carta I.G.M. 1:25000 di Altavilla Silentina Foglio 198 IV Sud Est) dopo un tratto pressoché rettilineo, l’abitato di Cerrelli. Dall’abitato di Cerrelli, imbocca la via che porta al Ponte sul Calore entrando nel comune di Serre e prosegue verso Ovest lungo la stessa via fino ad incrociare (Carta I.G.M. 1:25000 di Campagna Foglio 198 IV Nord Est) la Strada Statale n. 19 delle Calabrie. Il confine prosegue lungo la suddetta strada passando sul Ponte Sele, entra nel comune di Campagna, e, sempre lungo la Strada Statale n. 19, passa in prossimità della Masseria S. Vito, quindi di San Paolo e sempre proseguendo lungo la Statale n. 19, entra nel comune di Eboli, oltrepassa il fosso del Telegro (Carta I.G.M. 1:25000 di Eboli Foglio 198 Nord Ovest), passa in prossimità della Madonna della Catena e dell’abitato di Eboli. Prosegue, sempre lungo la suddetta strada, fino all’abitato di Battipaglia. Da qui imbocca la Strada Statale n. 18 all’altezza della Masseria Barra. Prosegue la suddetta strada fino al centro dell’abitato di Bellizzi (Carta I.G.M. 1:25000 di Pontecagnano Faiano Foglio 197 I Nord Est). Qui imbocca la Strada Statale n. 164 delle Croci di Acerno (Carta I.G.M. 1:25000 di Eboli) e, all’altezza del Km 3 della suddetta strada, devia verso la Strada Provinciale San Vito - Pagliarone. Percorre, entrando nel comune di Montecorvino Pugliano, la suddetta strada sfiorando C. Salerno e C. Alfano; passa, poi, sotto l’abitato di San Vito (Carta I.G.M. 1:25000 di Pontecagnano Faiano) e prosegue costeggiando la località Longobardo; a questo punto devia sulla strada che dalla località Longobardo raggiunge Pontirotti entrando nel comune di Pontecagnano Faiano, passa sotto la masseria Cacciabene, attraversa la località Scontrafrate e, quindi, si immette lungo questa strada di collegamento tra Faiano e Sant’Antonio a Picenza; continua lungo questa strada attraversando la località Conforti, quindi devia sulla strada che conduce a Trivio Granata. Da questa strada devia nuovamente, passando al di sotto della località Pollice, fino a congiungersi con la Strada Statale n. 18 Tirrena Inferiore all’altezza del Km 65. Il confine, poi, attraversa l’abitato di Pontecagnano Faiano fino ad incrociare il corso del Fiume Picentino che segue fino al Mar Tirreno. Da qui, procedendo verso Sud, il confine è segnato dal Mar Tirreno sino al punto di intersezione con il Torrente Solofrone passando per le carte I.G.M. di Pontecagnano Faiano, Aversana, Foce Sele, Paestum e Agropoli. Tutta l’area delimitata sopra è riportata nell’allegato A, costituito da cartine I.G.M. in scala 1:25000. Articolo 4. Le condizioni climatiche dell’area, ideali per la coltivazione del carciofo di Paestum (clima tipicamente mediterraneo caratterizzato da inverni miti e piovosi ed estati caldo-asciutte), hanno favorito la forte presenza della coltura da tempi immemorabili. Gli evidenti segni del connubio tra coltura e popolazione li troviamo evidenti nel gran numero di piatti a base di carciofo che caratterizzano la cucina locale, e nell’elevato grado di specializzazione dei produttori dell’area, acquisita con tecniche di coltivazione tramandate di generazione in generazione. Per questo prodotto tipico verrà garantita la rintracciabilità mediante la creazione di un elenco di produttori che saranno soggetti alle verifiche da parte dell’organismo di controllo. Gli stessi impianti per la lavorazione del “Carciofo di Paestum I.G.P.”, sono iscritti nell’apposito elenco, attivato, tenuto e aggiornato dallo stesso organismo di controllo. Articolo 5. La coltivazione del carciofo inizia con le operazioni di impianto consistenti in una accurata preparazione del terreno che prevede una aratura profonda, un interramento dei concimi di fondo e/o sostanza organica, una o due erpicature ed un definitivo livellamento della superficie. Successivamente avviene il trapianto, tra il 15 luglio e il 31 di agosto utilizzando piantine con pane di terra allevate in alveoli, provenienti da vivai propri o specializzati, oppure tra il 1° settembre e il 30 settembre utilizzando carducci prelevati direttamente dalle piante madri. Negli impianti già esistenti devono essere effettuate delle erpicature tra le file per arieggiare il terreno e procedere con l’irrigazione verso metà agosto per consentire il risveglio vegetativo della carciofaia. La carciofaia deve essere mantenuta in coltivazione per non più di tre anni. Le forme di coltivazione devono essere quelle in uso generalizzato nella zona con un sesto di impianto di 110-120 cm tra le file e di 80-90 cm sulla fila per un investimento massimo di 10.000 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo compreso dal 1° febbraio al 20 maggio. La produzione unitaria massima di “Carciofo di Paestum” è fissata fino ad un massimo di 50.000 capolini ad ettaro. Le operazioni di cernita, di calibratura e di lavaggio, secondo le tecniche già acquisite localmente, devono essere effettuate in stabilimenti situati nell’ambito dell’intero territorio dei comuni ricadenti nella zona di produzione del “Carciofo di Paestum” indicata nel precedente art. 3. Ai fini dell’immissione al consumo, per dilazionarne la vendita, il prodotto può essere conservato in locali idonei ed eventualmente a temperatura controllata, non superiore a 4 gradi centigradi, per un tempo massimo di 72 ore. Il prodotto recante la I.G.P. “Carciofo di Paestum”, allo stato fresco, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche: pezzatura media (non più di 4 capolini con gambo per Kg di prodotto); capolini di forma sub-sferica, compatta, con caratteristico foro all’apice, con diametro della sezione massima trasversale compreso tra 8,5 e 10,5 cm di diametro della sezione massima longitudinale compreso tra 7,5 e 12,5 cm, e con rapporto tra i due compreso tra 0,9 e 1,2; colore verde, con sfumatura violetto-rosacea; brattee esterne ovali, con apice arrotondato ed inciso, inermi; brattee interne paglierino-verdastre con sfumature violette; peduncolo di lunghezza inferiore a 10 cm. Il prodotto, per essere immesso al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche: deve essere ottenuto secondo le tecniche locali tradizionali già acquisite dai produttori. E’ ammesso l’uso di cocci di terracotta per la protezione dei capolini; non sono ammessi trattamenti con fitoregolatori (gibberelline), comunque somministrati. Articolo 6. Il “Carciofo di Paestum” si distingue rispetto ad altre produzioni carcioficole per le sue innumerevoli qualità e caratteristiche tipiche (pezzatura grossa, forma sub-sferica, sapore gradevole), frutto di una accurata tecnica di coltivazione messa a punto dagli agricoltori della Piana del Sele. E’ un tipo locale proveniente dal gruppo dei carciofi di tipo Romanesco. Da questi si contraddistingue per una serie di caratteristiche peculiari conferitegli dall’ambiente di coltivazione. Innanzitutto la precocità che consente al Carciofo di Paestum di essere presente sul mercato già dal mese di febbraio prima di ogni altro tipo di carciofo del tipo Romanesco. Inoltre, la precocità, in riferimento al periodo di produzione (febbraio-maggio) caratterizzato da un clima fresco e piovoso, conferisce maggiore tenerezza e delicatezza ai capolini in particolare alla parte basale delle brattee ed al ricettacolo più carnoso e più gustoso, caratteristiche importanti per le svariate destinazioni culinarie. Le caratteristiche del carciofo restano pressoché invariate nel corso dei cicli produttivi, in quanto gli agricoltori hanno messo a punto diversi accorgimenti colturali per porre rimedio a variazioni climatiche che si possono verificare tra diverse annate agrarie. Articolo 7. L’accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità ed i relativi controllo saranno effettuati da un organismo di controllo rispondente ai requisiti di cui all’art. 10 del regolamento CEE n. 2081/92. Articolo 8. L’immissione al consumo del “Carciofo di Paestum” deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, da un minimo di 2 capolini ad un massimo di 24; sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: a) “Carciofo di Paestum” e “Indicazione geografica protetta” (o la sua sigla I.G.P.); b) il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice; c) la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti; I caratteri di cui alla lettera b) devono essere di dimensioni inferiori almeno del 50% rispetto a quelli della lettera a); d) il simbolo grafico di cui all’allegato B, relativo all’immagine artistica del logotipo specifico ed univoco, da utilizzare in abbinamento inscindibile con l’Indicazione Geografica Protetta. I prodotti per la cui preparazione è utilizzato il “Carciofo di Paestum I.G.P.”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: il “Carciofo di Paestum I.G.P.”, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del “Carciofo di Paestum I.G.P.” siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della denominazione “Carciofo di Paestum” I.G.P. riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza del consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del regolamento (CEE) 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva del “Carciofo di Paestum I.G.P.”, consente soltanto il riferimento alla denominazione, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o in cui è trasformato o elaborato. All’Indicazione geografica protetta, di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo, gusto, selezionato, scelto e similari. E' tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’Indicazione Geografica Protetta. Articolo 9. Con la creazione del logotipo I.G.P. “Carciofo di Paestum” ai sensi del regolamento CEE 2081/92 si è voluto richiamare il legame stretto tra il carciofo e il luogo (area intorno ai templi di Paestum) dove è stato per la prima volta coltivato. Il simbolo grafico è, infatti, composto da una immagine del Tempio di Nettuno sito a Paestum circondato da un cielo di colore (cyan 80% e magenta 25%) e conseguentemente sfumato da nuvole di sottofondo e da piccoli spicchi di vegetazione la cui difformità varia da un composto di: cyan = 40%; magenta = 40%; giallo = 70%; nero = 40%; con una oscillazione a calare del 30% di magenta e del 25% di nero. L’immagine del Tempio di Nettuno appare scontornata in una forma ovale e racchiusa esternamente da una bordatura costituita da una doppia linea (interna di colore nero ed esterna di colore pantone green CVP). La doppia linea viene interrotta a circa 374 dal lato superiore dell’ovale stesso da una dicitura “Carciofo di Paestum” di colore nero e di carattere“Times”. Nella parte basso/centrata dell’immagine del tempio è incastonato un ovale di colore bianco sul quale poggia l’immagine del carciofo di Paestum il cui si interrompe sulla linea di bordatura esterna di colore pantone green CPV. Entrambe le immagini (Tempio di Nettuno e Carciofo di Paestum) sono state create attraverso la sovrapposizione di quattro colori chiamata “quadricromia”, la quale è costituita dai colori basilari denominati: cyan – magenta – giallo – nero. Per la realizzazione del logo i colori sopradescritti sono stati necessariamente stampati su un fondo di colore bianco. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Carciofo romanesco del Lazio Carciofo Romanesco del Lazio IGP Disciplinare di produzione - Carciofo Romanesco del Lazio IGPArticolo 1. Denominazione L'indicazione geografica protetta (I.G.P.) "Carciofo Romanesco del Lazio" e' riservata al carciofo (Cynara scolymus L.) di tipo romanesco che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione Le cultivar di "Carciofo Romanesco del Lazio" da inserire nella piattaforma varietale vengono di seguito descritte: Castellammare e relativi cloni a) caratteristiche morfologiche: - pianta: taglia media o grande, altezza inserzione capolino principale intorno ai cm 30, portamento espanso, attitudine pollonifera media; - foglia: colore verde scuro, inerme, dimensioni grandi, eterofillia media; - capolino principale: sferico, compatto, con caratteristico foro all'apice, dimensioni grandi, brattee esterne di colore verde con sfumature violette, ad apice arrotondato, inciso, inermi. - peduncolo medio o lungo di grosso spessore. b)caratteristiche produttive: - capolini per pianta: produzione media circa 6 - 8 capolini per consumo fresco, 5 - 8 capolini per utilizzazione conserviera; - epoca di produzione: precoce con inizio gennaio. Campagnano e relativi cloni a) caratteristiche morfologiche: - pianta: taglia grande, altezza inserzione capolino principale intorno ai 50 cm, portamento molto espanso, attitudine pollonifera scarsa; - foglia: colore verde cinerino, inerme, dimensioni grandi, eterofillia media; - capolino principale: sferico, compatto con caratteristico foro all'apice, dimensioni molto grandi, brattee esterne con sfumature violette, ad apice arrotondato, inciso, inermi. - peduncolo medio o lungo, di grosso spessore. b) caratteristiche produttive: - capolini per piante: produzione media circa 8 - 10 capolini per pianta per consumo fresco e 4 - 5 per utilizzazione conserviera; - epoca di produzione: tardiva, con inizio marzo - aprile. Articolo 3. Zone di produzione La zona di produzione e' limitata ad alcune aree delle provincie di Viterbo, Roma e Latina, e comprende i comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine del prodotto Il carciofo nelle campagne laziali e' conosciuto sin da epoca romana, probabilmente gia' gli etruschi raccoglievano questo prodotto. Nei tempi moderni la coltivazione e' praticata in tutte le zone di cui all'art. 3 da oltre 30 a oltre 50 anni in talune zone. Si registrano inoltre sagre dedicate a questo prodotto in varie zone. A Ladispoli da oltre 50 anni viene festeggiato il carciofo romanesco, altre sagre del carciofo romanesco si tengono a Campagnano e Sezze, per citare solo le piu' importanti. Il carciofo romanesco si e' adattato splendidamente alle condizioni pedoclimatiche laziali aiutato anche dalle caratteristiche ottimali dei terreni dove viene coltivato. Il prodotto si e' radicato fortemente nella cultura gastronomica della regione con tantissime ricette e utilizzi culinari e ha assunto negli anni una rilevante importanza economica. Articolo 5. Metodo di produzione Preparazione del terreno ed impianto. Lavorazione principale: ad una profondita' di 50 - 60 cm con aratura o rippatura seguita da una lavorazione superficiale; tale operazione deve essere preceduta dalla distribuzione dei concimi fosfo-potassici ed eventualmente del fertilizzante organico. Data di impianto: da agosto a ottobre. Distanza di impianto minima e massima da adottare: m 1 - 1,60 tra le file, m. 0,80 - 1,20 sulla fila. Analisi del terreno: obbligatorie per nuovi impianti. Irrigazione. Al fine di anticipare il risveglio vegetativo, si possono effettuare interventi irrigui a partire da agosto. A fine inverno sono consentiti interventi di soccorso solo in concomitanza di condizioni climatiche particolarmente asciutte. In generale, sono sufficienti dai tre ai cinque interventi irrigui di 300 – 350 mc/ha/turno. Operazioni colturali. La dicioccatura puo' essere manuale o meccanica. Al fine di reintegrare la sostanza organica nel terreno e' obbligatorio lasciare i residui colturali sul terreno previo sminuzzamento e interramento. Le piante infette da patogeni (verticillium spp., fusarium e nemotodi galligeni) devono essere accuratamente allontanate dal campo e bruciate. La scarducciatura si effettua solitamente tra la seconda e la terza decade di settembre e tra novembre e dicembre. Per il "Carciofo Romanesco del Lazio" viene allevato un solo carduccio per pianta. Sono vietati i trattamenti con fitoregolatori. Modalita' di raccolta e resa produttiva. La raccolta si effettua a mano, scalarmente e con modalita' diversa in relazione al tipo di presentazione al mercato (art. 6). L'epoca di raccolta inizia in gennaio e potra' protrarsi fino a maggio. Durata e avvicendamento della carciofaia e caratteristiche qualitative. La permanenza della carciofaia in campo non deve superare i quattro anni, si dovra' inoltre effettuare un avvicendamento triennale. Il "Carciofo Romanesco del Lazio" ad indicazione geografica protetta, all'atto dell'immissione al consumo fresco deve rispondere alle seguenti caratteristiche: - diametro dei cimaroli non inferiore a centimetri dieci; - diametro dei capolini di primo e secondo ordine non inferiore a centimetri sette; - colore da verde a violetto; - forma di tipo sferico. Le altre caratteristiche qualitative del prodotto devono rispondere alle "Norme di qualità" previste dal regolamento CEE n. 58/62 e successive modificazioni ed integrazioni, con l'esclusione della categoria "2" prevista dalle stesse norme di qualita'. Per il consumo locale tradizionale e' consentita, esclusivamente all'interno della regione Lazio, la vendita dei cimaroli del "Carciofo Romanesco del Lazio" in mazzi da dieci, provvisti di foglie e con gambo anche superiore ai 10 cm di lunghezza (regolamento CEE n. 448/97 e successive modifiche ed integrazioni), oppure in mazzi di numero non definito a forma di pigna e senza foglie. Articolo 6. Legame con l'ambiente La verifica della provenienza del prodotto e del legame con l'ambiente di produzione verra' effettuata dall'organismo di controllo di cui all'art. 7, che gestira' un apposito elenco di produttori dell'I.G.P. "Carciofo Romanesco del Lazio". Articolo 7. Organismo di controllo L'accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità ed i relativi controlli di cui all'art. 10 del regolamento CEE n. 2081/92 sara' effettuato attraverso "Agroqualita'" organismo certificatore con sede in Roma - via Montebello n. 8, in conformità alle vigenti norme in materia. Articolo 8. Etichettatura Oltre alla denominazione di cui all'art. 1 e' consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno l'acquirente. E' consentito altresi' l'uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, are,fattorie, zone e località comprese nei comuni di cui all'art. 3 e dai quali effettivamente proviene il carciofo con la indicazione geografica protetta. Il marchio dovrà essere riprodotto cosi' come depositato con una scritta concentrica esterna verde in campo giallo riportante la seguente dicitura: "Carciofo Romanesco del Lazio"; e in basso in nero "I.G.P.". Al centro la figura di un capolino di carciofo in campo rosa tendente all'arancio. Imballaggio: confezioni sigillate ricoperte con rete di plastica o foglio di plastica trasparente. Il marchio verrà apposto lateralmente nella confezione. Nel caso di vendita in mazzi verrà inserito in una fascia che avvolge gli stessi. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Viterbo, Roma, Latina |
Carciofo Spinoso di Sardegna Carciofo Spinoso di Sardegna DOP Disciplinare di produzione - Carciofo Spinoso di Sardegna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sardegna | Cagliari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Oristano, Nuoro, Ogliastra, Sassari, Olbia-Tempio |
Carota dell'altopiano del Fucino Carota dell'Altopiano del Fucino IGP Disciplinare di produzione - Carota dell'Altopiano del Fucino IGPArticolo 1. Nome del Prodotto L'indicazione geografica protetta "Carota dell'Altopiano del Fucino", è riservata alle carote prodotte nel comprensorio dell'Altopiano del Fucino che rispondono ai requisiti stabiliti dal presente Disciplinare di Produzione, redatto sulla base delle disposizioni di cui al Reg. CEE n. 2081/92. Articolo 2. Varietà coltivate L' IGP "Carota dell'Altopiano del Fucino" designa le carote delle cultivars della specie"Daucus carota L.", prodotte nella zona delimitata dal successivo art. 3 del presente disciplinare, e derivanti dalle seguenti varietà: MAESTRO (Vilmorin); PRESTO (Vilmorin); CONCERTO (Vilmorin); NAPOLI (Bejo); NÁNDOR (Clause); DORDOGNE (SG). Il prodotto deve avere le caratteristiche di seguito elencate: forma: -cilindrica con punta arrotondata, assenza di peli radicali; colore: -arancio intenso compreso il colletto; contenuto: - saccarosio >3%; beta carotene >100 mg/Kg; acido ascorbico > 5 mg/Kg; - proteine > 1,2%; - fibra > 1,2% proprietà fisiche: croccantezza della polpa e rottura vitrea; Per tutte le varietà la categoria commerciale deve essere Extra e Prima. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della "Carota dell'Altopiano del Fucino" di cui al presente disciplinare è l'intero comprensorio dell'Altopiano del Fucino. La delimitazione viene individuata dalla Strada Provinciale Circonfiicense e include porzioni di territorio, suddivise da strade interpoderali ed appezzamenti numerati, appartenenti ai seguenti Comuni della provincia di L'Aquila: Avezzano e frazioni; Celano e frazioni; Cerchio; Aielli; Cullarmele; Pescina e frazioni; S.Benedetto dei Marsi; Gioia nei Marsi e frazioni; Lecce dei Marsi; Ortucchio; Trasacco; Luco dei Marsi. Per la delimitazione dei confini sono state utilizzate le carte IGM 1:25.000 della Regione Abruzzo ricadenti nei fogli: F0 n. 145 11° - F0 n. 146 IIIo - F0 n. 151 Io- F0 n. 152 IVo PERIMETRAZIONE DELL'AREA -Altopiano del Fucino- Partendo da Avezzano (AQ), percorrendo la strada Via Fucino in direzione sud fino al Km 2 si incontra il semaforo di Borgo Via Nuova, svoltando immediatamente a sinistra ci si immette sulla strada Circonfiicense di cui al comma 1 del presente articolo. Durante il percorso, che riporterà esattamente al punto di partenza, si incontra la località Caruscino, si prosegue attraversando gli incroci di Str. 7, Str. 8, Str. 10, Str. 11 fino a Paterno di Avezzano località Pietragrossa, si prosegue sempre fino alla casa di guardia n. VI di Borgo Str. 14. Senza lasciare la strada Circonfucense si prosegue attraversando gli incroci di Str. 17, Str. 18, Str. 19, Str. 20 fino ad arrivare a S. Benedetto dei Marsi incrocio di Str. 22. Si prosegue attraversando gli incroci di Str. 23, Sr. 24, Str. 25, Str. 26, Str. 27 fino ad arrivare al Comune di Ortucchio incrocio di Str. 28. Si prosegue attraversando gli incroci di Str. 29, Str. 30, Str. 31, Str. 32 in località Balzone fino ad arrivare al Comune di Trasacco incrocio di Str. 36. Proseguendo e costeggiando sempre il Canale Allacciante Meridionale si attraversano gli incroci di Str.37, Str. 38, Str. 39, Str. 40 fino al Comune di Luco dei Marsi, si oltrepassa il paese e si prosegue attraversando gli incroci di Str. 43, Str. 44, Str. 45 fino ad arrivare a Borgo Incile Str. 1. Proseguendo ancora si incontra l'ex Zuccherificio di Avezzano fino ad arrivare all'incrocio di Via Fucino, punto di partenza. Articolo 4. Origine del prodotto La coltivazione delle carote in pieno campo è iniziata, nell'Altopiano del Fucino nel 1950. I notevoli redditi assicurati dalla coltura hanno destato l'interesse degli agricoltori, che hanno così inserito la carota nella rotazione colturale classica in uso nell'Altopiano del Fucino. Insieme ai benefici economici, la coltivazione della carota ha determinato un allungamento della rotazione colturale, cosa che ha ridotto notevolmente fenomeni negativi come le proliferazioni di patologie o il fenomeno della stanchezza del terreno che tanti problemi arrecavano alle colture del Fucino. Al riguardo è da sottolineare come il controllo dei nematodi della patata e della barbabietola da zucchero sia oggi affidato alla corretta rotazione colturale, resa possibile anche grazie all'introduzione della carota, contrariamente a quanto si faceva in passato con trattamenti nematocidi, effettuati con fumigazioni. II successo raggiunto da tale coltura, che la pone come coltivazione di punta trainante tutto il comparto orticolo dell'Altopiano del Fucino, è individuabile anche nel grado di preferenza e nella notorietà che questa produzione riscontra nei mercati nazionali ed esteri. Una notorietà che induce molti operatori a far uso della denominazione di Origine "Fucino" per commercializzare prodotto proveniente da altre aree di produzione. Ne consegue, pertanto, la necessità di garantire l'origine del prodotto, mediante procedure che assicurino la tracciabilità delle varie fasi di produzione, ed il controllo dei produttori e delle particelle catastali su cui si coltiva la carota del Fucino iscritti in appositi elenchi. I predetti controlli verranno svolti da un organismo conforme a quanto riportato al successivo art. 7. Lo stesso organismo, accreditato presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, dovrà verificare anche la rispondenza del prodotto "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" alle prescrizioni del disciplinare. Articolo 5. Terreni — Semine - Tecniche colturali — Raccolta e Lavorazione Terreni I terreni destinati alla coltivazione della carota dovranno essere ubicati nella zona di produzione di cui al precedente art. 3. Nella preparazione degli impianti si procede con: - aratura ; - fresatura per l'affinamento della superficie; - rullatura per consentire una profondità di semina costante; - non è consentita la concimazione diretta mediante letamazione onde evitare fenomeni di imbrunimento delle radici a causa della decomposizione della sostanza organica durante il ciclo vegetativo. Semine La semina è esclusivamente meccanica per garantire uniformità di distribuzione e densità colturale ottimale dei semi. Si provvede a mettere a dimora il seme in interfile di 35-40 cm, mentre sulla fila il seme è distribuito su bande della larghezza di 5 - 7 cm oppure in file binate continue. Il seme è posto ad una profondità variabile dai 0.5 ai 1,5 cm. L'avvicendamento o rotazione colturale da osservare obbligatoriamente è minimo di 4 anni. Tecniche colturali Eseguite normalmente a macchina, le operazioni colturali si effettuano facendo attenzione a non danneggiare le radici o costipare eccessivamente il terreno nelle interfile. Sono comunque prescritte: -almeno una sarchiatura per consentire il controllo delle infestanti e la riduzione di compattezza del terreno per assicurare uno sviluppo armonioso della radice senza strozzature o piegamenti; -almeno una rincalzatura per evitare fenomeni di inverdimento del colletto. Irrigazioni Le irrigazioni vanno effettuate con modesti ma frequenti volumi di adacquamento che non superano i 400 mc/ha per intervento, il sistema usato è per aspersione. Nel periodo estivo (luglio, agosto), le irrigazioni, se necessarie, vengono effettuate durante le ore notturne o al massimo nelle prime ore del mattino; tale scelta si rende necessaria per evitare danni alle piante a causa delle elevate temperature e della forte ventosità diurne che caratterizzano l'Altopiano del Fucino. Raccolta e lavorazione La raccolta è praticata valutando gli stadi di maturazione più idonei in funzione della destinazione del prodotto e della tipologia di confezionamento; essa si effettua nel rispetto delle norme di qualità fissate dalla regolamentazione comunitaria e delle caratteristiche di cui all'art. 2 del presente disciplinare. Un prodotto da destinare alla conservazione dovrà essere raccolto a sviluppo ultimato e non prima del termine previsto per la cultivar. Inoltre si dovrà tener conto dell'andamento climatico per garantire conservabilità e mantenimento delle caratteristiche qualitative ed organolettiche. Pertanto durante il periodo estivo (luglio, agosto) la raccolta si effettua nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio così da evitare l'esposizione al sole del prodotto. Appena raccolte, le carote devono essere trasportate, entro quattro ore, nei centri di condizionamento, dove, prima del lavaggio e confezionamento, subiscono un raffreddamento utile a garantire loro il mantenimento delle caratteristiche di croccantezza, colore dell'epidermide e sapore. Caratterístiche del Prodotto Le carote ammesse a tutela, all'atto della commercializzazione, devono avere le seguenti caratteristiche minime: • forma della radice prevalentemente cilindrica con punta arrotondata, priva di peli radicali e assenza di cicatrici profonde nei punti di emissione del capillizio, epidermide liscia, colore arancio intenso su tutta la radice; • dimensioni e peso delle radici tali da soddisfare le norme comuni di qualità e confezionamento fissate dalla normativa comunitaria. Articolo 6. Legame con l'ambiente La diffusione della coltivazione nel territorio suddetto si identifica negli oltre 2000 ha investiti a carota. La produzione si attesta su circa 1,5 milioni di quintali annui, che rappresenta mediamente il 30% della produzione nazionale, il 5% della produzione europea e ľ l% di quella mondiale. La grandissima disponibilità di prodotto ha favorito, limitatamente all'area considerata, attività correlate di condizionamento e confezionamento del prodotto nonché la realizzazione di impianti di trasformazione della carota sia in cubetti che in succhi. Tutto ciò ha contribuito a creare un sistema che associa alle ottime caratteristiche pedoclimatiche dell'area, il notevole grado di specializzazione degli operatori di settore, sia essi coltivatori che commercianti e il notevole patrimonio di strutture di lavorazione che assicurano all'area la notorietà di area caroticola per eccellenza. Articolo 7. Controlli e vigilanza I controlli e la vigilanza saranno garantiti da un Organismo conforme all'art. 10 del Reg. CEE2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura II prodotto deve essere posto in vendita in appositi imballaggi nuovi, realizzati in legno, cartone o plastica distinto da apposita etichetta riportante le seguenti indicazioni: La denominazione "CAROTA DELL'ALTOPIANO DEL FUCINO" IGP INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA, realizzata a caratteri almeno doppi a quelli di ogni altra iscrizione. Sulle confezioni di cui sopra devono essere apposti tutti gli elementi atti ad individuare nome, ragione sociale, indirizzo dell'azienda produttrice/confezionatrice e quant'altro previsto dalle norme in materia. E' vietata qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare. Articolo 9. Utilizzo della denominazione geografìca protetta per i prodotti derivati I prodotti per la cui elaborazione è utilizzata come materia prima la "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP", anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione, senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: la "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" certificata come tale, deve costituire il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori della "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" siano iscritti in apposito registro attivato, tenuto ed aggiornato dall'organismo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dallo stesso controllati limitatamente alla denominazione protetta. L'utilizzazione non esclusiva della "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. Articolo 10. Logo II marchio di identificazione è rappresentato, nella parte superiore, dalla scritta di colore verde Pantone P.C.S. (S 274-1 CVS), bordato di nero. Carota dell'Altopiano del Fucino, carattere Cooper blk hd bt, con evidente andamento sinuoso come a rappresentare un'altura nella parte centrale della scritta (Altopiano) e una più bassa nella parte finale (Fucino). Nella parte sottostante, la scritta -INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA, carattere Anal rounded mt bold, di colore bianco ottenuto dal contorno con riempimento di colore blu, Pantone reflex blue. A sinistra delle scritte il logo I.G.P. della CE. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Abruzzo | L'Aquila |
Carota Novella di Ispica Carota Novella di Ispica IGP Disciplinare di produzione - Carota Novella di Ispica IGPArticolo 1. Denominazione L’indicazione Geografica Protetta “Carota Novella di Ispica” è riservata esclusivamente alle carote che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione e caratteristiche al consumo La “Carota Novella di Ispica” ad indicazione geografica protetta è il prodotto della coltivazione della specie Daucus carota L. Le varietà utilizzate derivano dal gruppo di varietà carota semilunga nantese e i relativi ibridi, quali: Exelso, Dordogne, Nancò, Concerto, Romance, Naval, Chambor, Selene. Potranno essere aggiunti altri ibridi purché derivanti dal gruppo di varietà carota semilunga nantese e purché i produttori abbiano dimostrato attraverso prove sperimentali documentate la conformità ai parametri qualitativi della Carota Novella di Ispica. L’utilizzo dei nuovi ibridi ai fini della produzione della Carota Novella di Ispica è consentito previa valutazione positiva delle prove sperimentali da parte del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali che potrà acquisire allo scopo il parere tecnico dell’Organismo di Controllo o di altro soggetto. All’atto della sua immissione al consumo presenta i seguenti parametri qualitativi: 1) Morfologici - forma cilindrica-conica; - assenza di radichette secondarie e radice apicale; - aspetto lucido dell’epidermide; - uniformità di colore; - assenza di fessurazioni del fittone; - calibro minimo: diametro 15 mm – peso 50 g; - calibro massimo: diametro 40 mm – peso 150 g. 2) Fisici - polpa tenera, consistente e croccante; - cuore poco fibroso. 3) Chimici-Nutrizionali - contenuto in glucidi: > 5% del peso fresco; - contenuto in beta-carotene, in considerazione dell’epoca di produzione: > 4 mg/100 g di prodotto fresco; - contenuto in sali minerali: compreso tra 0.5% e 0.9%. 4) Organolettici - sensoriali Le caratteristiche sensoriali sono state valutate attraverso il metodo UNI 10957 del 2003 che ha portato alla definizione di un profilo sensoriale costruito mediante un panel di 12 assaggiatori esperti, secondo quanto definito dalla norma ISO 8586-2 del 2008. Tutte le valutazioni sono state effettuate in locali di analisi in linea con quanto definito dallo standard UNI ISO 8589 del 1989. I descrittori sono stati quantificati utilizzando una scala di intensità a 5 punti secondo lo schema UNI ISO 4121 del 1989 con un intervallo che va dalla più bassa intensità (valore 1) alla più alta (valore 5). Il punteggio minimo espresso dai giudici per i principali descrittori sono i seguenti: - intensità del colore 2.5 - odore tipico di carota 2.5 - aroma erbaceo 2.5 - croccantezza 2.5 Può ottenere il riconoscimento solo la “Carota Novella di Ispica” appartenente alle categorie commerciali Extra e I , definite dalla norma CEE-ONU riguardante la commercializzazione e il controllo della qualità commerciale delle carote, così distinte: a) Categoria extra Le carote di questa categoria devono essere di qualità superiore e obbligatoriamente lavate. Le radici devono essere: - intere; - lisce; - di aspetto fresco; - di forma regolare; - non spaccate; - senza ammaccature e screpolature; - esenti da danni provocati da gelo. Esse non devono presentare la colorazione verde o rosso – violacea. b) Categoria 1° Le carote di questa categoria devono essere di buona qualità. Le radici devono essere: - intere; - di aspetto fresco. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Carota Novella di Ispica” comprende i comuni delle seguenti province fino ad un’altitudine di 550 m.s.l: - provincia di Ragusa: comuni di Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Ispica, Modica, Pozzallo, Ragusa, Santa Croce Camerina, Scicli, Vittoria; - provincia di Siracusa: comuni di Noto, Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini; - provincia di Catania: comune di Caltagirone; - provincia di Caltanissetta: comune di Niscemi. Le aree interessate alla coltivazione della Carota di Ispica e appartenenti ai suddetti comuni, sono da sempre state caratterizzate da un’omogeneità delle condizioni climatiche e pedologiche che ne hanno permesso la coltivazione fin dagli anni ’50. Infatti, il territorio di produzione della “Carota Novella di Ispica” è caratterizzato da temperature medie invernali elevate, elevato numero di ore di luce solare, terreni di medio impasto tendente allo sciolto, talvolta al sabbioso, con scheletro non grossolano, con buona dotazione di elementi nutritivi, con buone caratteristiche di profondità e freschezza. La zona di produzione delimitata ha inizio sulla costa sud-occidentale presso la foce del torrente Acate e prosegue risalendo il torrente, che prende il nome di Ficuzza, lungo il confine geografico tra le province di Ragusa e Caltanissetta. In contrada Baudarello continua sul confine tra le province di Caltanissetta e Catania. Giunti a casa Iacona in contrada Terrana, lascia il confine percorrendo una stradella che, costeggiando buona parte del vallone Terrana, passa nei pressi della torre di Terrana, delle case capreria Cocuzza, del mulino Terrana, del Palazzetto e delle case di Cristo incrociando in fine il confine tra le province di Catania e Ragusa. Prosegue poi percorrendo tale confine fino all’incrocio con la statale 514 RG-CT e lungo detta statale continua per circa km. 8 in direzione Ragusa fino in c/da Favarotta. Da qui prosegue lungo la strada provinciale n. 77, attraversando le contrade Ganzeria e Cifali dove presso le case Pizzarelle continua lungo una stradella vicinale, passando presso le case Muliesina e case Don Pietro per giungere alle case Canicarao. Da quì lungo la strada vicinale giunge in contrada Pupi di Canicarao presso l’abitato di Comiso che viene escluso aggirandolo in direzione NordOvest fino a incontrare la strada provinciale n. 20 Comiso-S.Croce Camerina percorrendola in direzione S.Croce fino all’incrocio con la ferrovia. Prosegue poi lungo quest’ultima fino alle case Paolina scendendo per un tratto di circa 1 km, sulla strada provinciale n.13 fino in contrada Passolato, dove si prosegue lungo la linea che separa la zona pianeggiante da quella collinare per arrivare in contrada Mistretta al km. 1 della SP 21. Da qui in linea diretta si prosegue giungendo alkm. 19 della SP 60, Ragusa - S. Croce Camerina, in contrada Malavita. Tale strada si percorre fino a raggiungere l’abitato di S. Croce Camerina che viene aggirato percorrendo la tangenziale Sud-Est, immettendosi così sulla SP 36 S. Croce Camerina-Marina di Ragusa che si percorre fino all’abitato di Marina di Ragusa. Escludendo il centro abitato si percorre la SP 89 Marina di Ragusa-Donnalucata fino a incrociare il fiume Irminio, lungo il quale si risale fino in contrada Scarfaletto per proseguire lungo una strada vicinale, fino alle case Roccasalva sulla SP 38, che si percorre giungendo in contrada Fondo di Marta. Da detta contrada si percorre, in direzione sud, il confine naturale sul ciglio superiore del versante destro del torrente Modica-Scicli che, da contrada Bommacchiella, dopo circa km.4 incrocia la SP 39 in contrada Porta di Ferro. Proseguendo lungo la cava di Pizzilucca si arriva alle case Timpa Rossa dalle quali si prosegue per una strada vicinale fino a incrociare la SP 56 ScicliCava D’alica. Proseguendo su questa passata da Villa S.Marco ci si immette lungo la cava S.Bartolomeo che si percorre fino a incrociare la SS 194 Modica-Pozzallo. Da qui percorrendo porzioni delle SP 41, 43 e 96 si arriva sulla SS 115 al km. 344,500 presso la bettola del Capitano. Da qui si prosegue per la SP 32 che passa per la Cava d’ Ispica e prosegue per contrada Favarottella e ancora per case Poidomani da dove si prosegue percorrendo una stradella vicinale che porta sul fiume Tellaro passando per case Terrenazzo. Passato il fiume in contrada Tatatauso si percorre la strada che porta alla SS 115 dove prosegue in direzione di Noto. In prossimità di Noto prosegue sulla strada che incrocia la SS 115 e che da Noto porta fino a Calabernardo. Articolo 4. Origine del Prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali su cui avviene la coltivazione, dei produttori, dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva entro il mese di dicembre, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Ogni produttore deve possedere degli appositi quaderni di campagna dove registrare tutte le operazioni colturali (lavorazioni, trattamenti di fertilizzazione, fitosanitari, etc.), negli stessi verrà annotato un codice per ogni lotto seminato, che seguirà la partita in tutte le fasi successive (coltivazione, raccolta, trasporto in magazzino, lavorazione e commercializzazione) per garantire in qualsiasi momento la tracciabilità e la totale trasparenza a tutela del consumatore. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione 5.1 - Lavorazioni preparatorie Le lavorazioni preparatorie principali consistono nell’eseguire un’aratura profonda 40-50 cm almeno un mese prima della semina. Successivamente si eseguiranno le lavorazioni preparatorie complementari volte ad ottenere un amminutamento e affinamento dello strato arato, mediante strumenti discissori e una o più fresature per interrare la concimazione di base. Ultima lavorazione prima della semina sarà effettuata con l’aiolatrice per la formazione delle prode rialzate in cui vengono seminate le carote. 5.2 – Tecniche di avvicendamento La rotazione colturale deve essere effettuata allo scopo di ridurre le problematiche fitosanitarie e di evitare fenomeni di stanchezza del terreno. A tal fine dovrà essere attuata una rotazione triennale e, pertanto, la coltivazione di carota non potrà ritornare sullo stesso appezzamento prima che siano trascorse due annate agrarie. E’ ammessa la coltivazione sullo stesso appezzamento per due annate successive solo nei terreni in cui non sia stata mai coltivata la carota (ad esempio terreni in cui vi è stato un espianto di colture arboree). La rotazione non è di tipo “chiuso”, nel senso che la coltivazione di carota può essere avvicendata con ortaggi da pieno campo, cereali e leguminose con schemi di rotazione “aperta”, secondo le programmazioni colturali aziendali. E’ da escludere ogni forma di consociazione. 5.3 - Semina La semina è eseguita in autunno e effettuata con l’ausilio di seminatrici pneumatiche di precisione a sesto prestabilito e successiva rullatura con interramento medio del seme a cm 1. L’investimento colturale varia da 1.500.000 a 2.000.000 di semi per ettaro di superficie a seconda del sistema colturale adottato. 5.4 - Fertilizzazione La fertilizzazione viene effettuata con un intervento in pre-semina (concimazione di base) e un paio di interventi post-emergenza (concimazione di copertura). Le unità fertilizzanti (U.F.) distribuite vengono calcolate in relazione ai livelli di asportazione della coltura per una resa media stimata in 400 – 500 quintali per ettaro, privilegiando sempre concimi misto-organici onde evitare accumulo di nitrati nei fittoni. E’ ammesso l’uso di concimi a base di meso e micro elementi. In ogni caso non possono essere superate le seguenti quantità di U.F. ad ettaro: Sono ammesse due o più sarchiature atte ad eliminare le erbe infestanti, migliorare la sofficità del terreno e distribuire i concimi di copertura. 5.5 - Irrigazione Svolgendosi il ciclo vegetativo della pianta nel periodo autunnale – invernale – primaverile, le irrigazioni verranno effettuate per aspersione o irrigazione localizzata, utilizzando 150-300 mc di acqua per ettaro. 5.6 - Difesa fitosanitaria La difesa fitosanitaria viene basata sui principi della lotta integrata, attraverso interventi agronomici (semine rade, rispetto delle rotazioni colturali, scelta degli appezzamenti di coltivazione in funzione dell’esposizione, semine tardive nella seconda decade di ottobre meno suscettibili agli attacchi di alternaria), biologici (utilizzo di Bacillus per la lotta a lepidotteri nottuidi, oculata scelta delle varietà) e chimici. La lotta chimica va effettuata solo nei casi in cui il fitofago raggiunge le soglia di intervento o nei casi in cui si verificano le condizioni ottimali di sviluppo di alcuni patogeni. Per le malattie crittogamiche quali: Sclerotinia, Oidio, Rizoctonia, si interviene alla comparsa dei sintomi, mentre per l’Alternaria il mezzo chimico viene utilizzato dopo una attenta valutazione di alcuni parametri riguardanti le condizioni favorevoli di sviluppo del patogeno (elevata umidità, prolungata bagnatura delle foglie, temperature diurne superiori ai 10° C) e lo stadio fenologico delle piante (elevato vigore, notevole sviluppo epigeo, tenerezza dei tessuti). I danni da fitofagi sulla “Carota Novella di Ispica” sono normalmente poco rilevanti perché quasi tutto il ciclo della coltura coincide con il periodo di riposo invernale degli insetti e, pertanto, gli interventi con insetticidi chimici sono molto limitati. Tuttavia, in caso di erosioni precoci delle plantule, da parte di lepidotteri nottuidi (Agrotis spp.), il trattamento è giustificato al raggiungimento della soglia di intervento (1-2 larve oppure 1-2 piante erose per metro quadrato). 5.7 - Raccolta La raccolta, effettuata giornalmente, sarà eseguita a partire dal 20 febbraio e fino al 15 di giugno. Viene eseguita con l'ausilio di macchine raccoglitrici a operazioni riunite atte, come tali, a svolgere l’intera fase di raccolta in una sola passata in campo. Tali macchine sono, in genere, di tipo trainato o portato posteriormente dalla trattrice, con organi di lavoro comandati dalla p.d.p. e operano su una o due file di lavoro. Sono costituite da: un apparato defogliatore o cimatore; un apparato sterratore e caricatore dei fittoni in appositi contenitori. L’apparato estirpatore consiste in un vomerino che solleva il fittone, completo di apparato fogliare. Questo poi viene preso da una coppia di cinghie gommate che lo sollevano portandolo al dispositivo di cimatura del tipo a lama oscillante. Mentre le foglie vengono espulse verso la parte posteriore cadendo a terra, i fittoni cadono in un sottostante trasportatore trasversale a barrette rivestite di gomma che provvedono ad una prima separazione dalla terra. Altri trasportatori – elevatori, poi completano tale pulizia, provvedendo a riversare i fittoni in appositi contenitori (bins) che, una volta riempiti, vengono scaricati a terra. 5.8 - Lavorazione del prodotto La lavorazione del prodotto fresco raccolto sarà eseguita giornalmente con le linee di lavorazioni presenti nelle aziende. Le fasi principali che caratterizzano il processo di lavorazione delle carote sono le seguenti: lavaggio, selezione scarti, calibratura, confezionamento. Le strutture di condizionamento e lavorazione devono ricadere nella zona di produzione individuata all’art. 3 del presente disciplinare, al fine di garantire la qualità, il controllo e la tracciabilità del prodotto. La data finale per la commercializzazione viene fissata al 15 giugno. Le operazioni di produzione e di primo condizionamento devono avvenire nella zona di produzione individuata al punto 4.3, al fine di garantire la qualità, il controllo e la tracciabilità del prodotto. Sono ammesse ulteriori riconfezionamenti al di fuori dell’ area geografica delimitata. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il riconoscimento della Carota Novella di Ispica come indicazione geografica protetta è giustificato dalla caratteristica di precocità del prodotto. La particolare combinazione di fattori pedoclimatici e produttivi nell’area delimitata a cui si fa riferimento, consente al territorio di esprimersi al meglio, offrendo al prodotto le note caratteristiche organolettiche, giustificando quindi la sua reputazione. Le favorevoli condizioni pedo-climatiche caratterizzano l’epoca di produzione della “Carota Novella di Ispica”. Infatti, la Carota di Ispica è “novella” cioè raggiunge la maturazione commerciale già alla fine di Febbraio (20 febbraio) e fino agli inizi di Giugno (15 giugno). Si delinea così un prodotto novello, tipico siciliano, che si lega totalmente al territorio di produzione. La “Carota Novella di Ispica”, pertanto, è una carota presente sul mercato nel periodo invernale – primaverile avente le caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto fresco, quali croccantezza, profumo intenso ed un aroma di erbaceo. Il territorio di produzione della “Carota Novella di Ispica” è caratterizzato da temperature medie invernali elevate, elevato numero di ore di luce solare, terreni di buona fertilità. I parametri qualitativi e il particolare ciclo produttivo risultano intimamente legati alle caratteristiche fisiche (pedologiche e climatiche) e biochimiche (processi di trasformazione e utilizzazione delle sostanze necessarie alla vita) che interagendo, fanno del territorio ibleo un indispensabile sistema armonico, capace di esaltarli e caratterizzarli. La vocazionalità del territorio ne facilita la coltivazione in quanto le ottimali condizioni ambientali e in particolare il clima temperato e asciutto della fascia costiera, consentono alla pianta di mantenere un’ottima salubrità generale. Nel contempo l’estensione del comprensorio consente alle aziende un più ampio avvicendamento colturale con altre ortive, evitando i fenomeni negativi di stanchezza del terreno. Tutto questo, in generale, permette una netta riduzione degli interventi fitoiatrici. Nel territorio interessato alla produzione della “Carota Novella di Ispica” non si verificano né eccessivi cali di temperatura, né eccessi di piovosità o di aridità. E’ dimostrato che le temperature che si verificano nel comprensorio sono quelle che favoriscono una colorazione molto intensa, anche per effetto non indifferente della luminosità, una conformazione molto regolare e un’ottimizzazione dei contenuti in zuccheri, beta carotene e sali minerali. Anche i terreni rispondono alle esigenze della coltivazione, che predilige il medio impasto tendente allo sciolto, con scheletro non grossolano, con buona dotazione di elementi nutritivi, con buone caratteristiche di profondità e freschezza, ma che va bene anche in terreni tendenti al sabbioso purché sostenuti da adeguate concimazioni e irrigazioni. Questi di fatto sono le caratteristiche pedologiche delle superfici su cui si sviluppa la coltivazione della “Carota Novella di Ispica”. Nasce così in un’intima connessione tra l’area di produzione e la carota novella. Il consumatore identifica le sue caratteristiche con il territorio di origine. I vecchi produttori ricordano ancora che gli importatori europei dicevano di riconoscere immediatamente un carico di “Carota Novella di Ispica”, appena si apriva il vagone che le conteneva, per il profumo particolare e intenso che si sviluppava. Nello stesso tempo nel territorio, a cominciare dagli anni ‘50, accadeva una rivoluzione socio – economica che segnerà il territorio e che ne caratterizzerà il suo sviluppo nel futuro. Rimane ancora il ricordo di quel grosso fenomeno sociale della migrazione bracciantile che avveniva nelle provincie di Ragusa e Siracusa nel periodo della raccolta della “Carota Novella di Ispica” che, nel passato impegnava notevoli quantità di manodopera, innescando un flusso verso le zone del comprensorio proveniente, in particolare, dall’area montana dove le occasioni di lavoro erano limitate. Sin dagli anni 70 l’intima connessione della “Carota Novella di Ispica” con il territorio del comprensorio delimitato è stata occasione di pubblicazioni scientifiche (Pina avveduto, “La coltivazione della Carota ad Ispica”, L.E.R, 1972), convegni, tesi di laurea con riferimenti a prove e sperimentazioni svolte nel territorio del comprensorio, (G. Corallo, “La carota ad Ispica”, A.A 1969-1670, Università degli studi di Catania –Facoltà di Economia e Commercio). Le origini documentate della coltivazione della carota di Ispica risalgono al 1955 e a pochi anni dopo le prime notizie sulla sua esportazione. Dagli anni ’50, la coltivazione della Carota di Ispica si è progressivamente allargata fino a comprendere l’area delimitata al punto 4, sia per motivi legati al fenomeno agrario della “stanchezza del terreno” sia per il grande successo commerciale riscontrato sui mercati nazionali ed esteri. Importanti testimonianze sono fornite dalla pubblicazione di Pina Avveduto “La Coltivazione della Carota ad Ispica” del 1972, l’autrice relativamente alla rapida espansione della coltivazione della Carota di Ispica scriveva: “ Come è intuibile , la rapida diffusione della nuova coltivazione è stata favorita dalla facile commerciabilità del prodotto, accettato ed anzi richiesto da tutti i mercati nazionali ed internazionali per i sui pregi intrinseci […]. La nostra carota infatti si fa preferire per precocità, qualità di forma (pezzatura), proprietà organolettiche (colore, sapore), proprietà chimiche ( ricchezza di carotene e glucosio)”. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo Suolo e Salute, Via Paolo Borsellino, 12/B - 61032 Fano (PU), tel./ fax. +39 0721 860543, e-mail : info@suoloesalute.it. Articolo 8. Confezione ed Etichettatura La “Carota Novella di Ispica” IGP è confezionata in imballaggi sigillati, in maniera tale che l’apertura della confezione comporti la rottura del sigillo. Sono ammesse le seguenti confezioni: - vassoio fino a 2 kg ricoperto da film di protezione; - sacco di peso compreso tra 1 e 6 kg, in polietilene o polipropilene; - sacco salva-freschezza di peso compreso tra 6 e 12 kg. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e le informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: - logo della denominazione “Carota Novella di Ispica” IGP; - il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice; - la categoria commerciale di appartenenza “extra” e “I”. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore. Il logo della “Carota Novella di Ispica” si compone di un segno grafico (colore arancio) che rappresenta una carota, sormontato da un triangolo irregolare (verde) con il vertice rivolto verso il basso. Il segno grafico è disposto a sinistra rispetto alla dicitura “Carota Novella di Ispica”. La “N” maiuscola di “Novella” interseca la sagoma della carota circa a metà della propria altezza, mentre la dicitura “di Ispica” viene riportata sotto ”Novella”, tutte le lettere sono di colore verde. I caratteri hanno le estremità arrotondate. I colori pantone di riferimento sono: Pantone 348 C (verde) stampa in quadricromia: C=100; M=0; Y=79; K=27; Pantone 144c (arancio) stampa in quadricromia: C=0; M=47; Y=100; K=0. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Ragusa, Siracusa, Catania, Caltanissetta |
Castagna Cuneo Castagna di Cuneo IGP Disciplinare di produzione - Castagna di Cuneo IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Piemonte | Cuneo |
Castagna del Monte Amiata Castagna del Monte Amiata IGP Zona di produzioneLa indicazione geografica protetta "Castagna del Monte Amiata IGP" è stata registrata con Reg. CE 1904/00. Il disciplinare di produzione è stato modificato nel dicembre 2010. Zona di produzione: Toscana. La zona di produzione della Castagna del Monte Amiata comprende i comuni di Arcidosso, Casteldelpiano, Santa Fiora, Seggiano, Cinigiano e Roccalbegna in provincia di Grosseto e i comuni di Castiglione d'Orcia, Abbadia S. Salvatore e Piancastagnaio in provincia di Siena. Sono pertanto da considerarsi idonee le fustaie di castagne da frutto site nella zona fitoclimatica del «Castanetum» del Monte Amiata, ubicate nella fascia compresa tra i 350 e i 1 000 m.s.l.m., coltivate in terreni derivanti in massima parte da rocce vulcaniche e arenacee e comunque a prevalente o abbondante componente silicea. Fin dal XIV secolo all'interno degli Statuti delle Comunità dell'Amiata si registrano precise norme per la salvaguardia e lo sfruttamento della risorsa «castagno», in merito sia alla raccolta dei frutti sia alla raccolta del legname da opera o a scopo energetico. CaratteristicheLa Castagna del Monte Amiata IGP designa le castagne riferibili alle varietà correntemente conosciute come: Marrone, Bastarda Rossa, Cecio. Cecio L’albero, di grandi dimensioni, ha lento sviluppo, la chioma è folta con rami espansi, il tronco marrone scuro e i rametti sono grossi e lisci. Le gemme sono piccole e coniche e le foglie ovato-lanceolate.Il frutto è generalmente di grosse dimensioni con una forma globosa. Il pericarpo è bruno-rossastro, lucente, con striature più scure. L’episperma ha color fulvo chiaro e si asporta facilmente. Il seme ha un color crema chiaro ed al gusto risulta dolce. È una cultivar precoce di buon pregio e buona conservabilità, ed è utilizzata per consumo fresco e per l’industria alimentare. Bastarda Rossa L’albero è di grandi dimensioni e ha medio sviluppo. La chioma è aperta e i rami espansi, i rametti sono lisci color fulvo ed il tronco è grigio chiaro. Le gemme sono medio piccole e le foglie lanceolate-ellittiche. Il frutto ha grandi dimensioni e forma ovale con apice poco pronunciato. Il pericarpo è persistente di colore rossastro con striature marroni poco evidenti al tatto. L’episperma è piuttosto aderente di colore avana, con difficoltà media di asportazione. Il seme ha un colore crema chiaro e sapore dolce. È una varietà di buon pregio particolarmente diffusa per il consumo fresco. Marrone L’albero, di medie-grandi dimensioni, ha buon vigore e sviluppo vegetativo. La sua chioma è aperta con rami eretti, e talvolta penduli. Il tronco è rugoso e marrone grigiastro, i rametti lisci sono di notevole grandezza. Le gemme sono grandi di color rosso fulvo e le foglie ellittico-lanceolate. A seconda della zona di origine, il frutto ha generalmente dimensioni grandi e forma variabile tra obovata-rotondeggiante ed ovale-ellittica. Anche il pericarpo, ossia l’involucro esterno, può avere una maggiore o minore consistenza con striature in rilievo, più o meno pronunciate, di colore variabile dal rosso fulvo al marrone rossastro. L’episperma, l’involucro interno, può essere di colore avana o marrone, facilmente asportabile, ed il seme generalmente ha un colore bianco crema, dal sapore particolarmente dolce e delicato. Ha un elevato valore commerciale ed essendo una varietà di pregio viene usata per il consumo fresco, ma in maniera speciale, per l’industria dolciaria. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Grosseto, Siena |
Castagna di Montella Castagna di Montella IGP Disciplinare di produzione - Castagna di Montella IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Avellino |
Castagna di Vallerano Castagna di Vallerano DOP Disciplinare di produzione - Castagna di Vallerano DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Viterbo |
Ciliegia dell'Etna Ciliegia dell'Etna DOP Disciplinare di produzione - Ciliegia dell'Etna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Le categorie di vendita della “Ciliegia dell’Etna sono così definite:
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania |
Ciliegia di Marostica Ciliegia di Marostica IGP Disciplinare di produzione - Ciliegia di Marostica IGPArticolo 1.
Articolo 2. Piattaforma varietale La denominazione "Ciliegia di Marostica" designa i frutti ottenuti dalla coltivazione delle seguenti varietà: a) precocissime "Sandra" e "Francese", quest’ultima ascrivibile alla varietà Bigareaux, Moreaux e Burlat; b) medio precoce "Roana" e il durone precoce "Romana"; c) tardive duracine: "Milanese", "Durone Rosso" (Ferrovia simile) e "Bella Italia"; d) "Sandra Tardiva"; ed inoltre le varietà "Van"; "Giorgia"; "Ferrovia"; "Durone Nero I"; "Durone Nero II"; "Mora di Cazzano"; "Ulster". Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della "Ciliegia di Marostica" comprende i territori dei seguenti comuni in provincia di Vicenza: Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena, Pianezze, Marostica, Bassano, limitatamente al territorio che si estende alla destra idrografica del fiume Brenta ed infine la parte del territorio del comune di Schiavon così delimitata: a est della statale per Vicenza la porzione a nord di via Olmi fino all’altezza di via Vegra; ad ovest della statale per Vicenza la porzione a nord di via Roncaglia Vecchia. Articolo 4. Ambiente di coltivazione e tecnica colturale L’ambiente di coltivazione e la tecnica colturale per la produzione della "Ciliegia di Marostica" sono le seguenti: terreni: i terreni dovranno essere ubicati nella zona di produzione di cui al precedente art. 3 con esclusione di quelli pianeggianti non drenati; preparazione del terreno: la preparazione dei terreni per l’impianto dovrà essere eseguita con idonea lavorazione della superficie interessata. Nei terreni di collina è obbligatoria almeno l’esecuzione di una lavorazione localizzata a "buche", con dimensioni minime delle stesse di metri 1,0 x 1,0 x 1,0. È obbligatoria l’effettuazione di analisi chimico fisiche del terreno oggetto d’impianto da eseguirsi secondo i metodi ufficiali di analisi chimica del suolo allo scopo di predeterminare la necessità e la quantità di eventuali concimazioni di fondo; impianto: viene ammesso esclusivamente l’impiego di astoni innestati su Prunus Avium. È ammesso l’uso sia di astoni innestati con le varietà di cui al precedente art. 2 e l’innesto a dimora del selvatico con le varietà medesime; forma di allevamento: sono ammesse tutte le forme di allevamenti sia in volume che in parete. Per le forme in volume la chioma dovrà assumere una forma mono/poli conica o tronco/conica, con base/i all’estremità inferiore. Gli impianti dovranno in ogni caso rispondere ai seguenti altri requisiti: le chiome di alberi contigui dovranno essere tra loro separate, ovvero senza presenza di intersecamenti tra rami delle stesse; assenza di seccumi interni alle chiome; densità e distribuzione delle ramificazioni dovranno essere tali da garantire illuminazione e arieggiamento di tutta la chioma degli alberi; per i nuovi impianti, i sesti non dovranno essere inferiori alle seguenti ampiezze minime: metri 4,00 sul filare e metri 4,00 tra i filari; consociazione varietale: la distribuzione delle varietà nell’impianto dovrà essere rapportata all’epoca di fioritura e di maturazione delle stesse, predisponendo i nuovi impianti per blocchi varietali omogenei per epoca di fioritura e maturazione delle varietà comprese in uno stesso blocco varietale o di consociazione varietale; difesa fitosanitaria: allo scopo do salvaguardare e tutelare il patrimonio apistico locale: sono rigorosamente vietati gli interventi antiparassitari durante la fase della fioritura; prima dell’esecuzione di eventuali interventi dovrà essere eseguita la trinciatura dell’erba oppure lo sfalcio e la raccolta della stessa. La difesa fitosanitaria dovrà comunque essere attuata secondo i criteri della difesa integrata. Per il preventivo contenimento del rischio di infezioni di Monilia sui fiori, è obbligatoria la potatura di arieggiamento delle chiome e l’eliminazione dagli alberi delle eventuali produzioni non raccolte; raccolta e condizionamento: la raccolta delle ciliegie deve essere effettuata a mano, disponendo il prodotto in contenitori con pareti rigide. Già in azienda agricola le ciliegie devono essere sottoposte a cernita per eliminare i frutti di scarto e con pezzatura insufficiente. Fino al momento della consegna per la commercializzazione i frutti devono comunque essere mantenuti in luoghi freschi e ombreggiati per evitare perdite di qualità e conservabilità. Qualora non venisse effettuata una commercializzazione della produzione nell’arco delle 48 ore i frutti dovranno essere sottoposti a raffreddamento anche con la tecnica dell’idrocooling. Articolo 5. Controlli Gli impianti idonei alla produzione dell’I.G.P. "Ciliegia di Marostica" sono iscritti in un apposito elenco attivato, tenuto e aggiornato dall’organismo di controllo di cui all’art. 10, comma 2, del regolamento (CEE) n. 2081/92. Il produttore o l’organismo associativo deve comunicare all’organismo di controllo la data indicativa d’inizio raccolta dieci giorni prima che avvenga la stessa. Entro trenta giorni dalla data di fine raccolta, il produttore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale di produzione annuale. Analogamente, alla fine del periodo di commercializzazione il confezionatore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale. Articolo 6. Caratteristiche del prodotto Caratteristiche qualitative: le caratteristiche qualitative del prodotto devono essere, tranne che per il calibro, quelle corrispondenti alla categoria "I" stabilite dalle norme comunitarie di commercializzazione. Calibrazione: la calibrazione è determinata dal diametro massimo della sezione normale all’asse del frutto. Le ciliegie devono avere un calibro minimo di 20 mm. Colorazione: la colorazione dei frutti commerciabili dovrà in linea generale essere: - rosso fuoco/rosso scuro per le ciliegie appartenenti alle seguenti varietà: Francese, Sandra, Durone rosso, Milanese, Ferrovia, Mora di Cazzano, Romana; - rosso scuro per le altre varietà. Tolleranze: è consentita una tolleranza nella calibrazione e colorazione del 10% in numero o in peso di ciliegie non rispondenti alle caratteristiche sopra indicate. Articolo 7. Confezionamento Disposizioni generali relative alla presentazione Per essere ammesse al consumo le ciliegie dovranno essere confezionate in apposito contenitore (di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo) con una capacità della minima unità commercializzabile pari al massimo di 10 kg di prodotto. Omogeneità Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere esclusivamente ciliegie di uguale varietà e qualità. La grandezza dei frutti deve essere omogenea. Inoltre le ciliegie devono presentare colorazione e maturazione uniformi. La parte visibile del contenuto dell’imballaggio deve essere rappresentativa dell’insieme. Condizionamento I materiali utilizzati all’interno dell’imballaggio devono essere nuovi, puliti e di sostanze che non possano provocare alterazioni esterne o interne dei prodotti. L’impiego di materiali e in particolare di carte o marchi recanti indicazioni commerciali deve essere effettuato solo con stampa o etichettatura realizzate con inchiostro o colla non tossici. Gli imballaggi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. All’esterno di ogni imballaggio devono essere apposte con indicazione diretta o con apposita etichetta le seguenti indicazioni: CILIEGIA DI MAROSTICA – I.G.P. inoltre, nello stesso campo visivo, devono essere indicati gli estremi atti ad individuare: - nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore; - data di confezionamento. Deve essere inoltre inserito il logo sotto riportato e raffigurante una ciliegia di colore rosso pantone 032C con peduncolo, di colore verde pantone 361C, con foglia di colore grigio pantone 404C, sovrapposta ad una torre medioevale che rappresenta un pezzo della scacchiera della partita a scacchi, di colore grigio pantone 404C, su sfondo bianco e con ai margini riportata la scritta "Ciliegia di Marostica Ciliegia I.G.P.", carattere serie Elvetica, di colore rosso pantone 032C; la dimensione dei disegni f.to cm 9x7 e cm 3x4 del logo, la grandezza dei caratteri per le etichette grandi 28/29 punti, per le etichette piccole 11/12 punti, per le dimensioni il logo apposto sulle confezioni dovrà rispettare il rapporto altezza/base pari a 1,2. | I.G.P. Cigliegia marostica Video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=i2_xpeYcxkw[/embedyt] | Ortofrutticoli | Veneto | Vicenza |
Ciliegia di Vignola Ciliegia di Vignola IGP Disciplinare di produzione - Ciliegia di Vignola IGPArticolo 1. Denominazione. L’Indicazione Geografica Protetta “Ciliegia di Vignola” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto. La denominazione “Ciliegia di Vignola” designa il frutto delle seguenti cultivar di ciliegio: Precoci: Bigarreau Moreau, Mora di Vignola; Medie: Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van; Tardive: Durone Nero II, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart; coltivate nel territorio definito nel successivo art. 3. Caratteristiche qualitative La “Ciliegia di Vignola” deve rispondere alle seguenti caratteristiche qualitative: - polpa consistente e croccante ad esclusione della Mora di Vignola; - buccia sempre lucente ma di colore giallo e rosso brillante per la varietà Durone della Marca e di colore dal rosso brillante al rosso scuro per tutte le altre varietà; - sapore dolce e fruttato; - gradi brix non inferiori a 10° per le varietà precoci e 12° per tutte le altre; - acidità da 5 a 10 g/l di acido malico. In relazione alla tipologia varietale vengono definiti i seguenti calibri minimi: 20 mm: Mora di Vignola 21 mm: Durone dell’Anella, Giorgia, Durone Nero II, Durone della Marca, Sweet Heart 22mm: Bigarreau Moreau, Lapins, Van 23 mm: Durone Nero I, Anellone, Samba, Ferrovia. All’atto dell’immissione al consumo i frutti devono essere: - integri, senza danni; - provvisti di peduncolo; - puliti, privi di sostanze estranee visibili; - sani, esenti da marciumi e da residui visibili di fitofarmaci; - esenti da parassiti. Articolo 3. Zona di produzione. La zona di produzione della “Ciliegia di Vignola” consiste nella fascia formata dal tratto pedemontano del fiume Panaro e altri corsi d’acqua minori, dai 30 metri s.l.m. fino alla quota di 950 metri e comprende il territorio dei seguenti Comuni delle Province di Modena e Bologna: 1) In Provincia di Modena: Castelfranco Emilia, Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Guiglia, Lama Mocogno, Marano sul Panaro, Modena, Montese, Pavullo nel Frignano, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Serramazzoni, Spilamberto, Vignola, Zocca; 2) In Provincia di Bologna: Bazzano, Casalecchio di Reno, Castel d’Aiano, Castello di Serravalle, Crespellano, Gaggio Montano, Marzabotto, Monte S. Pietro, Monteveglio, Sasso Marconi, Savigno, Vergato, Zola Predosa. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione degli agricoltori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. Forme di allevamento Le forme di allevamento sono palmetta libera, bandiera, vaso basso, vaso ritardato, con densità per ettaro fino a 1000 piante. Concimazione Il piano di concimazione prevede comunque di non superare annualmente le seguenti dosi massime: - Azoto 100 Kg/Ha; - Anidride fosforica 70 Kg/Ha; - Ossido di potassio 100 Kg/Ha. Potatura La potatura viene effettuata durante tutto l’arco dell’anno. Difesa fitosanitaria La difesa dei ceraseti viene condotta: - attuando la lotta convenzionale in uso nella zona, con osservanza delle norme di buona pratica colturale dettate dalla Regione Emilia Romagna; - attuando la lotta integrata, ottenuta nel rispetto delle norme tecniche previste dal Disciplinare della Regione Emilia Romagna; - attuando la lotta biologica, secondo il Reg. CE n. 834/2007 e successive modifiche. Il metodo prescelto viene utilizzato in modo esclusivo per l’intero processo produttivo. L’utilizzo di regolatori di crescita per l’incremento dell’allegagione e del calibro dei frutti e prevenzione dello spacco è ammesso nei termini previsti dalla normativa vigente. E’ ammessa la copertura dei fruttiferi con teli di plastica per prevenire il cracking indotto dalle piogge. Raccolta Le varietà precoci vengono raccolte dal 1° maggio al 30 giugno; le varietà medie dal 15 maggio al 15 luglio e le tardive dal 25 maggio al 30 luglio. Le ciliegie devono essere raccolte a mano provviste di peduncolo. Articolo 6. Legame con l’ambiente. La produzione della “Ciliegia di Vignola” è legata a molti fattori, in connessione tra loro, pedoclimatici, tecnici, agronomici, sociali, culturali ed economici, specifici dell’areale di coltivazione. Il range di coltivazione delle ciliegie va dai 30 metri ai 950 metri sul livello del mare. Al di fuori della zona geografica delimitata non viene coltivato ciliegio; nelle zone limitrofe infatti la coltivazione è stata da tempo abbandonata, in quanto la produzione e la qualità del prodotto risultavano nettamente inferiori rispetto al prodotto proveniente dall’interno della zona delimitata, tali da renderne economicamente non vantaggiosa la coltivazione. I terreni, di origine alluvionale sono tendenzialmente sciolti, ben drenati e freschi, e sono resi particolarmente fertili dai sedimenti trasportati, durante gli episodi di alluvionamento, dal fiume Panaro e da altri corsi d'acqua minori; le caratteristiche di questi terreni fanno sì che il ciliegio cresca particolarmente rigoglioso Il clima è fresco e scarsamente continentale con precipitazioni primaverili abbondanti ed estati mai troppo siccitose. La quantità della radiazione solare, non eccessivamente elevata, influenza positivamente l’intensità di colorazione delle drupe e stimola la loro naturale lucentezza, permettendo di presentare sul mercato un prodotto esteticamente eccellente senza ricorrere a trattamenti particolari. Oltre alle peculiarità pedoclimatiche del territorio e all’eccezionalità del microclima sopra descritto, gli altri fattori che determinano l’eccellente qualità e la reputazione della ciliegia di Vignola sono la sapienza e la capacità dei produttori; queste vengono tramandate da padre in figlio attraverso le generazioni, e consistono nella tecnica agronomica, nella raccolta e nel confezionamento del prodotto, effettuati esclusivamente a mano, che permettono di presentare al consumatore un prodotto unico nella sua specie. L’assortimento varietale che nel corso del tempo si è affermato nella zona geografica e lo sviluppo della coltivazione in un’ampia fascia altimetrica assicurano un ampliamento del calendario di raccolta e la presenza del prodotto sul mercato per l’intera stagione di produzione ottenendo regolarmente il gradimento dei consumatori e un positivo riscontro sui prezzi. Le Ciliegie di Vignola vengono selezionate con dimensioni maggiori di quelle stabilite dalle norme di commercializzazione e raggiungono calibri di oltre 28 mm. Questa particolarità fa si che, come testimoniato da indagini di mercato e studi svolti da società specializzate, in mercati quali Torino, Milano, Amburgo il prezzo delle Ciliegie di Vignola sia quasi sempre superiore rispetto a quello dei diretti concorrenti, e che per la maggior parte dei consumatori Vignola venga associata alla zona di produzione delle ciliegie per eccellenza. Gli agricoltori dell’area geografica identificata, da tempo concentrano l’offerta di ciliegie in Vignola, dove già dal 1928 era presente il Mercato Ortofrutticolo di Vignola, uno dei più antichi d’Italia, seguito poi da altre strutture di lavorazione e commercializzazione. L’affermazione della Ciliegia di Vignola ha consentito pertanto lo sviluppo di un forte indotto commerciale, con un’importante ricaduta sull’intera filiera che va dalla produzione alla commercializzazione del frutto; si sono infatti sviluppate nel territorio: - circa 1.100 aziende agricole; - 3 cooperative di lavorazione/commercializzazione; - 1 Mercato Ortofrutticolo che comprende 4 commissionari; - Alcuni commissionari e commercianti che svolgono l’attività presso le loro sedi; - Artigiani, produttori di imballaggio, trasportatori e raccoglitori. Da questi dati è evidente l’importanza sociale ed economica che la Ciliegia di Vignola riveste per l’intero areale di produzione. L’importanza economica e culturale della Ciliegia di Vignola per il territorio che storicamente la produce è stata testimoniata nel corso degli anni da numerose edizioni di fiere, sagre e pubblicazioni; grande importanza rivestono per Vignola la “Festa dei Ciliegi in Fiore”, la cui prima edizione si tenne nell’aprile del 1970, e la festa “a Vignola, è tempo di Ciliegie”, organizzata dall’1989. L’Associazione Nazionale “Città delle Ciliegie”, fondata nel giugno del 2003 , indice ogni anno un Concorso Nazionale “Ciliegie d’Italia” in occasione della Festa Nazionale “Città delle Ciliegie” organizzata ogni anno in una località differente; le ciliegie di Vignola hanno vinto il primo premio nel 2005 a Celleno (VT), nel 2006 a Orvieto (TR) e nel 2009 a Bracigliano (SA), confermando la reputazione di elevata qualità che la Ciliegia di Vignola è stata in grado di ottenere negli anni. L’insieme di questi fattori ha determinato che i consumatori identificassero la produzione dell’area con il nome di Ciliegia di Vignola. Storicamente vari documenti scritti evidenziano che la coltivazione del ciliegio a Vignola risale, attraverso la presenza di alberi adulti inseriti in consociazione con la vite, già a metà dell’Ottocento. Le due colture nel tempo si alternano, con prevalenza ora dell’una ora dell’altra a seconda della zona, poi emerge decisamente il ciliegio, più longevo e adatto alle peculiarità pedoclimatiche della zona. Le produzioni agricole dalla fine del secolo progrediscono progressivamente, dal secondo dopoguerra la produzione aumenta notevolmente generando un notevole indotto commerciale e artigianale tale da far diventare la Ciliegia di Vignola il biglietto da visita di Vignola in tutti i mercati italiani ed esteri. “L’indagine sulla coltivazione del ciliegio in Provincia di Modena” realizzata a Vignola, nel febbraio del 1977, dalla Camera di Commercio di Modena e che fa riferimento alla produzione e alla commercializzazione della “Ciliegia di Vignola” dimostra che la denominazione “Ciliegia di Vignola” è sin da allora presente nell’uso del linguaggio comune e commerciale. Articolo 7. Controlli. Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dalla struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE n. 510/06. L’organismo di controllo prescelto è Agroqualità S.P.A. – P.zza Marconi, 25 – 00144 Roma. Tel. +39 0654228675 Fax. +39 0654228692 – e-mail: agroqualita@agroqualita.it. Articolo 8. Etichettatura e confezionamento. Confezionamento La “Ciliegia di Vignola” I.G.P. viene immessa sul mercato nelle seguenti confezioni, sigillate in modo che l’apertura della confezione stessa non ne permetta il riutilizzo: - plateaux in legno, cartone o plastica da 5 kg, divisa in due parti da appositi cartoncini disposti in senso trasversale, rispetto al lato lungo. - plateaux in cartone, legno o plastica 40x60 contenente 10/12 vassoi per un totale di 5 o 6 kg. - plateaux in cartone, legno o plastica 30x40 contenente 6 vassoi da g. 500 per un totale di kg. 3. - confezione in cartone da g. 1200, 2000 e 2500. - confezione a sacchetto in film polimerico traspirante da g. 250, 500 e kg. 1. Il contenuto di ciascuna confezione dovrà essere omogeneo e comprendere ciliegie della stessa qualità e varietà; sono previste le seguenti classi di calibro: - da 20 a 24 mm - da 24 a 28 mm - oltre 28 mm Il condizionamento, cioè la preparazione adeguata del prodotto all’imballaggio e alla confezione, nonché il confezionamento negli imballaggi indicati, devono essere effettuati all’interno della zona di origine; la Ciliegia di Vignola è un frutto particolarmente deperibile e necessita di essere manipolato il meno possibile, così da evitare lesioni della polpa e/o della buccia, che determinerebbero marciumi e altri difetti che la renderebbero non commercializzabile. Una delle caratteristiche di specificità della Ciliegia di Vignola è quella che il prodotto viene lavorato e confezionato subito dopo la raccolta, direttamente in azienda o presso le cooperative del comprensorio. In questo modo il prodotto arriva al mercato e al consumatore in tempi brevi e senza ulteriori manipolazioni garantendo quindi la freschezza, l’integrità e la maggior salubrità. Conservazione E’ ammesso il ricorso a tecniche di frigo-conservazione in celle frigorifere, evitando di scendere sotto -0.5°C e di superare il 90% di U.R.; il tempo massimo per la frigo-conservazione dei frutti è di quattro settimane. Norme di etichettatura Il logo della denominazione “Ciliegia di Vignola I.G.P.” dovrà essere apposto sulle confezioni di vendita. Nella designazione è vietata l’aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare. Dovranno inoltre essere indicati: Nome, Ragione Sociale e Indirizzo del produttore e del confezionatore; Il logo della “Ciliegia di Vignola” I.G.P. è il seguente: e deve essere accompagnato obbligatoriamente dal simbolo comunitario per la Indicazione Geografica Protetta. Il logo consiste in una fascia ripiegata suddivisa in due parti da una linea di distacco trasversale obliqua, la prima parte di colore verde, la seconda di colore rosso. Sulla parte destra di colore rossoè riportata in bianco la parola “VIGNOLA”; sulla parte sinistra di colore verde è riportato un rettangolo contenente 9 ciliegie stilizzate di cui otto bianche dal bordo verde e l’ultima rossa a campo pieno. Le dimensioni standard sono: altezza pari a mm 24 e larghezza pari a mm 235; sulla prima parte, in campo verde separato da uno spazio bianco, il simbolo rappresentato da una cornice di larghezza pari a mm 23 e altezza mm 24 contenente 9 ciliegie stilizzate a contorno verde, di cui l’ultima in basso a destra impressa a campo pieno di colore rosso; sulla seconda parte, a campo rosso, la dicitura Vignola, carattere ITC Souvenir Demi, pari a mm 17 in altezza, di colore bianco. Sotto la striscia verde, sulla parte sinistra, la dicitura Ciliegia di Vignola I.G.P., carattere ITC Souvenir Demi, pari a mm 7 in altezza, di colore verde. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Modena, Bologna |
Cipolla bianca di Margherita Cipolla bianca di Margherita IGP Disciplinare di produzione - Cipolla bianca di Margherita IGPArticolo 1.
Articolo 2. CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO La denominazione “Cipolla bianca di Margherita” designa la popolazione locale di bulbi della specie Allium cepa L. prodotta nella zona delimitata dal successivo art. 3 del presente disciplinare. E’ un prodotto fresco, caratterizzato da bulbi bianchi, teneri e con un elevato contenuto in zuccheri. In base al periodo di produzione, si differenziano quattro ecotipi locali: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’, ‘Maggiaiola’, ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’. In particolare, le caratteristiche delle diverse selezioni sono le seguenti: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’: tipologia precoce (epoca di raccolta a partire da metà marzo) con forma schiacciata ai poli; ‘Maggiaiola’: rispetto alla precedente è meno precoce e la forma è meno schiacciata (epoca di raccolta maggio); ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’: sono più tardive (epoca di raccolta giugno-metà luglio), hanno forma più isodiametrica. Al momento della raccolta il prodotto deve presentare il seguente requisito misurabile: solidi solubili: 6,4 - 9,2 mg 100g-1 di peso fresco. sostanza secca: 6,2 - 8,9 g. contenuto per 100g -1 di peso fresco. Calibro: da un minimo di mm. 20 ad un massimo di mm 100. Proprietà fisiche: colore bianco. Sapore: dolce e succulento. Il contenuto totale in zuccheri riducenti deve essere maggiore di 3.8 g 100g-1 di peso fresco. Consistenza: tenera e croccante. E’ ammessa la commercializzazione sia del prodotto spazzolato sia di quello non spazzolato. Nel prodotto non spazzolato è ammessa la presenza di sabbia. Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della “Cipolla bianca di Margherita” è ubicata lungo la fascia costiera adriatica che si estende dalla foce del fiume Ofanto alla foce del torrente Candelaro e comprende partendo da Sud: Territorio del Comune di Margherita di Savoia: l’area interessata è la fascia costiera che parte dalla foce del fiume Ofanto ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalla SP 141 (ex SS 159 delle Saline) fino al centro abitato; dopo quest’ultimo l’area è delimitata dalle Saline e dal confine amministrativo con il Comune di Zapponeta rappresentato da un termine lapideo; Territorio del Comune di Zapponeta: l’area interessata è la fascia costiera che parte dal confine amministrativo con il Comune di Margherita di Savoia ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalle Saline, dalla zona umida “San Floriano”, dal confine amministrativo con il Comune di Cerignola, dalla SP 77 (ex SS 545) fino all’innesto con la SP 141 (ex SS 159 delle Saline), dal confine amministrativo con il Comune di Manfredonia; Territorio del Comune di Manfredonia: l’area interessata è la fascia costiera che parte dal confine amministrativo con il Comune di Zapponeta ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalla zona umida “Terra Apuliae”, dal tratto della SP 73 (Beccarini), dal tratto della SP 141 (ex SS 159 delle Saline) limitatamente alla parte confinante con la zona umida “Lago Salso”, dalla foce del Torrente Candelaro. Articolo 4. PROVA DELL’ORIGINE Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO La coltivazione è basata su ecotipi locali autoriprodotti, selezionati da diverse generazioni di agricoltori della zona. Gli ecotipi hanno una spiccata adattabilità al particolare ambiente pedoclimatico quale ad esempio quella di sviluppare un apparato radicale idoneo ad approfondirsi in terreno sabbioso. La tecnica colturale utilizzata prevede i seguenti interventi tecnico-colturali: A - Impianto della coltura: semina nei semenzai nel periodo fine agosto-settembre e trapianto delle piantine nel periodo compreso tra novembre e febbraio. B - Irrigazione: l’apporto irriguo, commisurato all’andamento stagionale delle piogge e alla domanda evapotraspirativa, deve essere protratta fino a quando le piante iniziano a manifestare il collasso del “collo”. C - Controllo delle infestanti e difesa fitosanitaria: Sono ammessi tutti i principi attivi autorizzati nell’agricoltura integrata purché consentiti dalle normative vigenti. D – Raccolta: La maturazione generalmente non è contemporanea per cui la raccolta può iniziare quando almeno il 50% delle piante presenta le foglie incurvate. La raccolta viene effettuata a mano. E - Produzione del seme: Il seme utilizzato per i nuovi impianti deve essere prodotto localmente e si deve ottenere mediante il piantamento dei bulbi selezionati durante la raccolta. Per la tecnica colturale e la difesa fitosanitaria rimane valido quanto riportato per la produzione dei bulbi. F - Fasi successive alla raccolta: Il confezionamento deve essere effettuato subito dopo la raccolta nella zona individuata dall’art. 3 e non è ammesso riconfezionare il prodotto al di fuori della zona geografica onde evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni del prodotto sfuso possano causare danni meccanici, quali ammaccature e lesioni. Ammaccature e lesioni favoriscono lo sviluppo di muffe e la perdita di consistenza del bulbo e sono responsabili del decadimento qualitativo della “Cipolla bianca di Margherita”. Il prodotto può essere confezionato in cassette da 10 kg o da 5 kg, in rete da 0,5 kg o da 1,0 kg, in vaschette da 1,0 kg, in “trecce” di peso variabile con numero minimo di bulbi pari a 5. Articolo 6. LEGAME CON L’AMBIENTE Nella zona di produzione della “Cipolla bianca di Margherita” indicata all’art. 3 del disciplinare si è sviluppata sin dagli inizi del secolo XIX questa tecnica colturale caratterizzata dalla capacità di ottenere, su un terreno sabbioso, il seme (dal piantamento di bulbi selezionati), di creare semenzai e di trapiantare le piantine da essi ottenuti, di ripararle dall’erosione del vento con la paglia e di raccoglierle a mano per non danneggiare la cipolla. Tale elevata specializzazione si è tramandata nel tempo e sussiste intatta ai giorni nostri, permettendo di esaltare le caratteristiche qualitative della “Cipolla bianca di Margherita” ed in particolare il colore bianco “cristallino”, la tenerezza, la croccantezza, la dolcezza, la bellezza della forma, caratteristiche uniche e riconosciute. La zona di produzione della “Cipolla Bianca di Margherita” è caratterizzata: - da condizioni climatiche particolarmente miti durante il periodo invernale – primaverile; - da terreno sabbioso con presenza di una falda molto superficiale che consente di creare uno stress idrico controllato nella pianta in grado di favorire una crescita piuttosto contenuta della pianta e un basso contenuto di sostanza secca, da cui derivano la croccantezza e la succulenza; - da terreno sabbioso che, riscaldandosi velocemente in primavera, favorisce la precocità della coltura. Il terreno sciolto, inoltre, non oppone alcuna resistenza allo sviluppo dei bulbi e di conseguenza il prodotto si presenta morfologicamente perfetto nelle diverse espressioni ecotipiche, senza presentare difetti di forma. La crescita della parte edule del prodotto, avviene, infine, in uno strato di terreno asciutto essendo i terreni sabbiosi “autopacciamanti”, condizione favorevole alla sanità del prodotto. Il terreno sabbioso inoltre non oppone alcuna resistenza all’accrescimento e permette una scarsa percentuale di bulbi con collo inverdito, in quanto la tecnica colturale praticata prevede il trapianto manuale ad una profondità tale da favorire il completo imbianchimento del prodotto. - dalla leggerezza del terreno, che favorisce il completo imbianchimento del prodotto che non presenta difetti di colorazione; Tracce di commercializzazione della “Cipolla bianca di Margherita” risalgono agli inizi dell’ottocento ma è a partire dalla metà del secolo scorso che è diventata una presenza importante nei mercati ortofrutticoli italiani, principalmente nel periodo che va da aprile a luglio. Articolo 7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dell’Organismo di controllo CSQA Certificazioni S.r.l., con sede in via San Gaetano n. 74 36016 Thiene (VI), telefono: 0445/313011, fax: 0445/313070 e-mail: csqa@csqa.it. Articolo 8. ETICHETTATURA All'atto dell'immissione al consumo il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere cipolle dello stesso ecotipo e dello stesso standard qualitativo. I contenitori devono presentare la dicitura “Cipolla bianca di Margherita” I.G.P. accompagnata dal logo della denominazione e dal simbolo I.G.P. dell’Unione. Sui contenitori devono essere riportati il nome, la ragione sociale, l’indirizzo del produttore e del confezionatore e ogni altra informazione prevista dalla normativa vigente in materia di etichettatura. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista dal disciplinare di produzione. E’ tuttavia consentito l’uso di nomi, ragioni sociali, marchi privati purché non traggano in inganno il consumatore. Si riporta la descrizione del logo: “La sagoma ovale del logo richiama il carattere curvilineo delle forme naturali del prodotto in oggetto. All’interno di una cornice verde (C71 M15 Y93 K44) è disegnato il paesaggio stilizzato del luogo di coltivazione (sabbia, mare e sole), in posizione centrale, l’immagine della cipolla. I colori utilizzati, cielo ciano sfumato, sabbia (C00 M20 Y60 K20) mare sfumato da ciano (C100 M00 Y00 K00) a blu (C100 M80 Y00 K40), Sulla cornice verde riporta la scritta “Cipolla bianca di Margherita” I.G.P. con carattere Arial grassetto di colore bianco e la silhouette della regione Puglia e un puntino rosso sulla zona di produzione. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Barletta-Andra-Trani, Foggia |
Cipolla Rossa di Tropea Calabria Cipolla Rossa di Tropea IGP Disciplinare di produzione - Cipolla Rossa di Tropea IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
Modifica del Disciplinare di produzione
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia |
Cipollotto Nocerino Cipollotto di Nocerino DOP Disciplinare di produzione - Cipollotto di Nocerino DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno, Napoli |
Clementine del Golfo di Taranto Clementine del Golfo di Taranto IGP Disciplinare di produzione - Clementine del Golfo di Taranto IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | T aranto |
Clementine di Calabria Clementine di calabria IGP Disciplinare di produzione - Clementine di calabria IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valenzia, Crotone |
Fagioli Bianchi di Rotonda Fagioli Bianchi di Rotonda Disciplinare di produzioneArticolo 1
Articolo 2
Articolo 3
Articolo 4
Articolo 5
Articolo 6
Articolo 7
Articolo 8
| D.O.P. | cereali | Basilicata | Potenza |
Fagiolo Cannellino di Atina Fagiolo Cannellino di Atina Disciplinare di produzioneArticolo 1
Articolo 2. Descrizione del prodotto Il “Fagiolo Cannellino di Atina” DOP designa il prodotto ottenuto dalla coltivazione della pianta di Phaseulus vulgaris L, ecotipo locale “Cannellino di Atina”. Caratteristiche del prodotto: All’atto dell’immissione al consumo il “Fagiolo Cannellino di Atina” deve presentare le seguenti caratteristiche: Forma: reniforme, leggermente ellittico e schiacciato Dimensione: lunghezza da 0,9 cm a 1,4 cm e larghezza da 0,5 cm a 0,6 cm Colore : bianco opaco Tegumento: sottile Peso medio per 100 semi: da un minimo di 38 g ad un massimo di 50 g Umidità dei fagioli secchi al momento della commercializzazione: ≤ 13%. Caratteristiche organolettiche: Epicarpo tenero e deliquescente al palato dopo la cottura. Il “Fagiolo Cannellino di Atina”, a differenza degli altri fagioli, non necessita di essere messo a bagno prima della cottura. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della Denominazione di Origine Protetta “Fagiolo Cannellino di Atina” è costituita dai sottoelencati comuni nella provincia di Frosinone: Comune di Atina: frazione di Settignano, Oboca, Sacco, Sabina, S. Marciano e Case di Melfa Comune di Villa Latina: frazione di Saccoccia Comune di Picinisco: frazione di Di Vito e Immoglie Comune di Casalvieri: frazione di Guagno, Casal Delle Mole e Plauto Comune di Casalattico: frazione di S. Nazzario e S. Gennaro Comune di Gallinaro: frazione di Rosanisco Descrizione della perimetrazione dell’areale di produzione: Il limite dell’areale parte dal corso del Fiume Melfa alla località Piana di Santa Lucia in territorio del Comune di Picinisco, poco a monte del Ponte Ascanio; da qui si spinge verso Sud seguendo una mulattiera alla base dei versanti in sinistra dell’alveo, intersecando la Strada Provinciale Atina Inferiore – Picinisco alle Case Izzi (stabilimento “Zarrelli”). Il limite segue lo stesso percorso, divenuto ormai strada percorribile con automobile, fino alla località Mole di Vito, dove lascia il tracciato stradale poco a monte del Ponte sul Melfa ed inizia a seguire la curva di livello dei 400 m s.l.m.. L’isoipsa è seguita per tutta la “Piana di Vito, tagliando il Confine Comunale Picinisco – Atina alla base dei versanti Nord – orientali del Colle Cimento fino all’altezza della località Rosanisco, dove segue il sentiero pedecollinare che conduce alla località “ il Re”. Dalla località il Re il limite ruota intorno alla base del Colle Vallepaura e si allinea in direzione NordOvest – SudEst seguendo la curva di livello dei 380 metri s.l.m., alla base dei versanti collinari di “Spineto”, fino ad agganciarsi alla strada che conduce alla località “Le Lamie”. Questa viene seguita per un breve tratto ed abbandonata poco prima di iniziare la salita, piegando in direzione dell’alveo del Torrente Mollarino fino ad intercettarlo; quindi il limite si aggancia alla curva di livello dei 420 m intercettando nuovamente il Confine Comunale Atina – Picinisco nei pressi della località Ponte Firenze. Da qui il limite coincide con l’asta torrentizia fino alla località Mola di Coppo, escludendo tutta la regione in destra dell’alveo fino ad agganciare la strada comunale per la località Serre; la strada viene seguita brevemente fino all’inizio della salita, quindi il limite piega in direzione Ovest – Est in allineamento con il bordo del terrazzo alluvionale del Torrente, a valle delle Case Bianchini. Detto bordo, ben evidente, è seguito fino alla base dei versanti delle Immoglie ed ancora oltre verso la località Molino Capaldi; qui attraversa l’alveo del Torrente Rava per proseguire verso i versanti meridionali di San Gennaro, dove in corrispondenza del Cimitero omonimo viene intercettata prima la strada comunale di accesso, quindi la ex Strada Statale n. 627 della Vandra (Ponte Americano). In corrispondenza del Ponte il limite si chiude allineandosi con l’asta torrentizia del Mollarino e seguendola in direzione Ovest fino al Ponte di Sant’Anna, dove torna a seguire la ex Statale verso l’abitato di Villa Latina. Alla località “Fontana dei Bagni” il limite lascia l’arteria viaria ed inizia a seguire un canale di regimazione che corre parallelamente ad essa fino alla Cappella di San Domenico; da qui si allinea con la Strada Provinciale che conduce al centro storico, includendo tutta la regione che si estende ad occidente. Giunti all’altezza della Chiesa della S.S. Annunziata il limite si allinea quindi con un sentiero che corre alla base del versante meridionale della Serra del Cavaliere (Madonna dell’Orto), seguendone la direzione SudOvest – NordEst fino all’altezza di Palazzo Franchi (Panetta Superiore). Il limite ruota qui su se stesso, seguendo la strada parallela al Rio di Villa Latina fino all’incrocio con la Strada Comunale per il Colle Santo, si allinea quindi a quest’ultima ridiscendendo verso il Cimitero Comunale fino a disegnarne la cinta muraria. Dal Cimitero il limite segue la strada dei “Lanni” fino alla sorgente della “Fontana Fredda” includendo tutta la regione a valle dei “Colozzi”. Dalla località Colozzi il limite piega in direzione Sud-Ovest seguendo la curva di livello dei 450 m s.l.m.; quindi si allinea con la base del versante montuoso in sinistra del Fosso dell’Oliva Sola procedendo ad occidente oltre l’abitato dei Valenti, fino alla località “Sacco”; qui va oltre il Monte della Trinità correndo parallelamente alla Strada Provinciale per il centro storico di Atina sempre alla base del versante, includendo tutta la regione alluvionale in sinistra del Rio di Villa Latina fino alla sua confluenza nel Torrente Mollarino alla località Pié delle Piagge, dove si reintercetta la ex S.S. della Vandra. La ex Statale viene seguita fino all’altezza dell’incrocio con la Via Comunale della Mola del Capitolo da dove il limite piega verso il nuovo Cimitero Comunale di Atina giungendo fino alla base del Colle, aggirando lo stesso; da qui il suddetto limite piega verso l’incisione del Rio Cancello, quindi segue per brevi tratti la viabilità comunale fondovalliva dirigendosi verso la strada a scorrimento veloce Cassino – Avezzano. Il tracciato dell’arteria viaria viene seguito in direzione di Sora fino al sottovia della Strada Comunale di Monte Cicuto, dove il limite si allinea con il versante settentrionale del Monte; infine si aggancia al corso del Fiume Melfa escludendo la regione in sinistra dell’alveo fino all’altezza della Serra, lambendo il Confine con il Comune di Casalattico. Dalla suddetta località esso si allinea nuovamente con il versante, intercetta la Strada Provinciale di accesso al centro abitato e la percorre fino alla località Sant’Andrea. Da Sant’Andrea il limite corre parallelamente alla Via Comunale che conduce al Ponte Romano sul Fiume Melfa, all’altezza del quale inizia a seguire la curva di livello dei 300 m s.l.m.. Poco a valle della località Plauto il limite infine attraversa l’alveo del Melfa entrando in territorio di Casalvieri, ruota su se stesso seguendo ancora l’isoipsa dei 300 m fino a Casal delle Mole. Da qui il limite si aggancia alla curva dei 310 metri s.l.m., la segue fino alla sponda destra dell’asta fluviale, allineandosi alla stessa verso monte fino all’altezza di Sant’Andrea. Da qui il limite segue il Melfa fino al punto di affluenza del Rio Molle, dove inizia a seguire l’alveo minore in direzione Nord fino al ponte della Strada Provinciale Roccasecca – Isernia; procede parallelamente alla curva dei 316 m s.l.m. fino alla Strada Comunale che da “Sorelle” conduce alla località Muracce, percorrendone un tratto fino all’attraversamento sul Rio Nero. Dal Rio Nero il limite piega a Sud, abbandonando la Comunale, fino ad incontrare la via per le “Sode” e percorrendo la stessa fino all’incrocio con la ex S.S. n. 627 della Vandra. La ex statale viene seguita in direzione di Atina Inferiore fino a circa 100 metri prima dell’attraversamento sul Rio Molle, quindi il limite si dirige a Nord seguendo la curva di livello dei 330 m s.l.m. fino ad intercettare l’alveo. Dall’intercetta dell’alveo segue la Via Comunale che riconduce sulla ex S.S. 627, seguendo quest’ultima fino all’abitato di Atina Inferiore, dove include tutta l’area pianeggiante in destra del Melfa. Dal “Ponte Melfa” il limite si allinea con la Via della Ferriera fino ad oltre la suddetta località, dove corre alla base dei versanti meridionali delle località Caira e Volante, lungo la curva dei 360 m s.l.m. Detta curva viene seguita fino incrociare la ex S.S. 509 di Forca d’Acero, che viene accompagnata per un breve tratto in territorio del Comune di Gallinaro; il limite torna quindi su se stesso seguendo il corso del Rio di Gallinaro fino all’altezza dell’incrocio con la Via Comunale che conduce alla località Colle Pizzuto, che viene seguita per un breve tratto. Essa viene abbandonata piegando in direzione Sud, secondo l’andamento del Rio di Settefrati, fino ad intercettare un sentiero che porta alla località Tufo. E’ esclusa la zona che partendo dalla Strada Provinciale per Picinisco, in località Fregone in direzione Ovest, intercetta la curva di livello di 380m s.l.m; la segue in direzione Nord fino a raggiungere il Rio Settefrati ed in direzione Nord/Est la strada comunale. Qui in direzione Sud, oltrepassando la località Tufo, va ad incontrare il punto di partenza, in località . Fregone. Riprendendo dalla località Tufo, si segue l’isoipsa dei 390 metri s.l.m.; detta curva di livello viene seguita lungo il tratto che abbraccia la Piana di Vito fino ad agganciarsi alla Strada Provinciale per Picinisco nei pressi delle Mole di Vito. La S.P. segna il limite dell’areale fino quasi all’altezza del Ponte Ascanio, dove viene intercettata la curva di livello dei 420 m s.l.m., seguita fino alla chiusura sulla Piana di Santa Lucia nei pressi di “Borgo Castellone.” Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Metodo di coltivazione: La semina, effettuata a mano o con la seminatrice, viene praticata dal 15 giugno al 15 luglio di ciascun anno. L’investimento di semi è di 70-90 kg/ha. Non è ammesso alcun tipo di concimazione. La dotazione di elementi nutritivi è solo quella residua della eventuale precessione colturale con graminacee autunno–vernine. È ammessa la lotta fitosanitaria nel rispetto della normativa vigente. L’irrigazione viene effettuata ogni 6-10 giorni, utilizzando le acque del fiume Melfa, del torrente Mollarino e loro affluenti con il metodo a scorrimento, a pioggia o a goccia. La raccolta viene effettuata nel periodo compreso fra il 10 settembre ed il 30 ottobre di ciascun anno. Le piante, una volta raccolte, vengono poste per l’essiccazione in ambienti coperti o scoperti per un periodo massimo di 45 giorni dalla raccolta; successivamente vengono sottoposte a trebbiatura. In seguito il prodotto viene sottoposto alla fase di selezione manuale o meccanica allo scopo di eliminare le impurità ed i fagioli non rispondenti all’ideotipo. La produzione ed il condizionamento del Fagiolo Cannellino di Atina devono avvenire nella zona delimitata all’art. 3 poiché il prodotto che non è trattato con alcun tipo di conservante, se trasportato risentirebbe di variazioni sensibili di temperatura e di umidità che oltre a variarne le caratteristiche organolettiche creerebbero le condizioni per l’attecchimento del tonchio rendendo il fagiolo inutilizzabile. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il Fagiolo Cannellino di Atina” D.O.P. viene considerato un simbolo della cultura e della tradizione dei territori dell’areale di produzione così come individuato all’art 3. La sua denominazione è riconducibile all’area geografica storicamente più vocata alla coltivazione, che determina in modo univoco le peculiarità del prodotto, rendendolo perfettamente distinguibile ed inimitabile. Infatti, le qualità organolettiche del “Fagiolo Cannellino di Atina” sono dovute alla specificità dell’ecotipo, ma soprattutto al terreno, definito “focaleto”, localizzato lungo le sponde del fiume Melfa, del torrente Mollarino e dei loro affluenti, di origine alluvionale e ricco di manganese, molto percolante e di colore scuro su cui è coltivato il fagiolo. Tale composizione e struttura del terreno di coltivazione determina la principale caratteristica del prodotto data dalla presenza di un tegumento sottile, che rende il Fagiolo Cannellino di Atina più tenero rispetto a quello coltivato in altre condizioni podologiche ed è l’unico, infatti, che non necessita di essere messo a bagno prima della cottura. L’acqua utilizzata per l’irrigazione, proveniente dal fiume Melfa, dal torrente Mollarino e dai loro affluenti, si caratterizza per un contenuto di fosforo e azoto molto bassi, ampiamente al di sotto dei limiti consentiti, testimone di un’assenza di inquinamento antropico; risulta, invece, presente il Manganese, seppure in basse concentrazioni, che contraddistingue il terreno su cui viene coltivato il Fagiolo Cannellino di Atina; il calcio, presente in quantità apprezzabile, influenza la quantità di pectine presenti nel prodotto finale. Anche dal punto di vista climatico l’areale di produzione è caratterizzato da una situazione molto favorevole alla coltivazione del Fagiolo Cannellino di Atina. Difatti questa coltura è caratterizzata da un ciclo produttivo esclusivamente estivo e piuttosto breve (75-95 giorni), che per le sua crescita necessita di temperature diurne piuttosto elevate e notturne relativamente basse. L’escursione termica fra giorno e notte, tipica dell’area di coltivazione, influenza la crescita della pianta e di conseguenza le caratteristiche del prodotto finale. Le precipitazioni sono concentrate soprattutto nel periodo autunno-inverno, anche se frequenti sono le piogge estive tali da ridurre, o addirittura rendere assente, il periodo di aridità nei mesi di luglio ed agosto. Il fattore umano contribuisce in modo determinante all’ottenimento di un buon prodotto. Buona parte della popolazione residente dell’areale coltiva con passione e competenza il Fagiolo Cannellino di Atina, utilizzando tecniche tramandate da generazioni di padre in figlio. Il seme che viene annualmente auto-riprodotto a livello aziendale è gelosamente custodito. In un territorio particolarmente depresso dal punto di vista economico ed occupazionale, dove il fenomeno dell’emigrazione è ancora fortemente presente, la “riscoperta” del Fagiolo Cannellino di Atina costituisce un concreto sbocco occupazionale. Gli elementi storici del “Fagiolo Cannellino di Atina” DOP non mancano di certo. Molteplici sono, infatti, le testimonianze, che attestano come questa leguminosa sia entrata a far parte della società locale. Già nel 1811 il Demarco definisce il “Fagiolo Cannellino di Atina” di ottima qualità, così come il Cirelli nel “Il Regno delle due Sicilie” (Vol.III 1855/60) fornisce dati statistici molto significativi sulla produzione agricola del 1853, e fra questi menziona la produzione del “Fagiolo Cannellino di Atina” dell’Agro di Atina pari a 2500 tomoli annui. Il “Fagiolo Cannellino di Atina” era molto diffuso nei poderi Visocchi, dove venivano coltivati i fagioli nelle loro tre diverse qualità: fagioli banchi, meglio conosciuti come Cannellini di Atina, fagiolo rossi e fagioli misti. Il “Fagiolo Cannellino di Atina” è stato sempre l’alimento principe dei contadini, che lo cucinavano nella caratteristica “pignata” e lo condivano con un filo di olio di oliva; in passato rappresentava il pasto unico a mezzogiorno. Dalle registrazioni riportate sui Mastri si può apprendere che i fagioli, oltre ad essere destinati al consumo familiare ed alla vendita, venivano regalati ai conoscenti ed ai parenti, proprio perché qualitativamente molti pregiati. Dal punto di vista economico la coltivazione del “Fagiolo Cannellino di Atina”, rappresenta una delle colture di maggior reddito nella valle, insieme alla coltivazione della vigna e dell’olivo. Questo legume, inoltre, ha una notevole influenza sulla gastronomia locale, essendo un ingrediente base di molte ricette tradizionali dell’areale. La sua denominazione è entrata ormai prepotentemente nell’uso del linguaggio comune e commerciale come largamente testimoniato dalle numerose ricette, da fatture , etichette, e depliant pubblicitari. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE n. 510/06. Tale struttura è l’Autorità pubblica Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Frosinone indirizzo: Viale Roma, 03100 Frosinone, Tel. 0775.2751 - Fax 0775.270442 E-mail info@fr.camcom.it. Articolo 8. Etichettatura Confezionamento Le tipologie di confezionamento ammesse sono:
Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relative e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni:
E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La denominazione “Fagiolo Cannellino di Atina” è intraducibile. Logo Il logo, della denominazione “Fagiolo Cannellino di Atina” è costituito da due cerchi concentrici di colore pantone patinato 7522:
| D.O.P. | cereali | Lazio | Frosinone |
Fagiolo Cuneo Fagiolo di Cuneo IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Cuneo IGPArticolo 1
Articolo 2. Descrizione del prodotto L’indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Fagiolo Cuneo” designa i baccelli allo stato ceroso da sgranare e la granella secca ottenuti dagli ecotipi Bianco di Bagnasco, Vedetta e dalle varietà Billò, Corona, Stregonta, Bingo, Rossano, Barbarossa, Solista e Millenium, appartenenti alle specie di fagiolo rampicante Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus. a) Il baccello allo stato ceroso da sgranare deve avere le seguenti caratteristiche: - appartenente all’ecotipo Vedetta o alle varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Solista e Millenium, Barbarossa; - la lunghezza del bacello allo stato ceroso per l’ecotipo Vedetta e le varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Solista e Millenium è compresa tra 15 e 28 mm; per la varietà Barbarossa è compresa tra 12 e 22 mm; intensamente striato di rosso; La granella all’ interno del baccello ceroso deve presentare: - striature rosa-rosse su fondo crema; - il diametro minimo verticale e orizzontale non può essere rispettivamente inferiore a 9 e 15 mm; - la granella deve essere esente da attacchi di parassiti o di malattie con una tolleranza massima del 1% di prodotto con alterazioni visibili. b) La granella secca deve avere le seguenti caratteristiche: - appartenente all’ecotipo Bianco di Bagnasco o alle varietà Billò, Corona - l’umidità massima consentita del seme è del 15%; - il diametro minimo verticale e orizzontale della granella non può essere, rispettivamente, inferiore a 9 e 14 mm per il Billò, 13 e 20 mm per il Corona, 8 e 14 mm per il Bianco di Bagnasco; - il colore della granella deve essere per il Billò, con screziature bruno-violacea su fondo crema, per il Corona e il Bianco di Bagnasco bianco. - la granella secca non deve presentare alterazioni di colore e di aspetto esteriore tali da comprometterne le caratteristiche, con una tolleranza massima complessiva del 1,5% di impurità intese come prodotto spaccato, macchiato, tonchiato o alterato a livello di colorazione. E’ consentita, inoltre, una percentuale massima di 1,5 di fagioli secchi fuori calibro. - contenuto in ferro che raggiunge valori compresi tra 80 e 105 ppm per il Billò e 65 e 75 ppm per il Corona e il Bianco di Bagnasco - contenuto in proteine che raggiunge valori compresi tra 23 e 30 (% di proteina sul secco). Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dei fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagiolo Cuneo”, comprende i seguenti comuni della Provincia di Cuneo: Aisone, Alba, Albaretto Torre, Arguello, Bagnasco, Barge, Bastia Mondovì, Battifollo, Belvedere Langhe, Beinette, Benevagienna, Benevello, Bergolo, Bernezzo, Bonvicino, Borgomale, Borgo San Dalmazzo, Bosia, Bossolasco, Boves, Bra, Briaglia, Brondello, Brossasco, Busca, Camerana, Caraglio, Caramagna Piemonte, Cardè, Carrù, Cartignano, Casalgrasso, Castellar, Castelletto Stura, Castelletto Uzzone, Castellino Tanaro, Castelnuovo Ceva, Cavallerleone, Cavallermaggiore, Centallo, Ceresole, Cerretto Langhe, Cervasca, Cervere, Ceva, Cherasco, Chiusa Pesio, Cigliè, Cissone, Clavesana, Cortemilia, Costigliole Saluzzo, Cravanzana, Cuneo, Demonte, Dogliani, Dronero, Entracque, Envie, Farigliano, Faule, Feisoglio, Fossano, Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Frassino, Gaiola, Gambasca, Garessio, Genola, Gorzegno, Gottasecca, Guarene, Isasca, Igliano, Lagnasco, Lequio Berria, Lequio Tanaro, Lesegno, Levice, Lisio, Magliano Alpi, Manta, Marene, Margarita, Marsaglia, Martiniana Po, Melle, Moiola, Mombarcaro, Mombasiglio, Monastero Vasco, Monasterolo Casotto, Monasterolo Savigliano, Monchiero, Mondovì, Monesiglio, Montaldo Mondovì, Montanera, Montemale, Monterosso Grana, Montezemolo, Moretta, Morozzo, Murazzano, Murello, Narzole, Niella Belbo, Niella Tanaro, Novello, Nucetto, Ormea, Pagno, Paroldo, Perletto, Perlo, Peveragno, Pezzolo Valle Uzzone, Pamparato, Pianfei, Piasco, Piozzo, Polonghera, Pradleves, Priero, Priola, Prunetto, Racconigi, Revello, Rifreddo, Rittana, Roascio, Roaschia, Robilante, Roburent, Roccavione, Roccabruna, Roccacigliè, Roccadebaldi, Roccaforte Mondovì, Roccasparvera, Rossana, Ruffia, S. Albano Stura, S. Benedetto Belbo, Sale Langhe, Sale San Giovanni, Saliceto, Salmour, Saluzzo, San Damiano Macra, San Michele Mondovì, Sanfrè, Sanfront, Savigliano, Scagnello, Scarnafigi, Serravalle Langhe, Somano, Sommariva Bosco, Sommariva Perno, Tarantasca, Torre Mondovì, Torre Bormida, Torre San Giorgio, Torresina, Trezzo Tinella, Trinità, Valdieri, Valgrana, Valloriate, Valmala, Venasca, Vernante, Verzuolo, Vicoforte, Vignolo, Villafalletto, Villanova Mondovì, Villanova Solaro, Villar San Costanzo, Viola, Vottignasco. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Preparazione del terreno e semina Successivamente alla preparazione del terreno, viene effettuata la semina nel periodo tra aprile e luglio. Si effettua a postarelle, utilizzando una quantità massima di seme ad ettaro di 120 Kg. La semina può essere manuale o meccanizzata. Per la semina degli ecotipi Bianco di Bagnasco e Vedetta, utilizzabili sia per la produzione di granella secca che di baccelli a maturazione cerosa da sgranare, deve essere utilizzato seme proveniente dal territorio descritto all’art. 3. Tutori Per il sostegno dei fagioli vengono utilizzate da due a quattro canne legate insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”. Ogni “tenda da indiano” viene collegata a quella precedente e a quella successiva con un filo orizzontale che passa tra i punti in cui le canne si incrociano al fine di rendere più rigidi e resistenti i tutori nei confronti delle avversità atmosferiche e del peso delle piante. Concimazione L’azoto viene apportato in post-emergenza delle plantule (max 50 U/ha), il fosforo in pre-semina (max 40 U/ha), il potassio in pre-semina, (max 80 U/ha), il calcio e magnesio in pre-semina (max 120 U/ha di calcio e max 30 U/ha di magnesio) e il letame la cui somministrazione avviene prima dell’aratura con un quantitativo max 150 ql/ha. Difesa I metodi di difesa adottati sono quelli agronomici, attraverso l’uso di seme non infetto, la distruzione dei residui colturali infetti, rotazione delle superfici utilizzate e l’utilizzo di principi attivi registrati sulla coltura. La monosuccessione della coltura deve essere intercalata alla fine del terzo anno con un erbaio a semina autunnale E’ consentito l’utilizzo di prodotti diserbanti registrati sulla coltura nonché le lavorazioni meccaniche del terreno tra le bine. Raccolta La raccolta dei baccelli a maturazione cerosa avviene manualmente. La raccolta del fagiolo a granella secca avviene con la pianta completamente appassita e in modo meccanico o manuale. Nelle tipologie a maturazione cerosa il prodotto raccolto è il baccello, mentre per le secche il prodotto raccolto è la granella o il baccello. L’epoca di raccolta va da maggio a novembre. La resa massima per il fagiolo a maturazione cerosa è di 150 q.li/ha, mentre per la tipologia secca è di 45 q.li/ha. Tutte le fasi sopra descritte dovranno essere svolte nell’area di produzione del Fagiolo Cuneo, tranne quella di confezionamento. La granella deve essere successivamente lavorata per la cernita, pulitura e calibratura del prodotto. In seguito avviene il confezionamento. Articolo 6. Legame con il territorio Il Fagiolo Cuneo ha una forte “reputazione” sul territorio nazionale, sia a livello commerciale che a livello di consumi, in quanto fortemente stimato ed apprezzato soprattutto per le sue caratteristiche peculiari, sia a livello socio-economico nonché storico colturale, sia sotto l’aspetto organolettico. Importanti, infatti, sono i fattori umani fortemente radicati sul territorio. Ne sono un esempio la tradizionalità che si tramanda da padre in figlio nel coltivare il fagiolo rampicante. Una coltura che sicuramente necessita di molta manodopera e che nell’areale di Cuneo è esclusivamente di tipo famigliare. Tutto ciò ha sempre determinato un certo legame umano con la coltura stessa: ne sono ancora un esempio oggi i “raduni famiglia” dove i componenti la famiglia stessa, i parenti e gli amici si ritrovano per aiutare il conduttore aziendale a “sfilare” le piante di fagiolo Cuneo secco prima della trebbiatura, a seminare e piantare le canne. La coltivazione di fagioli rampicanti necessita, infatti, di sostegni quali le canne. Anche su questo aspetto c’è un forte legame tra il produttore e questo tipo di tecnica colturale esclusivo della zona di produzione, in quanto esiste solo ed esclusivamente nell’areale cuneese la tradizione di legare da due a quattro canne insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”. Ogni “tenda da indiano” viene collegata a quella precedente e a quella successiva con un filo orizzontale che passa tra i punti in cui le canne si incrociano al fine di rendere più rigidi e resistenti i tutori nei confronti delle avversità atmosferiche e del peso delle piante. A conferma della lunga tradizione di coltivazione del fagiolo Cuneo sono anche le notizie storiche relative alla commercializzazione del fagiolo Cuneo: nel 1877, nel comune di Centallo, furono prodotti 15 quintali di fagioli e l’intera quantità servì a soddisfare le esigenze dei centallesi. Il Fagiolo Cuneo presenta caratteristiche peculiari rispetto agli altri fagioli. Infatti ha un ottima consistenza della granella secca e del baccello allo stato ceroso. Nella granella secca si evidenzia un elevato contenuto in ferro e proteine che raggiungono, rispettivamente, valori compresi tra 80 e 105 ppm per il Billò e 65 e 75 ppm per il Corona e il Bianco di Bagnasco, e 23 e 30 (% di proteina sul secco) per tutte le tipologie. Ciò dimostra l’importanza della vocazionalità pedoclimatica dell’areale di Cuneo e presenta tutte le caratteristiche idonee per originare un prodotto diverso da altri. Il baccello allo stato ceroso si caratterizza invece per la marcata colorazione sia del baccello stesso sia anche della granella al suo interno, merito delle escursioni termiche che favoriscono il processo di produzione degli antociani. In questo ambiente, caratterizzato da un clima fresco e da escursioni termiche tra giorno e notte, gli investimenti produttivi di fagiolo risultano molto elevati e di ottima qualità in quanto le escursioni termiche giornaliere associate ad elevata luminosità dell’ambiente conferiscono ai baccelli e alla granella maggior colore e consistenza. Inoltre le temperature contenute nella fase tardo invernale determinano significativi posticipi delle semine-fioritura tanto da prolungare, rispetto alle altre aree di produzione nazionale, le epoche di maturazione e quindi di commercializzazione. Articolo 7. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare sono svolti conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo ISTITUTO NORD-OVEST QUALITA’ Soc. Coop. - Piazza Carlo Alberto Grosso, 82 – 12033 Moretta (CN) – Tel. 0172.911323 – Fax 0172.911320 – e-mail: inoq@inoq.it. Articolo 8. Etichettatura L’Igp Fagiolo Cuneo allo stato di maturazione cerosa da sgusciare viene immesso al consumo in appositi imballaggi in plastica, in cartone o in confezioni sigillate (vassoi, cartoni, sacchetti e similari), in materiale per uso alimentare con un sigillo di garanzia non riutilizzabile della capacità di kg 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15. L’Igp Fagiolo Cuneo allo stato secco, in granella o in baccello, viene immesso al consumo in appositi imballaggi o confezioni in materiale per uso alimentare con un sigillo di garanzia non riutilizzabile della capacità di kg 0,100, 0,200, 0,300, 0,400, 0,500, 0,800, 1, 2, 3, 4, 5, 10, 15, 25. Le confezioni e gli imballaggi devono recare obbligatoriamente sull’etichetta, a carattere di stampa chiaro e leggibile, oltre al simbolo grafico comunitario e alle informazioni obbligatorie ai sensi della normativa vigente, l’indicazione “IGP Fagiolo Cuneo” con il logo di seguito descritto. Il logo, a forma circolare, rappresenta sullo sfondo la catena delle Alpi marittime sovrastato dallo schizzo del fagiolo di colore bianco crema con striature rosse. Tutti i colori del logo sono ottenuti con la tecnica della quadricromia con diverse sfumature nelle tonalità. Nel logo è inserita in forte evidenza la scritta “Fagiolo Cuneo I.G.P.”, mentre lungo la circonferenza del logo stesso è presente la scritta ”Indicazione Geografica Protetta”. I caratteri delle scritte sono: Arial Bold corsivo per “Indicazione Geografica Protetta”, Arial Bold per “Fagiolo Cuneo” e Arial Regular corsivo per “I.G.P.” I riferimenti colorimetrici riferiti alla scala PANTONE sono: 371C (le montagne e peduncolo), 382C (la pianura), 1807C (striature del baccello) e 304C (cielo). | I.G.P. | cereali | Piemonte | Cuneo |
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGPArticolo 1
Articolo 2. Delimitazione della zona di produzione La zona di produzione si estende nei seguenti comuni: Alano di Piave, Arsiè, Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Lamon, Pedavena, Quero, S. Giustina, S.Gregorio nelle Alpi, Lentiai, Mel, Trichiana, Belluno, Sospirolo, Sedico, Ponte nelle Alpi, Vas, Limana, Sovramonte, Seren del Grappa. Articolo 3. Caratteristiche pedoclimatiche dell'ambiente di produzione I terreni calcareo dolomitici ed i terrazzamenti pluvio-glaciali tipici della zona pedemontana dell’area delimitata che rappresentano il supporto allo strato di terreno vegetale ricco di sostanza organica stabile costituiscono il substrato ideale per la crescita di un fagiolo dalle caratteristiche organolettiche inimitabili caratterizzato da una buccia finissima e solubile attribuibile all’alto tenore di potassio tipico dei terreni della zona di produzione. Il potassio, infatti, competitivo nei confronti del calcio e del magnesio, forma composti più solubili e contribuisce a rendere più facilmente degradabile, durante la cottura, alcuni componenti della buccia del fagiolo. Articolo 4. Varietà Sono idonee a produrre Fagiolo di Lamon a denominazione di origine protetta i seguenti ecotipi: 1. Fagiolo borlotto "Spagnolit" di Lamon 2. Fagiolo borlotto "Spagnol" di Lamon 3. Fagiolo borlotto "Calonega" di Lamon 4. Fagiolo borlotto "Canalino" di Lamon. Da accurata indagine è stato stabilito che le quattro varietà succitate hanno le seguenti caratteristiche. 1. Tipo "Spagnolit" Si presenta con una forma piuttosto rotondeggiante ed a botte, con striatura rosso brillante su fondo crema. Di ridotte dimensioni (gr. 0.90) e di modesta resa. È però il più ricercato per la delicatezza del gusto e per la buccia particolarmente tenera. Indicato per le insalate e "pendolon" (piatto tipico pastorale locale). Raramente si può ancora incontrare la coltivazione dello "Spagnolit Bass" (Fagiolo Spagnolit Nano), le cui dimensioni risultano ancora minuscole, ma più esaltate ne risultano le qualità. Le dimensioni medie del seme sono le seguenti: la lunghezza del seme è di 14.8 mm., la sua grossezza di 8 cm., il peso del seme di 0,75 gr. la lunghezza del baccello di norma è di 11 cm. ed il numero dei semi per baccello è di 4-5 cm. L'asse ipocotile risulta di colore verde intenso ed i cotiledoni di colore verde con striatura rosa mezzo carico. Si tratta di pianta rampicante con foglie di colore verde pisello a levatura bassa media i cui fiori compaiono a 35-40 cm. dal suolo. Il colore dei fiori è rosa chiaro con una fioritura in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura fino al completo sviluppo del baccello (maturazione fisiologica), trascorrono l0-20 giorni. Per quanto riguarda la morfologia delle foglie, del fusto e dei fiori si rimanda a quanto detto per il Fagiolo di Lamon "Spagnol". 2. Tipo "Spagnol" detto altrimenti "Ballotton" Questo tipo non è molto comune; lì seme si presenta con le tipiche striature rosso vinose, è di forma ovoidale (subellittico) e possiede una buccia abbastanza fine. Il seme ha le seguenti dimensioni medie: una lunghezza di 16,5 mm., una grossezza di 8,8 mm. ed un peso di 1 gr. Il baccello è lungo di norma 11,5 cm. ed il numero di semi per baccello varia da 4 a 5. Il fusto risulta volubile; le foglie a picciolo lungo, pennate, trifogliate. I fiori (da 5 a l2) sono a fecondazione autogena e risultano composti in raceni che partono dalle ascèlle delle foglie. Gli organi sessuali si trovano racchiusi in uno speciale involucro, a foggia di rostro spiralato, detto più propriamente "carena". Per causa di piogge violente, di forti venti ed anche per l'opera dell’uomo, le "ali" ed il "vessillo" del fiore possono imprimere alla carena un leggero movimento rotatorio sì da facilitarne l'apertura. Ciò spiega la non "stretta" autogamia nel fagiolo e quindi la scarsa stabilità genetica della specie con la comparsa di molti semi incrociati. L'asse ipocotile dei cotiledoni risulta verde con i cotiledoni di colore verde e con leggere striature rosa ai bordi. Per quanto riguarda le caratteristiche vegetative si tratta di una pianta rampicante con foglie di colore verde carico a levatura media, i primi fiori compaiono a 60-65 cm. dal suolo. Il colore dei fiori risulta rosa vinato a fioritura in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura allo sviluppo completo del baccello (maturazione fisiologica) intercorrono 20-22 giorni. 3. Tipo "Calonega" È una varietà molto coltivata perché alla resa buona si accompagnano ottime qualità culinarie (il suo peso medio è di gr. 1). Ha forma schiacciata con striature rosso vivo su fondo crema. È particolarmente indicato per minestre. Le dimensioni medie del seme sono le seguenti: la sua lunghezza è di 17 mm., la grossezza del seme è di 7 mm., presenta un peso di 0,65 gr., la lunghezza del baccello è di 15,5 cm. ed un numero di semi per baccello da 4 a 6. L'ipocotile è di colore verde intenso, mentre i cotiledoni hanno pagine verdi con striature rosa intenso. È pianta rampicante con foglie di colore verde intenso. E pianta rampicante con Foglie di colore verde mezzo carico a levatura media alta. I primi fiori compaiono a 85-90 cm. dal suolo. I fiori sono di colore rosa quasi bianco a fioritura scalare. Dall'inizio delle fioriture allo sviluppo completo del baccello (maturazione fisiologica.) intercorrono. 25-26 giorni. Anche per questa varietà si rimanda a quanto detto per lo "Spagnol" per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche del culmo, delle foglie e dei fiori. 4. Tipo "Canalino" Di buon peso e di ottima resa si presenta con striature rosso cupo, talora nero. Anche se di gusto molto gradevole e particolarmente resistente alle malattie, non è tuttavia coltivato a causa della buccia piuttosto consistente e del baccello particolarmente coriaceo che ne rende difficile la sgranatura. Le dimensioni del seme sono le seguenti: la lunghezza del seme è di mm. 15,6, la grossezza è di mm. 8,7, con peso di 1-1,3 gr. e con 6-7 semi per baccello che risulta essere lungo cm. 15. L'ipocotile è di colore verde, i cotiledoni hanno pagine verdi con leggere striature rosa ai bordi. Si tratta di pianta rampicante con foglie di colore verde carico, a levatura alta. I primi fiori compaiono a 100-105 cm. dal suolo. Il colore dei fiori è rosa vinato carico, la fioritura e in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura allo sviluppo completo del baccello intercorrono 22-25 giorni. Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche del culmo, delle foglie e dei fiori si rimanda a quanto detto per la varietà "Spagnol". Esistono altri ecotipi la cui coltivazione e ormai quasi scomparsa, ma che tuttavia potranno essere oggetto di eventuali progetti di recupero e rilancio. Articolo 5. Caratteristiche organolettiche Acqua 10,52% Sostanze Azotate 24,52% Sostanze Grasse 1,32% Idrati di Carbonio 58,20% Cellulosa 3,15% Ceneri 3,00% Le caratteristiche di cui sopra riguardano il Fagiolo Lamon "Spagnolit", ma sono ritenute valide anche per gli altri tipi, dall'esame dei dati suesposti si rileva l'elevato tenore di sostanze proteiche (in particolare di Faseoline) ed il bassissimo tenore di cellulosa, tali caratteristiche sono da ritenere peculiari del Fagiolo Lamon della Vallata Bellunese. Infatti, in questa zona esiste una escursione termica abbastanza elevata tra il giorno e la notte; inoltre questa zona è interessata da un continuo ricambio d’aria che evita, quindi, la possibilità di formazione di nebbia e la presenza, perciò, di elevati tassi di umidità. Anche a questi due motivi si devono ricondurre le caratteristiche organolettiche peculiari riscontrate nel Fagiolo coltivato a Lamon. Articolo 6. Pratiche di coltivazione 1. Lavori preparatori È opportuno eseguire una accurata preparazione del terreno prima della semina. La buona riuscita della coltura è strettamente dipendente da questa pratica. L'aratura dovrà essere effettuata preferibilmente entro la fine dell'autunno per favorire i processi di decomposizione della sostanza organica interrata e sfruttare l'azione dei geli invernali sulla struttura del terreno. Inoltre il clima primaverile piovoso potrebbe impedire l'ingresso ai campi nel periodo immediatamente precedente la semina. La profondità dell'aratura dovrà essere di 25-30 cm. in terreni sciolti o di medio impasto, 40 cm. in terreni pesanti ed argillosi. Nel caso di terreni molto sabbiosi l'aratura si può effettuare poco prima della semina per evitare una eccessiva perdita di acqua dal suolo per evaporazione che potrebbe determinare difficoltà di germinazione dei semi e di emergenza delle plantule. Successivamente si potrà procedere con erpicata e fresatura, queste ultime sono da consigliare in terreni troppo pesanti. Nel caso della preparazione del letto di semina si può procedere alla sistemazione del terreno, che prevede la realizzazione di una rete di canali e fossi di scolo per lo smaltimento delle acque in eccesso. 2. Semina Il seme non deve essere di più di tre anni e prodotto nella zona di Lamon; eventualmente conciato con prodotti consentiti a norma di legge. È obbligatoria la coltivazione di un solo ecotipo per ogni singolo appezzamento. La semina è consigliabile farla a postarella con 4-5 semi per posta; la distanza tra le poste deve mantenersi tra i 40-50 cm., la semina si può effettuare anche a file con distanza sulle file di 7-10 cm. e tra le file di 100120 cm. In conclusione si dovrà ottenere una densità di semina di 10-15 semi per metro quadrato. La profondità di semina va da 3 a 6 cm.; le profondità maggiori possono essere attuate per terreni particolarmente asciutti dove in superficie può esserci una quantità d'acqua insufficiente alla germinazione. Dove è possibile la semina può essere meccanizzata mediante apposite seminatrici pneumatiche di precisione. È opportuno attuare due sarchiature: una alcuni giorni dopo la semina, un'altra 20-30 giorni dopo la prima. Per quanto riguarda il tutoraggio, che si effettua fin dai primi stadi di sviluppo e che deve garantire una adeguata aerazione delle piante, si prevede di pali o canne preferibilmente bloccati all'estremità superiore a dei fili di ferro o di plastica, sostenuti da robusti pali in legno o di cemento, disposti all'estremità dei filari. Si possono anche unire le canne o i pali di sostegno all'apice prendendoli a tre a tre o a quattro a quattro (sistema a piramide o capannina), che offrono maggiori garanzie di stabilità. Nelle zone di produzione comunque, è in uso il tutoraggio mediante pali di abete non fissati all'estremità. Sono ritenuti validi anche sistemi che prevedevano l'uso di spaghi disposti verticalmente che hanno dato buoni risultati e quindi possono anche questi essere presi in considerazione. 3. Irrigazione È una coltura che si avvantaggia molto dell'irrigazione, quindi sarebbe opportuno praticarla avendo cura di evitare stress idrici prolungati. Le irrigazioni diventano indispensabili nei momenti di scarsa piovosità che, in Provincia di Belluno, coincidono con il periodo di ingrossamento dei baccelli. E preferibile irrigare con sistemi a microportata (es. manichetta forata) al fine di evitare la bagnatura dell'apparato fogliare; e sconsigliato l'utilizzo di acqua stagnante per evitare malattie da funghi e batteri. 4 . Concimazione Il fagiolo è una leguminosa in grado di porsi in simbiosi con batteri azotofissatori presenti nel suolo. La concimazione del fagiolo mira pertanto al mantenimento della fertilità biologica, ovvero al mantenimento della flora microbica presente nel suolo stesso. Si consigliano analisi chimiche solo dove i terreni non dimostrano intrinseca fertilità. Importante è la valutazione del contenuto di molibdeno, fattore limitante per il corretto funzionamento dei processi metabolici di azotofissazione. La concimazione deve prevedere un discreto apporto di sostanza organica, sotto forma di letame ben maturo, o altro concime organico certificato e privo di residui nocivi ed un modesto apporto di fertilizzante chimico; ricordiamo che 100 kg di fagioli secchi prodotti sottraggono al terreno 0,75 kg di azoto, 0,20 kg di fosforo, 0,60 kg di potassio. Se riferiti ad ettaro i quantitativi fertilizzanti da utilizzare sono i seguenti: 300 q. di letame bovino o altro concime organico - 50 unità di azoto - 70 unità di fosforo e 70 di potassio. 5. Difesa fitosanitaria È opportuno valutare le modalità ed i momenti di intervento in relazione alle informazioni di modelli previsionali sia per i parassiti animali che vegetali, alle informazioni dei bollettini agrometeorologici, all'andamento climatico, alla varietà (o tipi), alla fase fenologica. È d'obbligo da parte del produttore denunciare l'utilizzo del principio attivo usato con le modalità indicate dal Consorzio. Si insiste sull'uso di prodotti ecocompatibili ed ove possibile sostituire l'intervento chimico con adeguate pratiche agronomiche. Infestanti Per il controllo delle infestanti è importante effettuare, al momento della preparazione del terreno, ripetute fresature ogni 10-15 giorni; è vietato l'uso dei diserbanti. 5.a Parassiti vegetali Antracnosi Stagioni caldo-umide costituiscono la migliore condizione per lo sviluppo della fitopatia. La lotta agronomica si basa sulla distruzione dei residui vegetali, sulla rotazione delle colture, sull'impiego di seme sano, di concimazioni potassiche ed azotate in equilibrato rapporto. Ruggine Sono ammessi interventi chimici con composti a base di rame solo in condizioni climatiche favorevoli alla malattia, ovvero umidità elevata e temperature comprese tra 200 C. e 240 C.. Batteriosi Vengono applicati metodi di lotta agronomica: impiego di seme sano, ampie rotazioni, concimazioni azotate ridotte e potassiche ben equilibrate, rapida eliminazione della vegetazione infetta. Virosi La lotta agronomica prevede lo sfalcio delle erbe. infestanti 'ai bordi degli appezzamenti, al fine di ridurre il potenziale di inoculo; per i virus trasmissibili per seme è importante evitare la raccolta di seme da piante virosate. 5.b Parassiti animali Afidi Danneggiano le piante rallentandone lo sviluppo; possono trasmettere virus. a lotta si effettua con aficidi, eventualmente associati con ovicidi, se la popolazione presente sulla pianta supera la soglia di danno. Gli afidi producono maggiori danni quando la pianta si trova in fase di fioritura e di ingrossamento dei baccelli. Acari La comparsa può essere causata da una non corretta gestione fitosanitaria. Sono permessi trattamenti localizzati sui focolai con exitiazox; propargite, tetradifon, ma solo su indicazioni del tecnico. L'esplosione delle popolazioni di acari dipende da una mancanza di nemici naturali, questi ultimi sempre presenti in loco; alcuni interventi fungicidi limitano fortemente l'affermarsi dei predatori degli acari dannosi e, conseguentemente, Favoriscono l'insorgere della patologia da acari. Tripidi Possono creare problemi in caso di semine e raccolti posticipati. Sono consentiti interventi localizzati previa indicazione del tecnico. 6. Raccolta Si effettua a mano perché molto spesso la maturazione è scalare. Inizia indicativamente, per la granella fresca, una ventina di giorni dopo l'impollinazione e si può protrarre per circa un mese. Per quanto riguarda la granella secca si può iniziare quando almeno i 3/4 dei baccelli sono ormai diventati secchi e di colore chiaro. 7. Conservazione Al fine di evitare l'infestazione di Tonchio (Acanthoscelides Obtectus) si deve attuare a scelta uno dei seguenti accorgimenti: Conservare il prodotto ad una temperatura compresa tra 0 e 15 °C; Conservare il prodotto sotto zero tenendo presente che se il prodotto è secco si conserva pienamente la capacità germinativa, se invece è fresco questa viene persa; Conservare il prodotto sotto vuoto, avendo l'accortezza di conservarlo dopo l'apertura a una temperata tra 0 e 15 °C. Articolo 7. Produzione massima di granella/ettaro Si quantifica per impianti specializzati una produzione massima di: 40 quintali ad ettaro per granella secca; 100 quintali ad ettaro per fagiolo fresco (in baccello ed in irriguo); 70 quintali ad ettaro per fagiolo fresco (in baccello e senza irrigazione). Articolo 8. Disposizioni sulla certificazione di produzione del fagiolo di Lamon ed attività del consorzio di tutela 1. Sono autorizzati a produrre Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese ad indicazione geografica protetta tutti i produttori della zona definita all'art.2 che aderiscono al Consorzio di Tutela. Tale Organismo per la tutela del Fagiolo di Lamon è stato regolarmente istituito con atto notarile n.72930 di Rep. n.13726 di raccolta. L'adesione al Consorzio comporta una richiesta allo stesso (entro il 1° aprile di ciascun anno) nella quale gli aderenti dichiarano di accettare i controlli dei Funzionari del Consorzio di Tutela, affinché sia possibile effettuare opportuni sopralluoghi ed accertamenti al fine di valutare preventivamente la consistenza e l'autenticità del prodotto. La semente è fornita dal Consorzio di Tutela al fine di mantenere le caratteristiche.2. Tutti i produttori sono obbligati, a semine ultimate, a procedere ad una denuncia di produzione su appositi moduli forniti dal Consorzio di Tutela, con indicata la superficie investita a fagiolo per tutti gli ecotipi seminati ed i relativi dati catastali. Allo stesso modo, entro la data che verrà indicata annualmente dal Consorzio di Tutela, i produttori dovranno denunciare, sempre su dal Consorzio di Tutela stesso, i quantitativi di prodotto dei diversi ecotipici di Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese. 3. Il seme è prodotto solo in Aziende autorizzate ed opportunamente controllate dal Consorzio, la zona di produzione della stessa sarà limitata alla zona comprendente il comprensorio di Lamon, tale scelta ha le seguenti motivazioni: tale zona è la zona di origine; la zona è caratterizzata da un particolare clima idoneo a questo legume; è possibile garantire controlli adeguati e puntuali; data la limitatezza della zona in oggetto è più facile controllare l’introduzione e l'uso di semente esterna. Il prodotto deve essere commercializzato in apposite confezioni, nelle quali è posto il marchio ed il timbro del Consorzio e rilasciate dallo stesso, fatte salve le prescrizioni previste dalle norme vigenti in materia di etichettatura e confezionamento dei prodotti agricoli alimentari. Su ogni confezione è apposta la certificazione che deve indicare: anno di produzione e data di confezionamento; data di scadenza; luogo di provenienza (Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese); quantità; ecotipo ("Spagnol", "Spagnolit", "Calonega" e "Canalino"); marchi di denominazione di origine; norme del produttore; eventuale dichiarazione di prodotto biologico, ai sensi delle vigenti leggi in materia. Il Consorzio controlla strettamente sia la distribuzione della semente che delle confezioni marchiate. La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del Fagiolo di Lamon del Consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dal reg. 2081/92 del 14 luglio 1992. Articolo 9. Disposizioni circa le capacità dei contenitori I fagioli possono essere commercializzati freschi o secchi. Per i fagioli freschi sono consentite confezioni in cassetta da 5 kg - 10 kg. Per quanto riguarda i fagioli secchi sono consentite confezioni da 1 kg - 55 kg. È vietata la vendita di prodotto sfuso. | I.G.P. | cereali | Veneto | Belluno |
Fagiolo di Sarconi Fagiolo di Sarconi IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Sarconi IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Sostegni: pertiche di castagno, canne, rete, filo di ferro
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | cereali | Basilicata | Potenza |
Fagiolo di Sorana Fagiolo di Sorana IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Sorana IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Il logo del "Fagiolo di Sorana" su fondo giallo, e' costituito dalla fedele riproposizione dell'antico stemma del paese in nero, il cui nome sembra provenire da "Rocca Sovrana", ed e' formato da uno scudo contornato da tralci d'alloro e quercia. Nella parte alta e' posta la scritta SOvRANA e la lettera v e' sormontata da corona gigliata. Lo scudo, diviso in tre sezioni, e' cosi formato: sulla parte inferiore destra, e' stata raffigurata la vetta del Monte Lignana sul cui crinale e' posta l'immagine stilizzata dell'antica "Castella" turrita di Sorana, in nero. Al centro della sezione superiore e' riportata la "Rosa dei Venti" e sulla destra una banda orizzontale di colore azzurro. In basso sotto lo stemma, la scritta di traverso "Fagiolo di Sorana" in carattere Old English, nero, con sotto riportato su tre righe "Indicazione Geografica Protetta" in carattere Courier New. Le dimensioni massime del logo sopra descritto da usarsi sulle etichette dovranno essere di cm 10,5 per 10,5: le dimensioni minime potranno essere ridotte fino a 1/4 di quelle massime (vedi anche prova di stampa). Sul lato destro, in verticale, e' prevista una casella rettangolare per l'apposizione di un numero progressivo. Infine, sul lato sinistro e' previsto il logo regolamento CE 1726/98 "Indicazione Geografica Protetta", nelle dimensioni minime. Colorimetria: I colori del logo sono "Colori Pantone"; la realizzazione e' prevista su carta e su pellicola plastica (in questo secondo caso il colore e' identificato dal secondo numero quando e' necessario): Giallo = 607 U/1205 C; Nero = 433 U2X/Process Black C; Argento = 427 U/427C; Azzuno = 298 U/2915C; e' vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compreso gli aggettivi extra, superiore, fine, scelto, selezionato e similari; e' consentito esclusivamente l'uso della menzione aggiuntiva: di ghiareto di poggio, in relazione all'area di coltivazione (per la definizione della zona di ghiareto vedi art. 3 del presente disciplinare, mentre con poggio s'intende l'area esterna al ghiareto); bianco o rosso, in relazione al colore della granella; e' altresi consentito l'uso d'indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa, non aventi significato laudativo e tali da trarre in inganno il consumatore e di quant'altro previsto dalla vigente legislazione in materia d'etichettatura. Le eventuali menzioni aggiuntive e le indicazioni sopra specificate, ad eccezione del simbolo grafico del logo "Indicazione Geografica Protetta" previsto dal regolamento CE 1726/98, devono avere carattere tipografico non superiore alla meta' di quello usato per la denominazione. | I.G.P. | cereali | Toscana | Sorana, Pescia (PT) |
Farina di castagne della Lunigiana Farina di castagne della Lunigiana DOP Disciplinare di produzione - Farina di castagne della Lunigiana DOPArticolo 1. Nome del prodotto La Denominazione di Origine Protetta “Farina di Castagne della Lunigiana” è riservata alla farina di castagne che risponde alle condizioni e ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1 La specie e le cultivar La D.O.P. “Farina di Castagne della Lunigiana” è attribuita alla farina dolce ottenuta mediante la lavorazione di castagne prodotte da castagni della specie Castanea sativa (Mill.) delle varietà di cui si riconosce storica presenza sul territorio interessato: Bresciana, Carpanese, Fosetta, Marzolina, Moretta, Primaticcia, Rigola, Rossella, Rossola di cui le specie Bresciana, Carpanese, e Rossola devono percentualmente raggiungere almeno il 70%. 2.1 Caratteristiche del prodotto. Al momento dell'immissione al consumo la “Farina di Castagne della Lunigiana” deve possedere i seguenti requisiti: Umidità massima del 8%. Vellutata al tatto e fine al palato. Granulometria minore o uguale a 0.8 mm, di cui almeno l’80% minore o uguale a 0.3 mm. Colore che può variare dal bianco all’avorio. Sapore dolce al palato. Zuccheri totali, complessivamente non inferiori al 20%. Profumo di castagne, assenza di odore di muffe e di stantio. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della D.O.P. "Farina di Castagne della Lunigiana" ricade in provincia di Massa Carrara e comprende l’intero territorio amministrativo dei Comuni di: Aulla, Bagnone, Casola in Lunigiana, Comano, Filattiera, Fivizzano, Fosdinovo, Licciana Nardi, Mulazzo, Podenzana, Pontremoli, Tresana, Villafranca in Lunigiana e Zeri. L’areale della zona di produzione è costituito da un corpo unico ed è interamente compreso nel territorio della Comunità Montana della Lunigiana. Articolo 4. Origine del prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali su cui avviene la coltivazione, dei produttori di castagne, degli essiccatori,dei molitori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva, alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Sono inoltre iscritti in appositi registri sia i “gradili” adibiti all’essiccazione delle castagne, che i mulini e i locali di confezionamento. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di produzione La “Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P. è prodotta con tecniche e metodi tradizionali tipici locali, utilizzando castagneti, essiccatoi (“gradili”), e mulini tradizionali situati nell’area indicata nell’art. 3. 5.1 – produzione delle castagne. La densità delle piante da frutto in produzione non può superare le 160 unità per ettaro. La resa produttiva massima non può superare 3.500 Kg. per ettaro. La raccolta delle castagne deve avvenire tra il 29 settembre (tradizionale data di inizio della raccolta in corrispondenza della festa di San Michele) e il 15 dicembre. 5.2 - essiccazione e sbucciature (pistatura) delle castagne. Le castagne vengono essiccate in strutture localmente denominate “gradili”. I “gradili” o essiccatoi sono strutture in muratura di pietrame, calce e sabbia, a due piani, di forma rettangolare o quadrata, aventi il pavimento costruito con lastre di pietra arenaria. Tra pavimento e soffitto, ad un’altezza di circa 2-2,50 m, poggia su traverse la grata (o “canniccio”), formata da assicelle di legno di castagno, sistemate ad una distanza di 1 - 2 cm l’una dall’altra. L’essiccazione delle castagne per la produzione della "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. deve avvenire a fuoco lento con l’utilizzo esclusivo di legna di castagno, per un periodo minimo di 25 giorni. Dopo il processo di essiccazione, le castagne devono essere pulite dalla loro buccia esterna, con le tradizionali macchine a battitori, e ventilate a macchina o con tecniche tradizionali e ripassate a mano, per levare le parti impure. La resa massima delle castagne secche pelate, rispetto ad 1 quintale di castagne crude non può superare il 32% in peso. 5.3 – molitura delle castagne essiccate I mulini destinati alla macinatura delle castagne secche, da trasformare in "Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P., devono essere di tipo tradizionale a macine di pietra. L’energia per il funzionamento delle macine potrà essere sia elettrica che idraulica. La macinatura non potrà essere effettuata dopo il 30 gennaio dell’anno successivo a quello di raccolta. Il mulino, al fine di evitare che una veloce macinatura impasti la pietra e la faccia riscaldare, con la conseguente perdita al prodotto finito della sua preziosa caratteristica di “borotalcatura” ossia vellutata al tatto e fine al palato, non deve macinare più di cinque quintali di castagne secche al giorno per macina. Il quantitativo di castagne secche macinate al giorno, il nome del fornitore e la durata del tempo di macinatura dovranno essere riportati in apposito registro redatto dal molitore. Le operazioni di coltivazione, essiccazione, macinatura e confezionamento devono avvenire nell’areale di produzione indicato all’articolo 3 del presente disciplinare. Articolo 6. Legame con l’ambiente La denominazione d’origine protetta “Farina di Castagne della Lunigiana” si caratterizza per uno spiccato sapore dolce che deriva principalmente dal castagno coltivato e dalle caratteristiche pedoclimatiche dell'areale di produzione, nonché dall’attività dell’uomo che nei secoli ha mantenuto la produzione di farina. La conformazione territoriale, infatti, ed in particolare l’altitudine e le condizioni climatiche determinano la dolcezza del frutto. Le particolari caratteristiche orografiche, morfologiche, idrografiche e climatiche, della Lunigiana rendono questo territorio un ambiente particolarmente adatto a determinare la dolcezza del castagno, che prospera ovunque, dal fondovalle fin verso i mille metri di altitudine. La particolare configurazione orografica a “conca” del territorio interessato dalla produzione, insieme ad un' esposizione est – ovest dei versanti su cui si sviluppano i castagneti, le temperature mai eccessive presenti durante tutto l'anno e in particolare durante i mesi di attività biologica della pianta (giugno – settembre), le correnti fresche estive provenienti dal vicino mare, mitigano i picchi elevati delle temperature estive, evitando alla pianta stress e consentendole un costante e notevole accumulo di zuccheri nelle castagne dalle quali si produce la farina. La Lunigiana, dal punto di vista morfologico, si caratterizza per strette e profonde valli percorse da corsi d’acqua a carattere torrentizio, colline, montagne e fosse tettoniche. Questa particolare morfologia è all’origine di un reticolo idrografico abbondante e ricco dal regime tipicamente torrentizio, che è stato sapientemente sfruttato dalla popolazione come fonte di energia di numerosi mulini ad acqua. Ancora oggi, i mulini caratterizzano l’architettura rurale della zona e sono tuttora utilizzati per la macinatura delle castagne secche. Inoltre, le macine in pietra presenti in questi mulini, alimentate in tempi più remoti dalla corrente dei torrenti e poi successivamente anche da corrente elettrica, rendono possibile una macinazione delle castagne lenta e costante, senza surriscaldamenti, così da produrre una farina vellutata al tatto e fine al palato. Oltre a ciò, nel territorio sono presenti degli impianti di essiccazione (gradili) che, sparsi ovunque nei castagneti, oltre a caratterizzare insieme ai mulini il territorio della Lunigiana, testimoniano la storica lavorazione delle castagne nell’area geografica. Basti pensare, infatti, alle cronache quattrocentesche di Giovanni Antonio da Faie, dove viene ribadita l’importanza del castagno nell’economia locale e la necessità di non perdere la produzione delle castagne che rappresentavano “per i due terzi il pan di Lunigiana”. Lo stesso autore riferisce anche della poca differenza tra il prezzo della farina di frumento e quello della farina di castagne. Alla specificità della zona geografica e alla tecnica di macinazione tradizionale, va unito il contributo del fattore umano. L’uomo infatti, segue e controlla tutte le fasi della trasformazione dalla farina, iniziando dalla raccolta delle castagne fino all’andamento dell’essiccazione e della macinatura, nel pieno rispetto della tradizione locale. La data di inizio della raccolta, che coincide con il periodo di inizio della caduta spontanea dei frutti, avviene ancora oggi, nel giorno di San Michele, il 29 settembre, epoca storicamente fissata in cui le condizioni climatiche favoriscono l’apertura dei ricci nelle varietà più precoci. Anche nei proverbi utilizzati nell’areale è noto il detto “per San Michelo la castagna nel panéro”. Al momento della raccolta avviene una prima selezione sul terreno dei frutti sani, a cui segue la preparazione e la cura dei gradili (essiccatoi) in cui vengono poste le castagne e nei quali, per almeno 25 giorni, viene mantenuto acceso il fuoco costantemente curato dall'uomo ed alimentato, come da tradizione, esclusivamente dalla legno di castagno. Dopo l’essiccazione, è ancora l’uomo che manualmente controlla le castagne secche eliminando le parti impure, prima di destinarle alla molitura. Senza dubbio la produzione e la trasformazione delle castagne nella Lunigiana nel tempo assunse una rilevanza economia molto importate, infatti, dal XV al XVIII secolo, vennero stabilite in tutti gli statuti delle varie Comunità della Lunigiana, dalla Rocca Sigillina a Tresana, ad Equi e a Moncigoli, da Gragnola a Pontremoli norme precise e sanzioni per salvaguardare i castagneti che da secoli erano presenti nell’area. Testimonianze archeologiche dimostrano la presenza del castagno in Lunigiana dal I secolo d.C., e la sua affermazione tra il V ed il VI secolo. I reperti rinvenuti nei pressi della Pieve di Sorano (Filattiera), laddove era posto un insediamento bizantino su una preesistente fattoria romana, sono tra i più antichi conosciuti in Italia, e soprattutto testimoniano come una rapida “rivoluzione” attuata nell’agricoltura, sostituendo alla quercia il castagno, che trovando il suo ambiente ideale ha mantenuto la sua presenza nei secoli ed ha contributo a garantire alle popolazioni una sicura ed importante fonte alimentare. Terra di antiche origini, la Lunigiana ha conservato usi e costumi, che la caratterizzano nel quadro del folklore italiano. Nella festa della Ricca, la più “ricca” massaia del paese offriva la merenda e a Filetto si chiedeva farina dolce di castagne. Anche la baladura (la ballatura), operazione che consisteva nel calpestare nell’aia le castagne parzialmente sgusciate, al fine di ottenere la loro totale mondatura, costituiva una vera e propria festa, la più gioiosa e allegra di tutto il ciclo di lavorazione delle castagne ed era accompagnata dal canto di canzoni popolari. In questa terra non mancano neanche proverbi dialettali e consuetudini sociali legati alla castanicoltura. Anche l’arte culinaria lunigianese annovera una notevole gamma di piatti a base di farina di castagne, fra cui si evidenziano la pattona (pattòna), focaccine (cian), frittelle cotte in padella (fritei, padléti), lasagne particolari (lasagna bastarda), pane (pane marocca). Questi prodotti gastronomici erano spesso accompagnati con latticini o carni insaccate. Infine, per capire quanto il castagno abbia permeato la terra di Lunigiana, basterà riflettere sul fatto che qui i bambini non nascevano sotto i cavoli e neppure venivano portati dalla cicogna, ma venivano trovati nel tronco cavo di un vecchio castagno. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) 510/2006. Tale struttura è l’ Autorità pubblica designata Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Massa Carrara,Via VII Luglio, 14 – 54033 Carrara (MS),Tel. : 0585- 7641, Fax: 0585- 776515. Articolo 8. Etichettatura La "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. viene immessa al consumo a partire dal 15 novembre dell’anno di produzione. La "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. viene confezionata in sacchetti di plastica trasparenti del peso di 500 g , 1 Kg o 5 Kg. I sacchetti di plastica possono essere inseriti in contenitori di carta o tela. Le confezioni devono essere chiuse con un sigillo inamovibile, in modo da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo di chiusura. Il sigillo, di tipo monouso, posto a chiusura di ogni confezione deve riportare la dicitura stampigliata in fusione "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. e l’anno di produzione del prodotto. Il colore del sigillo, che risulta diverso a seconda del peso, è il seguente: bianco per la confezione da 500 g; marrone per quella da 1 Kg e rosso per quella da 5 Kg. Ad ogni sacchetto viene inoltre applicata una etichetta con le seguenti indicazioni oltre a quelle di legge: a. il logo della “Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P come descritto nell’art. 10; b. la data di confezionamento e la data di scadenza che non può essere superiore ad un anno. Articolo 9. Logo Il logo del prodotto, come da riproduzione sotto riportato, è costituito da: la dicitura “Farina di Castagne della Lunigiana” che deve essere apposta al di sopra del simbolo grafico e riportata con caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinti e di dimensioni almeno doppie rispetto ad ogni altra scritta presente in etichetta. La dicitura, di carattere Tahoma e di colore nero, è seguita, immediatamente, dalla sigla D.O.P.; un simbolo grafico che presenta, sulla sinistra, l’immagine di due castagne sovrapposte, con la castagna in primo piano inclinata verso sinistra e la seconda raffigurata in modo verticale. Le castagne sono ambedue di colore marrone (pantone n° 1807 C) con riflesso sulla parte tondeggiante di colore marrone chiaro (pantone n° 50% 1807 C) con il fondo della castagna di colore nocciola (pantone n° 5035 C). Lo sfondo è rappresentato da tre strisce di uguali dimensioni, che comunque non possono occupare più del 40% della superficie totale del logo, con i colori della bandiera italiana: verde (pantone n° 348 C), bianco, rosso (pantone n° 206 C). Sulla destra della striscia verde appare la scritta “Denominazione di origine protetta”; la scritta è in carattere Tahoma e di colore nero; Le dimensioni minime del logo sono di nove cm. di larghezza e otto cm. di altezza; dette misure potranno essere aumentate a seconda delle confezioni. La dicitura “Farina di Castagne della Lunigiana” deve essere riportata in lingua italiana. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Massa Carrara |
Farina di Neccio della Garfagnana Farina di Neccio della Garfagnana DOP Disciplinare di produzione - Farina di Neccio della Garfagnana DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto La denominazione di origine protetta "Farina di Neccio della Garfagnana" è riservata alla farina dolce di castagne ottenute da alberi di castagno (Castanea Sativa Mill.) delle varietà descritte al successivo articolo 2, le cui caratteristiche sono da attribuirsi esclusivamente a fattori naturali e all'opera dell'uomo, conformemente agli elementi e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La "Farina di Neccio della Garfagnana" è prodotta con metodi e tecnologie tradizionali tipiche locali, utilizzando castagne, seccatoi (in seguito denominati metati) e mulini tradizionali situati nell'area delimitata al successivo art. 3, e ottenuta mediante la trasformazione di castagne derivate dalle seguenti varietà: Carpinese; Pontecosi; Mazzangaia; Pelosora; Rossola: rossolina, rossarda, rossale, rosetta, rosellina; Verdola: verdarella, verdona; Nerona: gragnanello, bocca storta, morona. Capannaccia: capannaccina, insetina. Più quelle varietà di castagne sempre delle stesse zone di origine di cui all'art. 3, ma con denominazione puramente locali. Articolo 3. Delimitazione area di produzione L'area di provenienza delle castagne dove altresì insistono i metati e i mulini per la trasformazione in farina di Neccio della Garfagnana, nonché gli impianti di confezionamento, è individuabile nella seguente zona della provincia di Lucca: Comune di Castelnuovo di Garfagnana; Comune di Castiglione Garfagnana; Comune di Pieve Fosciana; Comune di San Romano di Garfagnana; Comune di Sillano; Comune di Piazza al Serchio; Comune di Minucciano; Comune di Camporgiano; Comune di Careggine; Comune di Fosciandora; Comune di Giuncugnano; Comune di Molazzana; Comune di Vergemoli; Comune di Vagli; Comune di Villa Collemandina; Comune di Gallicano; Comune di Borgo a Mozzano; Comune di Barga; Comune di Coreglia Antelminelli; Comune di Bagni di Lucca; Comune di Fabbriche di Vallico. Tale area in un unico corpo si estende per circa ha 90.657, così come da cartografia allegata. Articolo 4. Origine del prodotto La farina di Neccio, attualmente destinata quasi esclusivamente alla produzione dolciaria, ha rappresentato nel corso di molti secoli uno degli alimenti base per il sostentamento delle popolazioni rurali della Garfagnana. Per questo l'uso del prodotto è fortemente radicato nella cultura locale avendo acquisito grossi spazi nella cucina tradizionale della zona. Proprio salvaguardando gli aspetti culturale e tradizionale si assicurerà un futuro a questo prodotto visto che i redditi modesti che garantisce ne potrebbero causare la scomparsa nel giro di qualche decennio. Pertanto, dovrà essere assicurato il mantenimento di elementi tradizionali anche nel processo di produzione in modo che contribuiscano a perpetuare le caratteristiche di pregio del prodotto e a mantenere inalterato l'ambiente nel quale si opera. Si dovrà pertanto prestare cura anche alla realizzazione o ristrutturazione dei metati, caratteristici essiccatoi delle castagne a due piani, realizzati con pietrame, calce e sabbia e dei mulini che dovranno avere macine di pietra e strutture conformi alle tipologie architettoniche locali. Articolo 5. Metodo di ottenimento del prodotto I castagneti da frutto destinati alla produzione di castagne per la "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. devono avere una densità di piante in produzione non superiore alle 150 per ettaro. I metati tradizionali conformi a quanto riportato nel precedente articolo devono essere situati nella zona delimitata ed iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo art. 6. I mulini destinati alla macinatura delle castagne secche da trasformare in "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P., localizzati nella zona delimitata, devono essere di tipo tradizionale a macine di pietra e devono essere iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo art. 6. Le castagne prodotte nella zona delimitata di cui all'art. 3 e riconducibili alle varietà di cui all'elenco dell'art. 2 devono essere essiccate nei metati tradizionali. L'essiccazione deve avvenire a fuoco lento con l'utilizzo esclusivo di legna di castagno. Le castagne devono essere immesse nel metato in quantità tali da formare uno strato compreso tra un minimo di 20 e un massimo di 90 centimetri, in modo che l'umidità possa evaporare onde non creare ristagni all'interno di esso con sobbollimenti tali da lasciare alle castagne sapori sgradevoli. Dopo un periodo di essiccazione, non inferiore a 40 giorni, le castagne dovranno essere pulite dalla loro buccia esterna, con le tradizionali macchine a battitori, ventilate a macchina o con tecniche tradizionali e ripassate a mano per levare le parti impure. La resa massima delle castagne secche pelate, rispetto alle castagne crude non può superare il 30% in peso. Il mulino non potrà macinare più di cinque quintali di castagne secche al giorno per macina onde evitare che il riscaldamento dovuto alla elevata velocità di lavorazione delle macine stesse conferisca al prodotto cattivi sapori oltre che una grana grossolana. La "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. prima di essere posta in commercio deve rispondere alle seguenti caratteristiche: fine sia al tatto che al palato, umidità massima del 13%, colore che può variare dal bianco all'avorio scuro, sapore dolce con un leggero retrogusto amarognolo, profumo di castagne. I produttori che intendono porre in commercio il proprio prodotto con la D.O.P. "Farina di Neccio della Garfagnana" sono tenuti ad iscrivere i loro castagneti in un elenco gestito dall'organismo di controllo accreditato dalla norma EN 45011. Le domande di iscrizione dei castagneti nell'elenco devono contenere gli estremi atti ad individuare la proprietà e/o il possesso, gli estremi catastali desunti dagli estratti: il comune, il numero di foglio, mappa e la partita catastale, le superfici a castagneto, il numero di piante ad ettaro e le varietà presenti. Tali domande devono essere presentate entro il 30 giugno dell'anno a decorrere dal quale si intende commercializzare il prodotto "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. Entro la stessa data devono essere presentate le domande intese ad approvare eventuali modifiche alle iscrizioni stesse. La raccolta delle castagne deve avvenire tra il 1° ottobre e il 30 novembre di ogni anno. I produttori aventi i castagneti iscritti nell'elenco di cui al presente articolo devono dichiarare al soggetto gestore dell'elenco: il metato presso il quale avverrà l'essiccazione, la quantità di castagne fresche poste ad essiccare, il giorno di inizio dell'essiccazione e la resa finale in castagne secche e il mulino presso il quale avverrà la molitura. Il mugnaio avente il mulino iscritto nell'apposito elenco deve dichiarare al soggetto gestore dell'albo, per ogni partita: il produttore, il periodo di molitura e il quantitativo di farina prodotta. Il metato e il mulino dovranno essere scelti tra quelli iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo comma. La domanda di iscrizione deve contenere l'indicazione del titolo di proprietà e/o di possesso, il comune e la località di ubicazione degli immobili, il foglio catastale, il numero/i di particella/e. I mulini che si intende abilitare alla trasformazione di castagne in "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. devono essere adibiti esclusivamente alla molitura delle castagne. La domanda di richiesta di iscrizione per i metati ed i mulini deve essere presentata entro il 30 giugno dell'anno a decorrere dal quale si intende adibire le strutture alla trasformazione del prodotto da commercializzare con il marchio "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. Articolo 6. Legame con l'ambiente I produttori di castagne nonché i gestori di metati e mulini dovranno essere iscritti in un apposito elenco gestito dall'organismo di controllo di cui al successivo art. 7. Entro 10 giorni dalla fine della raccolta deve essere presentata all'organismo di controllo la denuncia di produzione di castagne fresche raccolte relativa all'annata in corso. La denuncia di produzione da parte di un produttore può essere fatta in più volte, e l'organismo di controllo rilascerà, di volta in volta, attestazione del prodotto denunciato dopo avere verificato la corrispondenza all'elenco. Articolo 7. Organismo di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dall'A.I.A.B. ente certificatore privato, sulla base di quanto stabilito dall'art. 10 del registro CEE 2081/92. Articolo 8. Etichettatura Ogni anno la nuova "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. potrà essere commercializzata soltanto dopo il primo giorno di dicembre. I prodotti trasformati possono menzionare in etichetta che il prodotto stesso è ottenuto con "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. purché il trasformatore si sottoponga ai controlli da parte dell'organismo di cui all'art. 6 e rispetti le prescrizioni impartite da detto organismo per l'identificabilità delle partite del prodotto. La "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. può essere venduta dal produttore solo confezionata in sacchetti trasparenti inseriti in una fascia di protezione di cartone. Le confezioni, saranno da 500 grammi e da 1 chilogrammo. Per forniture a ristoranti, pasticcerie ed altri trasformatori è consentito commercializzare la confezione di 12 chilogrammi in due sacchi trasparenti e sigillati da 6 kg cadauno sempre inscatolati. Detti contenitori devono essere chiusi e sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. Il sigillo è costituito da una etichetta inamovibile che deve riportare le seguenti indicazioni: A) "Farina di Neccio della Garfagnana", seguita immediatamente al di sotto dalla dicitura "Denominazione origine protetta" (D.O.P.) come dall'allegato che fa parte integrante del disciplinare; B) nome cognome o ragione sociale del produttore, nonché la ditta e la sede di chi ha effettuato il confezionamento del prodotto (sia esso il produttore o terzi); C) quantità di prodotto contenuta all'origine nei contenitori, espressa in conformità delle norme metrologiche vigenti. L'etichetta deve altresì contenere il logo europeo della D.O.P. così come definito dal registro CE n. 1726/98. In etichetta è vietata l'indicazione di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi "extra", "superiore", "fine", "scelta", "selezionata" e similari. È vietato inoltre l'uso di indicazioni aventi significato laudativo ed atte a trarre in inganno il consumatore. È consentito l'uso di indicazioni relative al produttore e al luogo di confezionamento. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Lucca |
Farro della Garfagnana Farro della Garfagnana IGP Disciplinare di produzione - Farro della Garfagnana IGPArticolo 1. L'Indicazione Geografica Protetta "Farro della Garfagnana" è riservata alla granella prodotta dalla specie Triticum dicoccum (Schubler) che risponda ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La zona di produzione del "Farro della Garfagnana" è costituita dalla parte del territorio della Provincia di Lucca ricadente nei seguenti Comuni: Camporgiano, Castelnuovo Garfagnana, Castiglione di Garfagnana, Guncugnano, Minucciano, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano Garfagnana, Sillano, Villa Collemandina, Fosciandora, Vagli di Sotto, Careggine, Molazzana, Gallicano, Vergemoli. Articolo 3. Il "Farro della Garfagnana" è un cereale tipico della Garfagnana e presenta un genotipo che si è ben adattato al clima ed ai terreni locali. Le principali caratteristiche morfo-biologiche sono le seguenti: - Altezza pianta (in centimetri) dai 110 ai 170 - Spighe aristate, mutiche o mucronate - Peso ettolitrico del seme vestito (minimo 40,0 kg) - Peso ettolitrico del seme nudo brillato (minimo 70,0 kg) - Caratteristiche dell'endosperma: prevalente struttura farinosa, con evidenti striature biancastre a seguito della brillatura - Spiccata autunnalità, ovvero un ciclo che per compiersi adeguatamente deve partire da un semina autunnale fino alla raccolta nell'estate successiva. Articolo 4. Le condizioni ambientali e di coltura del "Farro della Garfagnana" devono essere quelle tradizionali della zona, e comunque atte a conferire al prodotto le caratteristiche specifiche di tipicità. Sono pertanto da considerarsi idonei i terreni ubicati dai 300 ai 1000 metri s.l.m. con giacitura ed esposizione adatti. La semina, previa adeguata lavorazione del terreno e nel rispetto delle tradizionali rotazioni (in particolare il prato), deve effettuarsi con seme vestito derivante dalla popolazione locale con quantità che vanno dai 100 ai 150 kg per ettaro. È escluso l'impiego di concimi chimici, di fitofarmaci e di diserbanti. È ammesso l'uso di concimi organici. La produzione massima di granella vestita per ettaro non dovrà superare 25 quintali. Articolo 5. Il produttore che voglia certificare la propria produzione dovrà presentare all'organismo di controllo di cui all'art. 8, entro il 3 dicembre di ogni anno, una dichiarazione di coltivazione con le esatte superfici aziendali seminate impegnandosi a rispettare le condizioni previste dal precedente articolo. Dopo la raccolta verranno assegnati da parte dell'Organismo di controllo i bollini di riconoscimento in base alle quantità di Farro effettivamente prodotto e rispondente alle caratteristiche qualitative di cui sopra. Tali superfici e le quantità di Farro prodotte saranno registrate in un albo secondo criteri definiti da apposito regolamento elaborato dall'organismo di controllo di cui all'art. 8. Articolo 6. Il prodotto ottenuto dovrà essere conservato in locali idonei senza l'utilizzo di antiparassitari. Le operazioni di brillatura saranno effettuate nelle zone di produzione con apposite macchine. La resa in brillato non potrà eccedere il 60% del prodotto iniziale. Il "Farro della Garfagnana" sarà commercializzato come seme brillato. Il Farro brillato sarà commercializzato in sacchetti da kg 0,5 – kg 1,0 - kg 5,0 - kg 10,0 - kg 25,0 - kg 50,0. Il sacchetto deve rispettare le norme di legge in vigore ed in particolare riportare le indicazioni sulla annata di produzione e la scadenza per il consumo. La confezione sarà adeguatamente sigillata. Articolo 7. Oltre alla denominazione di cui all'art. 1, è consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa non aventi significato laudativo e non tali da trarre in inganno l'acquirente. È consentito, altresì, l'uso per il prodotto in granella di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone e località comprese nei territori dei comuni di cui all'art. 2 e dai quali effettivamente proviene il Farro ad Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Viene istituito un apposito organismo di controllo con sede presso la C.M. zona C2 della Garfagnana in Castelnuovo Garfagnana. L'organismo di controllo sarà presieduto dal Presidente della Comunità montana o da un suo delegato e composto da 2 esperti tecnici nominati dalla comunità montana e da 4 rappresentanti dei produttori designati dagli stessi riuniti in assemblea. I controlli a campione vengono decisi di volta in volta dallo stesso Organismo di controllo sulla base delle dichiarazioni di produzione presentate. L'organismo di controllo sovrintende alla tenuta dell'albo. Nel suddetto albo che sarà tenuto presso la sede della C.M. saranno inoltre annotate le singole superfici destinate alla produzione di Farro e le produzioni ottenute. Chiunque produce, vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo farro con la indicazione geografica protetta "Farro della Garfagnana" che non corrisponde alle condizioni ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare, è punito a norma delle vigenti leggi per la repressione frodi. L'organismo di controllo ha il potere di interdire l'utilizzo della Indicazione Geografica Protetta ai produttori che non rispettino le condizioni stabilite dal presente disciplinare. Articolo 9. La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del "Farro della Garfagnana" di un consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dall'art.10 del reg. (CEE) 2081/92. | I.G.P. | cereali | Toscana | Lucca |
Farro di Monteleone di Spoleto Farro di Monteleone di Spoleto DOP Disciplinare di produzione - Farro di Monteleone di Spoleto DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta “Farro di Monteleone di Spoleto” è riservata alla granella prodotta dalla varietà locale della specie Triticum dicoccum (Schubler) e che risponda ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Il “Farro di Monteleone di Spoleto” è un ecotipo locale della specie Triticum dicoccum (2n=4x=28), tipico della zona delimitata all’art. 3, e che ha assunto, grazie all’adattamento nel tempo al clima ed ai terreni dell’area delimitata, le singolari caratteristiche morfo-fisiologiche che lo distinguono dal farro ottenuto in altre zone geografiche: - habitus primaverile - altezza della pianta inferiore a 120 centimetri; - grado di accestimento medio; - portamento semieretto a fine accestimento; - piante con culmi e foglie sottili con glaucescenza variabile da debole a media; - spiga di piccole dimensioni, tendenzialmente piatta e aristata a maturazione di colore bianco sporco; - glumelle strettamente aderenti alla cariosside; - cariosside con abbondante peluria apicale, pronunciata gibbosità, a frattura vitrea; - colore marrone chiaro ambrato, caratteristica che conferisce un particolare carattere di differenziazione, riscontrabile in tutti i prodotti anche dopo la molitura. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP viene immesso al consumo nelle seguenti tipologie: • Farro integrale: si presenta in chicchi allungati e ricurvi di colore marrone chiaro ambrato, spogliato della pula. Al palato risulta consistente e asciutto; • Farro semiperlato: differisce da quello integrale solo per una leggera graffiatura (molatura) della superficie della cariosside che resta intera. Visivamente risulta più chiaro del farro integrale e al palato più morbido. Pertanto è il più indicato per minestre ed insalate di farro; • Farro spezzato: è ottenuto dai chicchi di farro integrale cioè semplicemente svestiti della pula spezzando ogni chicco in più parti (3 o 4 parti) e successivamente vagliato nel calibro attraverso una macchina vagliatrice. Visivamente presenta una colorazione marrone chiaro ambrato ed un aspetto caratterizzato da scaglie vitree; • Semolino di farro: è ottenuto per molitura del farro integrale, si presenta come tritello più fine dello spezzato, ma non polveroso per la sua caratteristica vitrea. Al palato si dissolve con una sensazione di pastosità. Il colorito è marrone molto chiaro. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della DOP “Farro di Monteleone di Spoleto” ricade nell’area montana (di altitudine maggiore o uguale a 700 m s.l.m) dell’area sud est della Provincia di Perugia e comprende: l’intero territorio amministrativo dei comuni di Monteleone di Spoleto e Poggiodomo e parte del territorio amministrativo dei comuni di Cascia, Sant’Anatolia di Narco, Vallo di Nera e Scheggino. La linea di delimitazione dell’areale inizia, in senso antiorario, da sud e segue il confine tra la Provincia di Perugia e la Provincia di Rieti, fino alla località Fonte Ruzzo. La linea risale quindi verso nord seguendo la strada doganale che collega Fonte Ruzzo alla località Fonte del Sorcio, successivamente prosegue sulla strada che si dirige verso la località Onelli, all’interno del Comune di Cascia, fino alla località Chiesa di San Sisto. Prosegue poi sulla strada che si dirige a Cascia. Da Cascia procede per la strada in direzione ovest verso Roccaporena passando per località Capanne di Roccaporena, fino ad intersecare il confine amministrativo tra il Comune di Cascia e il comune di Poggiodomo. Risale quindi verso nord lungo il confine amministrativo del Comune di Poggiodomo, fino alla località Casali del Lago. Da Casali del Lago la linea segue la strada verso sud fino a località Forcella e di seguito località San Pietro, fino a giungere alla località Forchetta di Vallo. Da Forchetta di Vallo la linea segue la strada che passa per località Casale Montecastello e Casale Forcella, fino all’innesto con la strada provinciale n. 471 all’interno del territorio comunale di Sant’Anatolia di Narco. Il confine dell’areale procede lungo il corso della strada provinciale n. 471 in direzione sud e passando per località Caso fino a località Gavelli. Da località Gavelli la linea passa lungo la strada che si dirige verso località Romitorio di Sant’Antonio e successivamente, entrando nel Comune di Scheggino, fino a località Pozzo Massarini. Da località Pozzo Massarini prosegue fino a località Immagine, poi continua in direzione sud ovest lungo il confine amministrativo della Provincia di Perugia con la provincia di Terni. La delimitazione segue fino al confine con la Provincia di Rieti (punto di fine e partenza). Articolo 4. Prova dell’origine Al fine di garantire l’origine del prodotto ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali, dei coltivatori/produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Lavorazioni del terreno. La lavorazione del terreno viene eseguita in ottobre-novembre per permettere ai semi delle erbe infestanti di germinare ed insediarsi dopo le piogge di fine estate. La tecnica colturale adottata è quella tradizionale, in uso da centinaia di anni: le lavorazioni principali del terreno, quali aratura e rippatura, sono autunnali o primaverili. La profondità di aratura è di 30-35 cm con rovesciamento completo della zolla; il terreno così lavorato viene lasciato “maturare” per tutto l’inverno. Prima della semina viene effettuata l’erpicatura. Semina. La semente da utilizzare per la produzione di granella, certificabile come “Farro di Monteleone di Spoleto”, è compresa tra 120 e 150 kg/ha di granella vestita che deve provenire esclusivamente da coltivazioni effettuate nel territorio delimitato. La produzione massima consentita di granella vestita di “Farro di Monteleone di Spoleto” è fissata in 3,0 tonnellate per ettaro. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” viene seminato a primavera, dal 1 febbraio fino al 10 maggio. La semina è fatta meccanicamente a file o a spaglio. Concimazione, diserbo. Al “Farro di Monteleone di Spoleto” vengono somministrate concimazioni in copertura soltanto nei terreni meno fertili e nelle situazioni di avvicendamento più sfavorevoli. Questa consuetudine è legata sia alle abitudini dell’agricoltura locale che, a causa delle scarse potenzialità produttive dell’ambiente, fa poco uso di prodotti chimici, sia alla grande suscettibilità all’allettamento del farro, se coltivato su terreni troppo fertili. Sui terreni più poveri, o in successione a cereali ripetuti per diversi anni, al farro vengono praticate letamazioni nell’autunno precedente la semina. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” non viene mai diserbato chimicamente. La concimazione all’impianto è esclusivamente organica, letamica, o di derivazione letamica. Raccolta. La raccolta avviene nei mesi di luglio, agosto, settembre. La raccolta è eseguita per mietitrebbiatura. Le produzioni sono comprese tra 0,6 e 3,0 tonnellate per ettaro di granella vestita. Fasi successive alla raccolta. La filiera tecnologica prevede, dopo la raccolta, anche una serie di altre operazioni, diverse a seconda della tipologia da ottenere: • Farro integrale: è il farro solamente decorticato ovvero viene tolta soltanto la pula esterna, si tratta della tipologia di farro lavorato che subisce meno interventi tra quelle immesse nel commercio; • Farro semiperlato: è il farro intero molito esternamente con una leggera molatura della cariosside attraverso l’utilizzo di una macchina molitrice, per portare ad una riduzione dei tempi di cottura; • Farro spezzato: consiste nella spezzatura, molto grossa, del farro decorticato, ottenendo come risultato una grana tradizionalmente usata per ridurre i tempi di cottura di zuppe e minestre; • Semolino di farro: consiste nella molitura del farro al fine di ottenere un semolino piuttosto grezzo, con un tritello più grande della farina, ma più fine del farro spezzato; Conservazione. Il prodotto viene immagazzinato, come da tradizione, nelle seguenti modalità: - in sacchi o balloni, - in silos. Le operazioni di coltivazione e lavorazione devono avvenire nel territorio indicato all’articolo 3 al fine di garantire la tracciabilità ed il controllo e per non alterare la qualità del prodotto. Articolo 6. Legame con l’ambiente Le particolari caratteristiche fisiche ed organolettiche del “Farro di Monteleone di Spoleto” e soprattutto la tipica cariosside dal colore ambrato e dalla consistenza vitrea alla frattura sono da imputare alla combinazione delle condizioni pedoclimatiche della zona di produzione ed in particolare ai terreni calcarei sassosi posizionati sopra ai 700 m slm che impediscono il ristagno dell’acqua nelle stagioni umide. Le sperimentazioni e gli studi scientifici realizzati, dimostrano che l’utilizzazione della semente del Farro di Monteleone di Spoleto in altre zone della Valnerina dà un prodotto che col passare degli anni perde le caratteristiche specifiche diventando bianconato, a testimonianza del fatto che c’è stata una forte ecotipizzazione connessa alla zona di produzione individuata all’articolo 3 del presente disciplinare di produzione, causata anche da un forte isolamento geografico, tanto da costituire uno specifico ecotipo locale. Dalle analisi sperimentali ufficiali, ne è derivata la descrizione botanica della cariosside: la descrizione morfologica prevede dimensioni medio- piccole, frattura vitrea e di colore marrone chiaro ambrato, distinguendosi dagli altri tipi di farro. E’ una pianta ad habitus primaverile, adatta alla semina di fine inverno nelle zone montane, questo spiega il forte legame geografico ed antropologico con l’ambiente della zona delimitata all’art.3. La conformazione dell’altopiano è origine delle particolari caratteristiche climatiche del territorio con lunghi inverni molto rigidi con frequenti gelate che si protraggono fino a maggio e pochissime settimane estive con elevate temperature diurne; condizioni climatiche alle quali resiste fruttuosamente l’ecotipo “Farro di Monteleone di Spoleto” adattatosi nel corso del tempo. Il terreno è di tipo alluvionale carsico, mediamente dotato di sostanza organica, con elevata dotazione di fosforo e bassa disponibilità di potassio. Tali caratteristiche e condizioni hanno determinato l’individuazione della perimetrazione sopra esposta per garantire le caratteristiche organolettiche del prodotto. A Monteleone di Spoleto, nella “tomba della biga” (tomba etrusca risalente al VI sec. Avanti Cristo), sono stati rinvenuti reperti di cereali, tra cui anche cariossidi di farro appartenenti molto probabilmente proprio alla specie che tradizionalmente viene coltivata oggi a Monteleone di Spoleto, ovvero Triticum dicoccum, a testimonianza della sua larga diffusione e utilizzo tra le colture cerealicole di quel tempo. Nell’area in questione, la ricerca d’archivio ha consentito di recuperare e conservare prove documentali attestanti che fin dal XVI secolo la coltivazione del farro era largamente praticata, poi il suo uso si è protratto nelle consuetudini agrarie della zona nei secoli successivi fino ai nostri giorni. Un dato certo e inconfutabile conferma che nel passato la principale zona di coltivazione del farro era Monteleone e ne danno testimonianza persino i residenti nelle zone limitrofe a quella delimitata all’art. 3 sostenendo: “ lo coltivano là perché fin dagli antichi romani…questo farro di Monteleone… qui nella zona c’è sempre stato”. Gli usi tradizionali della granella di farro inquadrano meglio la dimensione storica del farro rispetto al suo ambiente. Le tecniche di preparazione dei terreni, la scelta dei tempi giusti della semina e della raccolta la cura con cui viene lavorato ed immesso al commercio nelle varie tipologie e soprattutto le numerose ricette culinarie locali che i produttori della zona hanno saputo mantenere e tramandare nell’arco degli anni aggiungono quel valore umano che più di ogni altro fattore rende tipica la denominazione di origine di un prodotto. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. CE 510/2006. Articolo 8. Etichettatura Il “Farro di Monteleone di Spoleto” viene immesso al consumo in sacchetti di plastica garantiti per l’inalterabilità delle caratteristiche organolettiche e di salubrità del prodotto, del peso di ½ kg e di 1 kg e in sacchi di carta o di nylon del peso di 25 kg. Il prodotto confezionato in sacchetti di plastica viene commercializzato con la tecnica del sottovuoto, utilizzata per tutte le tipologie di prodotto, ovvero per farro integrale, semiperlato, spezzato e semolino. Le confezioni del “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP devono rispettare tutte le norme di legge in materia di etichettatura ed in particolare dovranno essere adeguatamente sigillate. Il prodotto deve essere condizionato in modo tale da garantire una adeguata protezione. Gli imballaggi devono essere nuovi, puliti atossici e conformi alla vigente normativa comunitaria e nazionale di riferimento, così come carte o stampe ivi inserite e a contatto con il prodotto. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al logo della denominazione, al simbolo grafico comunitario e relative menzioni e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: - Nome e cognome o ragione sociale, indirizzo o sede del confezionatore; - Data di confezionamento; - Peso netto all’origine (comunque soggetto a calo naturale); - L’acronimo D.O.P.; - La tipologia di farro confezionata secondo quanto descritto all’articolo 2 del presente disciplinare di produzione. - La dicitura “Prodotto di montagna” a) Il logo è composto da un rettangolo contenente una cornice-linea, con rapporto base/altezza = 1,15. Nella parte destra, compare la sagoma di profilo di un leone rampante con 2 spighe di farro sulla zampa anteriore destra. In basso vi è un campo, con in evidenza sei spighe di farro. Di fronte al leone in alto a sinistra è scritto “Farro di Monteleone di Spoleto” D.O.P. b) La base minima ammessa è di 2,5 cm; c) La dicitura “Farro di Monteleone di Spoleto” D.O.P. è ammessa sia in colore nero, sia in pantone 1805 (Rosso Bordeaux); d) Tipo di caratteri: Times SC; e) Specifiche dei colori: pantone 131 (Bronzo), pantone 1805 (Rosso Bordeaux), Nero, sfondo Bianco. Nel caso dell’utilizzazione del logo per l’etichettatura, si fa obbligo di rispettare rigorosamente le proporzioni dei caratteri, secondo la rappresentazione grafica di seguito riportata. E’ comunque ammesso l’uso del logo in scala di grigi o monocromatico. Articolo 9. Prodotti Trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzato il “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione, senza l’apposizione del logo comunitario. Il menzionato riferimento alla denominazione dovrà riportare la seguente frase: “prodotto realizzato con Farro di Monteleone di Spoleto”. Le sopramenzionate disposizioni sono subordinate a condizione che: la Denominazione di Origine Protetta certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della specie Triticum dicoccum (Schubler); il suddetto riferimento sia fatto in modo tale che non possa sussistere dubbio per il consumatore circa il fatto che la protezione DOP concerne esclusivamente l’ingrediente e non il prodotto elaborato o trasformato. | D.O.P. | cereali | Umbria | Perugia |
Fichi di Cosenza Fichi di Cosenza DOP Disciplinare di produzione - Fichi di Cosenza DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Cosenza |
Fico Bianco del Cilento Fico Bianco del Cilento DOP Disciplinare di produzione - Fico Bianco del Cilento DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Ficodindia dell'Etna Ficodindia dell'Etna DOP Disciplinare di produzione - Ficodindia dell'Etna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania |
Ficodindia di San Cono Ficodindia di San Cono DOP Disciplinare di produzione - Ficodindia di San Cono DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania, Enna, Caltanissetta |
Fungo di Borgotaro Fungo di Borgotaro IGP Disciplinare di produzione - Fungo di Borgotaro IGPArticolo 1.
Articolo 2. La denominazione "Fungo di Borgotaro" designa i carpofori delle seguenti varietà di boletus derivate da crescita spontanea nel territorio definito nel successivo art. 3. A) Boletus aestivalis (anche Boletus reticulatus Schaffer ex Baudin) chiamato dialettalmente "rosso" o "fungo del caldo"; cappello: dapprima emisferico, poi convesso - pulvinato: cuticola pubescente secca (viscida con la pioggia, screpolata con il secco): colore bruno rosso più o meno scuro, uniforme; gambo: sodo, prima ventricoso, poi più slanciato cilindrico od ingrossato alla base, dello stesso colore del cappello, ma a toni più chiari, interamente percorso da un reticolo, quasi sempre molto evidente, a maglie biancastre poi più scure; carne: di consistenza più soffice rispetto ad altri porcini, bianca senza sfumature sotto la cuticola del cappello - odore e sapore molto gradevoli; habitat: in prevalenza nei castagneti - epoca di produzione maggio-settembre. B) Boletus pinicola Vittadini (anche B. pinophilus Pilat e Dermek) chiamato dialettalmente "moro"; cappello: da emisferico a convesso appianato: cuticola pruinosa biancastra poco aderente e tomentosa prima, glabra e secca poi, colore granata bruno-rossiccio-vinoso; gambo: massiccio e sodo, tozzo, di colore da bianco ad ocra a bruno-rossiccio, reticolo non eccessivamente evidente e solo in prossimità del bulbo; carne: bianca, immutabile, bruno-vinosa sotto la cuticola del cappello, odore poco rilevante, sapore dolce e delicato; habitat: la forma estiva - più tozza - è presente da giugno in prevalenza nel castagneto: quella autunnale più slanciata - cresce di preferenza nel faggeto e sotto l'abete bianco. C) Boletus aereus Bulliard ex Fries, chiamato dialettalmente "magnan"; cappello: emisferico, poi convesso, infine piano - allargato: cuticola secca e vellutata, colorazioni bronze-ramate specie negli esemplari adulti; gambo: sodo, prima ventricoso poi allungato, colore bruno - ocraceo, finemente reticolato, per lo più in vicinanza della sommità; carne: soda, bianca, immutabile, odore profumato, sapore fungino intenso, ma purissimo; habitat: in prevalenza nei querceti e nei castagneti, presente da luglio a settembre, è la specie più xerotermofila rispetto alle altre varietà di Boletus. D) Boletus edulis Bulliard ex Fries che dialettalmente prende il nome "fungo del freddo" in particolare la "forma bianca"; cappello: prima emisferico poi convesso appianato: superficie glabra e opaca, un po' vischiosa a tempo umido: cuticola non separabile, con colorazione variabile dal bianco crema al bruno castano e bruno nerastro con tutte le tonalità intermedie; gambo: sodo, panciuto prima, allungato poi, da colore biancastro al colore nocciola più chiaro alla base, reticolo non sempre presente; carne: soda , bianca, sfumata della tinta della cuticola, immutabile, odore delicato, sapore tenue; habitat: nei boschi di faggio, abete e castagno, presente da fine settembre alla prima neve. Rare le forme estive. Articolo 3. La zona di produzione del "Fungo di Borgotaro" comprende il territorio idoneo dei comuni di Borgotaro ed Albareto in provincia di Parma ed il comune di Pontremoli in provincia di Massa Carrara. Tale zona è così delimitata: il confine nord partendo dal crinale spartiacque del torrente Cogena a quota 1413 m.s.m. tra l'Emilia Romagna e la Toscana, la linea di delimitazione prosegue lungo il corso del torrente Cogena fino alla confluenza del fiume Taro - Sul lato ovest - risale il corso del fiume Taro fino alla confluenza con il torrente Gotra (suo affluente di destra) indi lo stesso torrente Gotra, quindi il riolo del lago secco e raggiunge a quota 1140 il crinale spartiacque tra la Liguria e l'Emilia - Romagna. Il confine sud partendo da quota 1140 a monte del rio del lago Secco segue lo spartiacque tra la regione Emilia - Romagna e la Liguria fino al monte Gottero a quota 1639 indi ridiscende al passo della Colla, da cui segue il confine spartiacque tra la regione Emilia - Romagna e Toscana fino al passo dei 2 Santi a quota 1507 prosegue quindi in territorio toscano - seguendo la delimitazione amministrativa tra il comune di Zeri e quello di Pontremoli fino al raggiungimento del torrente Betigna, indi la mulattiera dei Chiosi fino Case Cervi e al cimitero Traverde e da questa località alla confluenza del torrente Mogiola nel fiume Magra, in località Mignano. Il confine est è rappresentato dal corso del torrente Cisavola dalla sua immissione nel fiume Magra in località Molinello fino alla sorgente e da questa raggiunge il passo della Cisa, indi prosegue lungo lo spartiacque tra l'Emilia - Romagna e Toscana e poco a nord del monte Molinatico raggiunge quota 1143. Articolo 4. 1. Le condizioni ambientali dei boschi destinati alla produzione del "Fungo di Borgotaro" devono essere quelle tradizionali della zona: trattamento a taglio raso con rilascio mediamente di 100 matricine ad ettaro per i boschi governati a ceduo o a ceduo composto di faggio, castagno, essenze quercine e miste; trattamento a taglio a saltuario per i castagneti da frutto o da legno governati ad alto fusto: trattamento a tagli successivi per l'alto fusto di faggio, anche proveniente da conversioni di ceduo, tagli colturali secondo le norme previste dalle prescrizioni di massima e polizia forestale per i boschi di alto fusto di conifere. E' pure consentito il trattamento a sterzo per i boschi governati a ceduo di faggio, castagno ed essenze quercine miste al fine di migliorare la produzione fungina ed assicurare migliore protezione del terreno. 2. L'inizio delle operazioni di raccolta deve essere specificatamente autorizzato per un periodo massimo di sessanta giorni, rinnovabile, dagli organi tecnici della regione Emilia - Romagna di concerto con la regione Toscana su proposta dei produttori interessati. 3. Durante le operazioni di raccolta è fatto divieto di: utilizzare per la raccolta dei carpofori uncini, rastrelli ed altri strumenti in legno, ferro, plastica ecc. che possono ledere e danneggiare il micelio fungino o l'apparato radicale delle piante arboree ed arbustive. asportare la lettiera formata da foglie, parti di rametto, erba ecc. marcescenti sul letto di caduta, al fine di evitare il danneggiamento del sottostante micelio; raccogliere carpofori con diametro della cappella inferiore ai 2 cm sempreché non siano concresciuti con carpofori di dimensioni superiori al limite suddetto; utilizzare prodotti ottenuti per sintesi chimica al fine di stimolare la produzione o l'accrescimento dei carpofori; non avvalersi per la raccolta di contenitori di plastica rigidi o a borsa, in quanto non consentono la dispersione eventuale delle spore fungine. Sono consentite, perché favoriscono la produzione fungina, le seguenti operazioni: a) ripuliture del sottobosco in particolare da calluna brugo, erica sp., rovi e similari; b) dispersione dei residui della pulitura di carpofori sul terreno; c) separazione del carpoforo dal micelio per mezzo di torsione manuale o con strumento tagliente, purché non venga leso il micelio. Articolo 5. La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità di cui al precedente art. 4 è accertata dalla Regione Emilia - Romagna di concerto con la regione Toscana. I boschi idonei alla produzione del "Fungo di Borgotaro" saranno inseriti in apposito albo tenuto, attivato, aggiornato e pubblicato dalla camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Parma, di concerto con la camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Massa Carrara per i boschi situati in provincia di Massa Carrara. Sono idonei alla produzione del "Fungo di Borgotaro" i boschi allo stato puro o misto delle seguenti specie: a) latifoglie: faggio, castagno, cerro ed altre specie quercine, carpino, nocciolo, pioppo tremolo; b) conifere: abete bianco e rosso, pino nero e silvestre, pseudotsuga menzienzii governate sia a ceduo, ceduo composto e fustaia sia derivata da evoluzione naturale che da conversione. Anche le aree arbustive, prative, pascolative intercluse o confinanti con i boschi fino ad una distanza di m 100 dal bordo dei boschi, si ritengono atte alla produzione del fungo di Borgotaro in quanto correlato allo sviluppo dell'apparato radicale delle piante. Con Decreto del Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali sentiti gli Enti e organizzazioni interessati saranno emanate norme per la tenuta e l'attivazione dell'albo dei boschi e dei raccoglitori abilitati per la modulistica da adottarsi per le iscrizioni, le denuncie annuali di produzione e le certificazioni conseguenti, ai fini del controllo della produzione riconosciuta e commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta. Articolo 6. Il "Fungo di Borgotaro" all'atto di immissione al consumo deve presentare per tutte le varietà caratteristiche organolettiche specifiche, di cui alla descrizione dell'art. 2 ed in particolare all'olfatto i carpofori devono essere caratterizzati da odore pulito, non piccante e senza inflessioni di fieno, liquerizia, legno fresco. Il fungo fresco deve essere sano, con gambo e cappella sodi sprovvisto di terriccio, foglie ed altri corpi estranei. I carpofori non devono presentare alterazioni infracutanee dovute a larve di ditteri od altri insetti su una superficie superiore al 20%. I carpofori devono presentare superficie liscia, non disidratata ed avere una umidità inferiore al 90% del peso totale oppure un peso specifico compreso tra 0,8 e 1,1 esente da grinzosità dovute a perdita di umidità. Articolo 7. Per l'immissione al consumo i carpofori devono essere possibilmente separati per varietà e devono essere commercializzati in contenitori di legno, preferibilmente di faggio o castagno, dalle dimensioni di 50 cm di lunghezza e 30 cm di larghezza e con sponde basse (padelle) in modo da essere collocati in un unico strato per facilitare i controlli. Al contenitore dovrà essere apposta una retina con inserita fasciatura sigillata in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. Sui contenitori stessi dovranno essere indicati, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni le diciture "Fungo di Borgotaro" e "Indicazione geografica protetta" oltre agli elementi atti ad individuare: nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, data di raccolta, peso netto all'origine, nonché eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo o non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del fungo. Articolo 8. E' fatto divieto di usare, con la denominazione di cui all'art.1 qualsiasi altra denominazione ed aggettivazione aggiuntiva. Articolo 9. Chiunque produce, pone in vendita o comunque utilizza per la trasformazione con la denominazione "Fungo di Borgotaro" un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione è punito a norma degli articoli 515 e 516 del codice penale e dell’Art. 18 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna, Toscana | Parma, Massa Carrara |
Insalata di Lusia Insalata di Lusia IGP Disciplinare di produzione - Insalata di Lusia IGPArticolo 1.
Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Le colture destinate alla produzione dell’Indicazione Geografica Protetta “I.G.P. Insalata di Lusia”, nelle due varietà Cappuccia e Gentile, devono essere costituite da piante della famiglia delle Asteracee, genere Lactuca, specie Sativa, varietà Capitata (denominata Cappuccia) e Crispa (denominata Gentile) I.G.P. Insalata di Lusia: Fusto: molto corto, da 2 a 6 cm, e molto carnoso; su di lui s’inseriscono le foglie di numero, forma, dimensione e colore variabile in funzione dell’andamento climatico; Gusto: fresco e croccante; Carattere essenziale: morbidezza, dovuta all’assenza di fibrosità, accompagnata dalla turgidità anche dopo 10 -12 ore dalla raccolta, assenza di fenomeni di lignificazione; Pianta: il prodotto in serra presenta una struttura più contenuta con grumo leggermente più aperto rispetto alla coltura in pieno campo. A) Cultivar Cappuccia Foglia: compatta e ondulata presenta il margine intero di un colore verde medio brillante che può essere soggetto a sensibili variazioni in relazione all’andamento climatico. Peso medio del cespo: 200/450 grammi; B) Cultivar Gentile Foglia: bollosa con margine frastagliato, di colore verde chiaro brillante che può essere soggetto a sensibili variazioni in relazione all’andamento climatico. Peso medio del cespo: 150/450 gr. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione comprende parte del territorio delle province di Rovigo e Padova vocata per l’ottenimento dell’insalata ed è circoscritta ai seguenti comuni: - Provincia di Rovigo: Lusia, Badia Polesine, Lendinara, Costa di Rovigo, Fratta Polesine, Villanova del Ghebbo e Rovigo; - Provincia di Padova: Barbona, Vescovana e Sant’Urbano. In allegato (n° 1) copia della cartina geografica con evidenziata la zona di produzione. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine L’orticoltura a Lusia è iniziata nei primi anni del 1900, come attività che produceva ortaggi per consumo familiare, anche in ragione delle caratteristiche dei terreni più adatti ai prodotti orticoli che alle colture a seminativo. Una lettera di un produttore dell’epoca ad un’autorità ecclesiastica descrive le condizioni dei terreni negli anni 30, degli orticoltori, e della loro difficoltà nel trattare con i commercianti. Inoltre alcuni quaderni manoscritti da produttori della zona nel 1930, menzionano l’insalata che in quel periodo era usata come termine per indicare in modo generico sia le lattughe sia le indivie. Ma già nel 1933 in quei quaderni compariva la dicitura “Latuga” o “salata” che a quell’epoca come accade ancora tra alcuni produttori d’oggi era intesa come Lattuga Cappuccia. La prima documentazione statistica risale agli anni 50 e coincide con la fondazione della Centrale Ortofrutticola di Lusia. Nei dati statistici del 1956, le insalate compaiono come secondo prodotto (in termini quantitativi) transitato per la struttura, seconda solo alla patata. Negli anni 60 poi, alcuni commercianti di Lusia, che frequentavano il mercato di Verona, notarono la Lattuga Gentile che fu presto introdotta nella maggioranza delle aziende locali; nelle quali, grazie alle favorevoli condizioni pedoclimatiche, vennero ottenuti ottimi risultati quali-quantitativi tanto da indurre i produttori ad iniziare una selezione genetica per migliorare le cultivar e le caratteristiche organolettiche di questa insalata. L’origine del prodotto è comprovata oggi dalla notorietà “provenienza Lusia”, indicazione con la quale il prodotto è conosciuto anche nei mercati diversi da quello di origine. L’origine è inoltre garantita dall’iscrizione dei produttori e dei confezionatori in apposito elenco tenuto dalla struttura di controllo di cui all’articolo 7 i quali devono assicurare la rintracciabilità del prodotto in ogni fase della filiera attraverso: - nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato; - l’iscrizione, per ciascuna campagna produttiva, dei terreni coltivati a “insalata di Lusia” nell’elenco depositato presso la sede dell’Organismo di Controllo; - l’indicazione degli estremi catastali dei terreni coltivati ad “Insalata di Lusia” e, per ciascuna particella catastale, la ditta proprietaria, la ditta produttrice, la località, la superficie coltivata a “insalata di Lusia” distinta per cultivar Cappuccia e cultivar Gentile. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta ESIGENZE DI TERRENO E CLIMA: L’insalata di Lusia deve essere coltivata in terreni con substrato sciolto o franco, caratterizzato da una tessitura piuttosto grossolana che lo rende particolarmente permeabile, e con disponibilità di acqua per l’irrigazione. Pertanto il terreno deve essere costituito da una percentuale di sabbia non inferiore al 30% e da una quantità di argilla non superiore al 20%. PREPARAZIONE DEL TERRENO: Per la preparazione del terreno è obbligatorio effettuare una aratura, per l’interramento sia dei residui colturali della coltura precedente, sia dei concimi usati per la concimazione di fondo, alla profondità di 35 - 40 cm. Successivamente si eseguirà una estirpatura seguita da una fresatura combinata con rullatura per affinare e livellare il terreno creando le migliori condizioni per l’attecchimento delle piantine poste a dimora. AVVICENDAMENTO: Viste le caratteristiche fisico-agronomiche del suolo di Lusia (buona percorribilità e lavorabilità, buona accettazione delle piogge e capacità di ritenzione idrica bassa) nonè obbligatorio alcun tipo di avvicendamento. TRAPIANTO TIPO E SESTO D’IMPIANTO: Tale operazione si effettua utilizzando piantine con 3 - 5 foglie vere dotate di pane di terra e poste in contenitore alveolare. Si adotta il seguente sesto d’impianto: TRA LE FILE SULLA FILA da 30 - 35 cm. da 30 - 35 cm. La produzione dell’insalata di Lusia può avvenire sia in pieno campo, sia in coltura protetta. FERTILIZZAZIONE Le analisi del terreno devono essere eseguite ogni cinque anni. Per azoto, fosforo e potassio la quantità delle unità fertilizzanti da apportare per singolo ciclo colturale va decisa in funzione dell’analisi del terreno e non può comunque superare le seguenti unità per ettaro: Þ AZOTO = 150 Þ FOSFORO = 100 Þ POTASSIO = 200 Risulta indispensabile la stesura di un piano di concimazione eseguito da un tecnico agrario, conservato in azienda e depositato in copia presso l’ente di certificazione. E’ obbligatorio apportare sostanza organica, sotto forma di letame di bovino maturo o composti organici confezionati, per evitarne il depauperamento. Tali apporti per ciclo di coltivazione riferiti ad ettaro di superficie sono pari a 13 tonnellate di letame bovino maturo (azoto 50 u/ha; fosforo 20 u/ha; potassio 80 u/ha) o in alternativa massimo 2,0 tonnellate di composti organici confezionati (con contenuti in azoto compresi tra il 2% e il 3,5%). Vista la permeabilità dei terreni, l’apporto di concimi chimici azotati deve essere frazionato in almeno due interventi di cui quello in pre trapianto non deve superare il 40% della quantità massima da distribuire mentre l’ultimo deve essere effettuato non oltre i 15 giorni seguenti il trapianto. IRRIGAZIONE Si dovrà intervenire, adottando volumi d’acqua ridotti e costanti, una o due volte al giorno dopo la messa a dimora delle piantine e fino al superamento della crisi di trapianto, la cui durata varia in relazione all’epoca di coltivazione e comunque non oltre i 15 giorni dal trapianto stesso. Successivamente si dovranno evitare gli apporti idrici (fatto salvo per periodi eccezionali di siccità) in quanto la presenza di una falda freatica alta tipica della zona, consente alla coltura di sopperire alle normali esigenze idriche. Inoltre, l’intervento irriguo eseguito dopo la crisi di trapianto, oltre ad essere inutile, risulta dannoso in quanto favorisce lo sviluppo di marciumi. Circa il metodo di irrigazione, in alternativa al tipo localizzato a goccia, è preferibile ricorrere all’aspersione a bassa portata che evita il compattamento del terreno. In serra i metodi irrigui consigliati sono quelli localizzati: a goccia e/o manichetta. DIFESA FITOSANITARIA E CONTROLLO DELLE INFESTANTI E’ richiesta una corretta applicazione delle pratiche colturali quali la concimazione, l’irrigazione, la scelta del materiale vivaistico al fine di consentire una riduzione degli attacchi parassitari. Þ si dovranno utilizzare prodotti ammessi dalle vigenti normative e che a parità di principio attivo abbiano la tossicità più bassa; Þ i trattamenti dovranno essere eseguiti con attrezzature in buona efficienza e, in ogni caso, tarati almeno una volta ogni 5 anni; Þ il contenimento delle malerbe può essere effettuato con prodotti chimici (diserbanti) e/o tecniche agronomiche (pacciamatura, false semine). PRODUZIONE E RACCOLTA La produzione unitaria massima per ettaro e per ciclo produttivo è di: - Cultivar Cappuccina ton. 45. - Cultivar Gentile ton. 45. Le operazioni di raccolta devono avere inizio quando i cespi raggiungono un peso non inferiore a 150 gr/ciascuno per la cultivar gentile e 200 gr/ciascuno per la cultivar cappuccia; il periodo intercorrente fra raccolta e conferimento non deve essere superiore alle 6 ore, mentre per chi ha una cella frigorifera l’intervallo tra la raccolta e la commercializzazione può essere di 12 ore. Dopo la toelettatura ed il lavaggio effettuato in azienda, i cespi vanno confezionati e conservati in ambienti freschi. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico La zona di produzione è caratterizzata da terreni sciolti e di medio impasto, con tessitura grossolana, tipica della zona arginale del fiume Adige, che consentono una lavorazione ottimale con qualsiasi condizione climatica, garantendo una buona permeabilità che favorisce lo sgrondo dell’acqua piovana. La falda superficiale di Lusia si trova a un metro di profondità ed è mantenuta costante grazie ad un sistema di canali artificiali. Ne deriva una disponibilità di acqua per tutto l’anno che permette di ottenere in tutte le stagioni una insalata con delle caratteristiche che la rendono tipica della zona di produzione. L’insieme di questi fattori consente di diminuire gli interventi irrigui e di conseguenza la diffusione di marciumi, lasciando intatto il gusto fresco e la croccantezza tipiche della“insalata di Lusia”, che la contraddistingue da insalate prodotte in altri areali. Tale distinguo è evidenziato dalla dicitura “provenienza Lusia” sul prodotto collocato in mercati diversi da quello di origine. La disponibilità di acqua garantita dal fiume Adige, l’altezza della falda freatica e la tessitura del terreno, consentono la coltivazione dell’insalata anche nei periodi estivi (Luglio – Agosto), con ottimi risultati arantendone la presenza sul mercato per 10 – 11 mesi all’anno. Inoltre nel corso di un cinquantennio di coltivazione delle insalate, si sono affinate le tecniche produttive, trovando i giusti equilibri tra fattori climatici ed agronomici. In allegato (n° 2) copia dell’estratto dalla pubblicazione “Cartografia dei suoli e indagini agronomiche in provincia di Rovigo”. Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzioneè svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento (CEE) n. 208/92. Articolo 8. Modalità di confezionamento ed etichettatura Per l’immissione al consumo l’insalata di Lusia che si fregia dell’I.G.P. INSALATA DI LUSIA deve essere confezionata in monostrato utilizzando contenitori di plastica, legno, cartone, polistirolo e altri materiali per alimenti con le seguenti dimensioni esterne di base espresse in centimetri: - 40 x 60 contenenti massimo 12 pezzi per la varietà cappuccia e 18 pezzi per la varietà gentile; - 30 x 50 contenenti massimo 6 pezzi per la varietà cappuccia e 10 pezzi per la varietà gentile. Comunque sarà ammesso l’utilizzo di contenitori per alimenti di diverse dimensioni e materiali in relazione alle esigenze di mercato. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo ed includere soltanto insalata della stessa varietà, della stessa origine, tipo, categoria e calibro. La parte visibile dell’imballaggio deve essere rappresentativa dell’insieme. Gli imballaggi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Sui contenitori deve essere apposta l’etichetta con il logo indicante in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e le diciture “I.G.P. INSALATA DI LUSIA” con specifico riferimento alla varietà (Gentile o Cappuccia). Tale logo è formato dalle lettere “I”(sormontata da un punto di forma ellitica) e “L” i cui lati interni sono di forma concava a formare una cornice ellitica al centro della quale è collocata, in forma stilizzata la torre medioevale di Lusia. Le parti esterna e superiore del logo sono delimitate da una cornice all’esterno della quale, nella parte superiore in zona centrale, è riportata la scritta “I.G.P.. Alla base del logo c’è la scritta “INSALATA di LUSIA” delimitata nella parte inferiore dalla cornice di cui sopra. Caratteristiche logo Tipo di carattere: Scritta “INSALATA di LUSIA” RotisSerif Bold cp. 40,9 – Spazio crenatura – 1,55%em - fattore di scala orizzontale 90% Scritta “I.G.P.” RotisSerif Bold cp. 40,9 – Spazio crenatura – 1,55%em - fattore di scala orizzontale 90% Pantoni del logo: Lettere “i” e “L”, scritte “I.G.P.” e “INSALATA di LUSIA” e bordi della torre: Pantone 348 C (rif. quadricromia) Ciano 100%, Magenta 0%, Giallo 79%, Nero 27%. Torre e cornice: Pantone 368 C (rif. quadricromia) Ciano 11%, Magenta 0%, Giallo 94%, Nero 0%. Il logo “I.G.P. INSALATA DI LUSIA”, già apposto sui contenitori, non potrà essere riutilizzato. Sui medesimi contenitori devono essere altresì riportati gli elementi atti ad individuare: - nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del condizionatore, - la categoria, eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. In ogni caso le indicazioni diverse da “I.G.P. INSALATA DI LUSIA” dovranno avere dimensioni significativamente inferiori di quelle utilizzate per “I.G.P. INSALATA DI LUSIA”. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Rovigo e Padova |
Kiwi Latina Kiwi Latina IGP Disciplinare di produzione - Kiwi Latina IGPArticolo 1.
Articolo 2. Descrizione Frutti della specie botanica Actinidia deliciosa, cultivar Hayward, destinati ad essere forniti allo stato fresco al consumatore. Il frutto ha forma-cilindrica-ellissoidale con altezza superiore al diametro, buccia di colore bruno chiaro con fondo verde chiaro, tomentosità morbida, calice leggermente infossato; polpa verde smeraldo chiaro, columella biancastra, morbida, circondata da una corona di piccoli e numerosi semi neri. I frutti selezionati per la commercializzazione, tenuto conto delle disposizioni specifiche previste per ciascuna categoria e delle tolleranze ammesse, devono essere: interi (ma senza peduncolo); sani, sono comunque esclusi i prodotti affetti da marciume o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo; puliti, praticamente privi di sostanze estranee visibili: sufficientemente sodi, né molli, né avvizziti, né impregnati di acqua: ben formati; sono esclusi i frutti doppi o multipli; praticamente privi di parassiti; praticamente privi di danni provocati da parassiti; privi di umidità esterna anormale: privi di odore e/o sapore estranei. I frutti devono avere un grado di maturazione minimo pari a 6,2°Brix al momento della raccolta e commercialmente sono classificati in due categorie. - Categoria "Extra" peso: > 90 g I kiwi di questa categoria devono essere ben sviluppati e presentare tutte le caratteristiche e la colorazione della varietà. Devono essere privi di difetti, salvo lievissime alterazioni superficiali, che non pregiudichino la qualità e l’aspetto del prodotto o la sua presentazione nell’imballaggio. - Categoria I peso: > 80 g I kiwi di questa categoria devono essere di buona qualità. I frutti devono essere sodi e la polpa non deve presentare difetti. Devono presentare le caratteristiche tipiche della varietà. Tuttavia, sono ammessi i difetti seguenti, purchè non pregiudichino l’aspetto esterno del frutto né la sua conservazione: - un lieve difetto di forma (esclude protuberanze o malformazioni); - un lieve difetto di colorazione. Tolleranze di calibro Nei limiti del 10%, in numero o in peso, il peso dei frutti della categoria extra può variare da 85 a 89 g.; il peso dei frutti della categoria I può variare da 77 a 79 g. Articolo 3. Zona geografica La zona di produzione comprende 24 comuni in due province ( Latina e Roma ). Per la Provincia di Latina n. 9 comuni di cui 7 per l'intero territorio e 2 in parte; per la provincia di Roma n. 15 Comuni di cui 3 in parte e 12 per l'intero territorio. Nella cartografia su base CTR 1:100.000 il perimetro dell'intera zona è marcato in nero grassetto, mentre sono delimitati con reticolo i confini amministrativi comunali. Per i comuni compresi parzialmente, la parte delimitante la zona viene riportata in particolari su base IGM 1:25.000, così da evidenziare i punti del limite, che normalmente è rappresentato da un elemento facilmente individuabile come strade, fossi ecc. La tavola n. 5 riporta i particolari dei comuni di Sabaudia, Latina e Aprilia; la tavola n. 6 i particolari di Ardea e Pomezia, la tavola n. 7 il particolare del Comune di Artena. PROVINCIA DI LATINA 1 ) SABAUDIA (parte) 2 ) LATINA (parte) 3) PONTINIA 4) PRIVERNO 5) SEZZE 6 ) SERMONETA 7 ) CORI 8) CISTERNA DI LATINA 9) APRILIA PROVINCIA DI ROMA 1 ) ARDEA (parte) 2 ) POMEZIA (parte) 3 ) MARINO 4 ) CASTEL GANDOLFO 5 ) ALBANO LAZIALE 6 ) ARICCIA 7 ) GENZANO DI ROMA 8 ) LANUVIO 9 ) VELLETRI 10 ) LARIANO 11 ) ARTENA (parte) 12 ) PALESTRINA 13 ) ZAGAROLO 14 ) SAN CESAREO 15 ) COLONNA Si parte dal vertice sud-ovest e proseguendo in senso orario si ha : incrocio della SS 148 (già strada Mediana) con la Migliara 53 all'altezza di Borgo Vodice; da qui si prosegue verso nord-ovest lungo la SS 148 fino ad incrociare la Migliara 49; dall'incrocio si prosegue verso sud-ovest fino ad incontrare la strada Litoranea, quindi, si prosegue su questa verso nord-ovest lungo la Litoranea; si attraversa Borgo Sabotino e si continua lungo la Strada Alta fino a raggiungere il fosso Astura; si sale lungo l'Astura per circa 400 metri; si taglia trasversalmente "Valle D'Oro" in linea retta immaginaria con direzione ovest fino al confine provinciale Latina-Roma; si prosegue verso N-O seguendo il confine provinciale che delimita prima il Comune di Latina, indi quello di Aprilia da quello di Nettuno. Si prosegue sempre lungo il confine provinciale Roma-Latina fino ad incontrare la Strada Ardeatina; su questa con andamento nord nord-ovest, si attraversa Torre della Moletta, C.le la Fossa, il confine di Ardea-Pomezia, si raggiunge Borgo Santa Rita da dove ci si dirige a Nord fino al Bivio per Pratica di Mare; che si attraversa e si prosegue fino al confine Comunale di Pomezia con Roma; da qui seguendo il confine comunale verso nord-est, si riincontra il confine con Ardea. Si segue questo confine fino allo spigolo nord e ci si collega con il confine Sud-Ovest di Albano; si incontra e si segue con andamento a zeta il confine di Castel Gandolfo e si collega con il confine sinuoso di Marino in direzione dapprima verso Nord poi verso Est e quindi verso Sud ove raggiunge Castel Gandolfo; prosegue su quest'ultimo in direzione Sud-Est fino a riincontrare Albano Laziale; segue questo in direzione Sud-Est fino ad Ariccia, indi in direzione Est, raggiunge il confine di Genzano di Roma che segue in direzione sud sud-est, fino ad incontrare il confine territoriale di Velletri. Da qui si derige verso nord fin dove incontra il confine del comune di Lariano; prosegue lungo questo confine fino a quello di Artena sul quale, in direzione nord, si raggiunge il confine di Lariano e si procede su questo fino ad immettersi sul confine di Palestrina. Incontrato il confine di San Cesareo ne segue l'andamento sinuoso verso ovest; si raggiunge il confine di Colonna e proseguendo verso nord-ovest si riimmette sul confine nord di San Cesareo, fino ad incontrare il confine di Zagarolo. Segue il perimetro di questo verso nord e va ad incontrare il confine del Comune di Palestrina, che segue prima verso nord e continua fino ad incrociare il confine di Artena, lo attraversa e, seguendo lo stradone di campagna, prima in direzione sud e quindi sud-ovest raggiunge il confine di Artena con Lariano. Prosegue verso sud sullo stesso fino ad incontrare il limite provinciale Roma-Latina con il vertice dei Comuni Lariano, Cori ed Artena; prosegue lungo il confine provinciale in direzione sud-est fino al confine comunale tra Norma e Cori, che segue verso sud fino ad incontrare il confine di Cisterna di Latina, che segue in direzione sud-est fino al confine ovest del Comune di Sermoneta che percorre verso sud-est . Prende il confine verso sud-est e percorrendo tutto il semiperimetro nord del Comune di Sezze raggiunge il Comune di Priverno che con andamento prima verso est poi verso sud e sud-ovest incontra il Comune di Pontinia. Percorre tutto il lato est, attraversa la ss 7 Appia e raggiunge il confine di Sabaudia sul Fiume Sisto; da qui si dirige verso nord fino alla migliara 53 che, percorsa in direzione sud-ovest raggiunge sulla SS 148 la rotonda all'altezza di Borgo Vodice da cui si è partiti. Articolo 4. Prova dell’origine La provincia di Latina è stata tra le prime ad ospitare impianti specializzati della coltura dell’actinidia, a partire dai primi anni 70. Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli alla specie hanno consentito un rapido sviluppo della coltura che già alla fine degli anni 70 era diventata un punto di riferimento nazionale per frutticoltori, commercianti e studiosi. Nel 1978 è stato organizzato a Torino il primo convegno sull’actinidia, nel corso del quale la zona dell’Agro Pontino è stata menzionata quale zona italiana particolarmente vocata per la produzione del kiwi, vero e proprio frutto simbolo dell’agricoltura pontina. Nel 1981, a distanza di tre anni, è stato realizzato un secondo convegno a livello nazionale a cura della Camera di Commercio I.A.A. di Latina. A questo si sono susseguiti, ad intervalli regolari, altri convegni, seminari e mostre-mercato, non solo nel capoluogo pontino ma anche a Cisterna di Latina ed Aprilia; tali incontri hanno consacrato la città di Latina e l’intero territorio circostante, compresa la parte meridionale della provincia di Roma, quale rilevante polo produttivo di kiwi in Italia, per buona qualità e pezzatura. L’importanza dell’actinidia laziale (e, dunque, pontina) nell’area frutticola italiana è stata testimoniata anche fuori dai confini nazionali nel corso di un seminario tenutosi a Santiago del Cile il 25 e 26 ottobre 1988: un dato di fatto, questo, già risultato nello "Studio conoscitivo sull’actinidia in Italia", datato 1986 e curato dall’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste cui ha fatto seguito anche una tavola rotonda organizzata dall’ERSAL (Ente regionale di Sviluppo Agricolo nel Lazio) il 22 giugno 1988, a Roma. Inoltre, uno studio condotto nel 1990 dall’Istituto Sperimentale per la Valorizzazione Tecnologica dei Prodotti Agricoli di Milano (Gorini et al., 1987), documentava in modo sperimentale le innegabili caratteristiche del Kiwi di Latina. Nel corso di questi 30 anni, sia la stampa quotidiana sia le riviste specializzate del settore a tiratura nazionale ed internazionale (Il Messaggero, Latina Oggi, Economia Pontina, L’Informatore Agrario, Terra e Vita, Italia Agricola, Lazio Agricolo, Rivista di Frutticoltura, Asiafruit Magazine, solo per citarne alcuni) hanno seguito e dedicato ampi articoli al progressivo sviluppo dell’actinidia nella provincia di Latina, la quale offre un habitat pedoclimatico ottimale e produzioni quanti-qualitative altamente competitive. Nel tempo, inoltre, si è registrato un potenziamento delle strutture di frigoconservazione e di lavorazione dei frutti nonché una metodologia di coltivazione innovativa che ha come conseguenza frequenti visite a Latina da parte di frutticoltori provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo (Corea del Sud, Nuova Zelanda e Giappone). Nella prova di valutazione sensoriale condotta con l’ausilio di un "panel taste", dopo 3 mesi di conservazione frigorifera, i frutti maturi sono stati valutati per il grado di accettabilità che teneva conto dell’aspetto della polpa, del sapore e della sensazione di piacevolezza. I frutti di Latina hanno registrato un grado di accettabilità molto elevato (Gorini et al., 1987). Questa maggiore piacevolezza e sapidità tipica di dolce-acidulo gradevole a completa maturazione deriva dalla combinazione di più fattori favorevoli alla coltura quali clima e suoli molto simili a quelli della zona di origine. E’ noto ed accertato che in alcune zone di Latina Borgo Flora, Borgo Grappa, la bontà dei frutti e lo stato vegetativo delle piante supera quelli di origine. La maggiore radiazione globale e la mancanza o quasi di gelate precoci dà la possibilità di posticipare la raccolta fino alla seconda decade di novembre ed anche oltre, permettendo il raggiungimento nei frutti di un contenuto zuccherino di 6,5-7 gradi Brix. Il maggior grado zuccherino, consentendo l’abbassamento della temperatura di conservazione di alcuni decimi di gradi centigradi, assicura una conservazione, anche in atmosfera normale, di almeno due o tre mesi in più rispetto alla media. Il legame con l’ambiente è comprovato dai seguenti adempimenti cui si sottopongono i produttori e/o confezionatori: iscrizione ad apposito elenco dei produttori di "Kiwi Latina"; catasto di tutti i terreni sottoposti alla coltivazione di "Kiwi Latina"; tenuta di appositi registri di produzione e condizionamento. Articolo 5. Metodo di ottenimento Gli impianti sono realizzati con piante innestate su Franco, di 1 anno di innesto, oppure con piante autoradicate sempre di un anno di moltiplicazione. Le forme di allevamento adottate sono: - il tendone: distanza di impianto 4-5 m x 4-5 m - pergoletta: distanza di impianto 5 m x 3-5 m Il terreno, a seconda della natura fisica, è coltivato nell’interfilare e diserbato lungo il filare, oppure inerbito con taglio periodico della vegetazione erbacea. La dotazione naturale di acqua è integrata dalla irrigazione praticata mediante la tecnica della aspersione o nebulizzazione sottochioma. I volumi irrigui variano da 6000 a 8000 m3/ha/anno. La raccolta del frutto, senza il peduncolo, avviene tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Questa, coincide con un grado Brix superiore al valore di 6.2° e la durezza al penetrometro (con puntale di 8 mm) non inferiore a 6 kg. - La potatura invernale è fatta in modo da lasciare 100-120.000 gemme per ettaro. - Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio si effettua il diradamento che provvede sia ad eliminare i frutti multipli che quelli deformi e con difetti di buccia in modo da lasciare per un totale di 800-1000 frutti per pianta. Il limite massimo di produzione per ettaro deve essere non superiore a 330 quintali. Articolo 6. Rapporto con la zona Clima Il clima è temperato-umido, simile a quello della zona di origine della specie (area della Cina dello Yang Tzechiang) caratterizzato da una temperatura media di 13-15°C, da una minima-media di 8-10°C, da una massima media di 28-30°C e una umidità relativa media, nei mesi estivi, del 75-80%, assenza di gelate precoci che consente di raccogliere i frutti al giusto grado di maturazione (mediamente 6,5° Brix, e, in ogni caso, mai inferiore ai 6,2° Brix) sia per il raggiungimento delle migliori caratteristiche qualitative che per la ottimale conservazione frigorifera fino ai mesi di maggio/giugno e il raggiungimento di un grado zuccherino al consumo non inferiore a 12° Brix, con durezza non superiore a 3 kg misurata con puntale da 8 mm. - Scarsissima incidenza di danni da gelate invernali e primaverili che, in altre aree del Paese, provocano importanti riduzioni della produzione nelle stagioni seguenti non consentendo la continuità di approvvigionamento nel tempo. - Elevata radiazione luminosa globale che caratterizza l’area pontina e consente di raggiungere più precocemente il grado di maturazione ottimale per la vendita. Suolo I suoli dell’area di coltivazione sono di origine alluvionale, vulcanica-rimaneggiata, poggianti su sottosuoli pozzolanici e tufacei caratterizzati da elevata fertilità e si sono dimostrati, da subito, particolarmente adatti alla coltivazione dell’actinidia. Professionalità L’area dove l’Actinidia si è insediata aveva una lunga tradizione di coltivazione dell’uva da tavola, specie che, come l’Actinidia ha un portamento sarmentoso che richiede una struttura di sostegno e una tecnica di coltivazione molto simile. Ciò ha consentito un facile adattamento alle tecniche più idonee alla nuova coltura e l’ottenimento di un prodotto tipico di elevate qualità. Articolo 7. Struttura di controllo Il prodotto sarà assoggettato al controllo di una struttura conforme all’art.10 del Reg. CEE 2081/92 e successive integrazioni e modifiche. Articolo 8. Etichettatura Denominazione "Kiwi Latina". Il marchio ha la forma di un cerchio con al centro la rappresentazione grafica del Colosseo, al cui interno c’è la sezione trasversale dei frutti di kiwi di colore verde smeraldo tipico con semi e columella. Nella corona circolare tra la figura del Colosseo ed il cerchio esterno è riportata la denominazione "KIWI LATINA" di colore verde e in carattere romano in composizione circolare suddivisa in due parti, KIWI in alto e LATINA nella parte bassa della figura. A destra della parola kiwi è raffigurata una coccinella rossa puntata di nero. La rivendicazione dei colori è la seguente: rosso pantone, verde pantone, marrone e nero. Imballaggio: sono gli stessi utilizzati per il commercio nazionale ed internazionale. Il marchio deve essere apposto sulla confezione e può anche essere apposto sui singoli frutti. Il marchio può essere utilizzato solamente dalle ditte che confezionano nell’area di produzione del Kiwi Latina al fine di garantire la tracciabilità ed assicurare i controlli. Articolo 9. Commercializzazione prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la IGP KIWI LATINA, anche a seguito di processi di elaborazione e trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario a condizione che: Il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; Gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della IGP riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Latina, Roma |
La Bella della Daunia La Bella della Daunia DOP Disciplinare di produzione - La Bella della Daunia DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Foggia |
Lenticchia di Castelluccio di Norcia Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP Disciplinare di produzione - Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | cereali | Umbria, Marche | Perugia, Macerata |
Limone Costa d'Amalfi Limone Costa d'Amalfi IGP Disciplinare di produzione - Limone Costa d'Amalfi IGPArticolo 1.
Articolo 2. L'Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone Costa d'Amalfi" designa i limoni prodotti nella zona delimitata al successivo art. 3 del presente disciplinare, riferibili alla cultivar "Sfusato" avente le caratteristiche afferibili all'ecotipo amalfitano. Articolo 3. La zona di produzione del "Limone Costa d'Amalfi" di cui al presente disciplinare comprende: l'intero territorio del comune di Atrani; parte del territorio dei comuni di: Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare. La descrizione del confine è effettuata dall'estremo ovest fino a raggiungere l'estremo est. Il confine sud è individuato dal Mar Tirreno. Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 IV N.O. "Positano": partendo da ovest il confine dell'area interessata dalla coltivazione del "Limone Costa d'Amalfi" inizia con la delimitazione tra la provincia di Napoli e quella di Salerno all'altezza del Mar Tirreno; prosegue incrociando la strada statale Amalfitana n. 163 e quindi devia lungo il sentiero che da P.ta Pantanello porta alla frazione Corvo e, procedendo lungo il sentiero che porta a S. Maria del Castello, giunge al rudere "Il Mandrino" passando al di sotto di monte Gambera e di monte Pertuso, attraverso il colle di Latte. Dal Mandrino esso continua fino alla grotta di S. Barbara, percorrendo il sentiero che attraversa la frazione Nocella, la località Grotte, la località "I Cannati" e il colle "La Serra". Da qui, il confine prosegue fino ad incrociare la strada statale che da Furore porta a Bomerano, e quindi lungo la stessa strada, imbocca il sentiero che giunge a Tovere attraverso le località Pino e Acquarola e giunge in prossimità dell'abitato di Tovere. Di qui prosegue lungo il sentiero che porta al convento di Cospita (carta di Amalfi). Carta I.G.M. n. 197 IV N.E. "Amalfi": dal convento di Cospita, il confine raggiunge la contrada Lucibello, proseguendo lungo le pendici del monte Sorca, e di qui giunge al rudere delle Ferriere, passando al di sopra della località Frassito. Dal rudere procede lungo il sentiero che da Punta d'Aglio porta a Scala e da qui prosegue lungo la via provinciale Scala-Ravello, fino all'altezza della Madonna della Pomice (carta di Nocera Inferiore). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 111 S.E. "Nocera Inferiore": a partire dalla via provinciale, all'altezza della Madonna della Pomice, il confine procede lungo la delimitazione tra i comuni di Ravello e Minori e, quindi, all'altezza di C.se Ciaramello, prosegue lungo il sentiero che porta a Paternò S. Elia, passando sotto Punta Mele, attraversando il vallone Capo d'Acqua e Vitagliano. Da qui procede lungo il sentiero che conduce a Polvica di Tramonti, attraversando la contrada Casale, la frazione Carbonaro, S. Caterina e Zamafaro, fino ad arrivare all'abitato di Figlino e quindi a Polvica. Da qui procede lungo la via comunale per la frazione Torina attraversando Forno Vecchio e Cardamone. Esso prosegue per un breve tratto lungo il sentiero che dalla località Gete sfiora la località Pendolo ed arriva al di sotto di Colle Vigne, sfiorando Pizzolungo e la località Mandrino. Esso prosegue fino al Vallone di Vecite, incontrando la località Macchione, passando tra il Vallone dei Fuondi e le vene di S. Antonio (carta di Amalfi). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 IV N.E. "Amalfi": partendo dal vallone Vecite (carta di Nocera Inferiore), il confine costeggia Paternoster, il colle Pascullo, colle La Misericordia, la località S. Maria, le Vene del Suono, passando al di sopra della località Badia, e al di sotto di Grotta Piana e monte Pertuso. Da qui discende al di sotto del monte "l'Uomo a cavallo", costeggia il vallone S. Nicola, la località Falanca, fino a S. Maria del Popolo. Prosegue passando in prossimità della sorgente Cannello tra la località Simicella e San Gineto, fino alle falde del monte Falerio (carta di Pastena). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 I N.O. "Pastena": il confine segue il sentiero che passa tra il monte Falerio ed il monte Collo (carta di Salerno). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 185 II S.O. "Salerno": il confine segue il sentiero che passando al di sopra della località Manganala, sfiora l'abitato di Albori, prosegue al di sotto di Poggio Pianello e arriva alla frazione S. Vincenzo. Di qui segue la via comunale per Dragonea e, quindi, all'altezza della frazione Padovani, continua lungo il vallone fino all'incrocio con la strada statale n. 18, all'altezza della frazione Molina, continuando lungo la suddetta strada fino alla via comunale che da Vietri sul Mare porta alla frazione Marina e di qui alla Torre della Cristarella e, quindi, al Mar Tirreno. Articolo 4. Il sistema di coltivazione deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona, fortemente legato ai peculiari caratteri orografici e pedologici. Le unità colturali tipiche prevalenti sono costituite da terrazzamenti inglobati in muretti di contenimento (macere). I sesti e le distanze di piantagione ed i sistemi di potatura dei limoneti di cui al presente disciplinare sono in uso tradizionale della zona. La forma di allevamento è riconducibile ad un vaso libero, detta localmente "cupola", adattata ad un idoneo sistema di copertura. È facoltà degli organi tecnici regionali ammettere anche forme di allevamento diverse, nel rispetto comunque delle specifiche caratteristiche di qualità del prodotto descritte nel successivo art. 6. La tecnica tradizionale di produzione consiste nel coltivare le piante sotto impalcature di pali di legno, preferibilmente di castagno, (di altezza non inferiore a cm 180), utilizzando eventualmente coperture di riparo dagli agenti atmosferici avversi e per garantire una scalarità di maturazione dei frutti. La densità di impianto non dovrà essere superiore ad 800 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre, in funzione del conseguimento delle caratteristiche qualitative di cui al successivo art. 6 e delle particolari richieste del mercato in tale periodo. Tuttavia, in considerazione soprattutto dell'andamento climatico dell'annata, la regione Campania si riserva di modificare tali date con proprio provvedimento. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano; va impedito il contatto diretto dei limoni con il terreno. La produzione massima consentita di limoni per ettaro ammessa a tutela non deve superare le 25 tonnellate in coltura specializzata o promiscua (in tal caso si intende la produzione ragguagliata). I limoni raccolti devono presentarsi sani, indenni da attacchi parassitari, come per legge. Articolo 5. Gli impianti idonei alla produzione dell'I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" sono iscritti nell'apposito albo attivato, tenuto e aggiornato dalla regione Campania, direttamente attraverso i propri uffici competenti per territorio o attraverso organismi conformi alle norme EN 45011. Gli organi tecnici sono tenuti a verificare, anche attraverso opportuni sopralluoghi, i requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo di cui sopra. Entro dieci giorni dalla data indicata di fine raccolta deve essere presentata, all'organismo che detiene l'elenco, la denuncia finale di produzione dell'anno. Durante il periodo della raccolta, il predetto organismo può rilasciare, su conformi denuncie di produzione, parziali ricevute di produzione. Articolo 6. Il prodotto ammesso a tutela, all'atto dell'immissione al consumo o quando è destinato alla trasformazione, deve avere le seguenti caratteristiche: - forma del frutto: ellittico-allungata; lobo pedicellare lievemente prominente, con area basale media; - dimensioni: medio-grosse, peso non inferiore a 100 grammi; i limoni con peso inferiore a 100 grammi, ma in possesso delle altre caratteristiche di cui al presente articolo, possono essere destinati alla trasformazione; - peduncolo: di medio spessore e lunghezza; - attacco al peduncolo: forte; - umbone (apice): grande e appuntito; - solco apicale: quasi assente; - residuo stilare: assente; - colore della buccia: giallo citrino; - buccia (flavedo e albedo): di spessore medio; - flavedo: ricco di olio essenziale, aroma e profumo forte; - asse carpellare: rotondo, medio e semipieno; - polpa: di colore giallo paglierino; - succo: abbondante (resa uguale o superiore al 25%) e con elevata acidità (non inferiore a 3,5 gr/100 ml). Articolo 7. L'immissione al consumo dell'I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" deve avvenire secondo le seguenti modalità. Il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, con capienza da un minimo di 0,5 kg fino ad un massimo di 15 kg, realizzati preferibilmente con materiale di origine vegetale. Sono ammessi anche contenitori rigidi di cartone. Sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime, devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: a) "Limone Costa d'Amalfi" e "Indicazione Geografica Protetta" (o la sua sigla I.G.P.); b) il nome, la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda confezionatrice o produttrice; c) la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti. Dovrà figurare, inoltre, il simbolo grafico relativo all'immagine artistica del logotipo specifico ed univoco da utilizzare in abbinamento inscindibile con l'Indicazione Geografica Protetta. Il simbolo grafico è costituito da un limone affogliato che è posto sul lato sinistro di un doppio cerchio che racchiude su uno sfondo giallo la scritta di colore nero Limone Costa d'Amalfi. All'interno del doppio cerchio vi è il profilo della costa, da Maiori fino a Capo Conca, mentre in primo piano vi è un cespuglio di macchia mediterranea. Il limone e lo sfondo sono di colore giallo pantone CV, mentre le foglie del limone, il cespuglio r la seconda linea di colline sono di colore verde pantone 369 CV, la prima e la terza linea di colline sono di colore verde pantone 349 CV, il mare di colore blu pantone 301CV ed il cielo azzurro pantone 297 CV. Dovrà figurare, inoltre, la dizione "prodotto in Italia" per le partite destinate all'esportazione. I prodotti elaborati, derivanti dalla trasformazione del limone, possono utilizzare, nell'ambito della designazione degli ingredienti, il riferimento al nome geografico "Costa d'Amalfi" a condizione che rispettino le seguenti condizioni: 1) i limoni utilizzati per la preparazione del prodotto siano esclusivamente quelli conformi al presente disciplinare; 2) sia esattamente indicato il rapporto ponderale tra quantità utilizzata della I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" e quantità di prodotto elaborato ottenuto; 3) l'elaborazione e/o la trasformazione dei limoni avvenga esclusivamente nell'intero territorio dei comuni individuati all'art. 3 del presente disciplinare; 4) venga dimostrato l'utilizzo della I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" mediante l'acquisizione delle ricevute di produzione, rilasciate dai competenti organi della regione ai sensi dell'art. 5 del presente disciplinare, e la annotazione sui documenti ufficiali. Il controllo del corretto utilizzo dalla I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" per i prodotti elaborati e/o trasformati potrà essere delegato dall'organismo di controllo al consorzio di tutela e valorizzazione che ne faccia richiesta. Alla Indicazione Geografica Protetta, di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivo: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari. È tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l'Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, utilizza per la trasformazione o comunque distribuisce per il consumo, con la I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi", un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, è punito a norma di legge. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Limone di Rocca Imperiale Limone di Rocca Imperiale IGP Disciplinare di produzione - Limone di Rocca Imperiale IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7. Controlli e struttura di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale) – Via N. Sauro, 2– 40121 Bologna (BO), - Tel. 051-272986; Fax 051-232011; e-mail: icea@icea.info – www.icea.info Articolo 8. Etichettatura e Logo 8.1 Confezionamento L’ IGP «Limone di Rocca Imperiale» è immesso al consumo nelle seguenti confezioni: 1. in contenitori e/o vassoi di: legno, plastica e/o cartone; 2. in sacchi retinati di peso massimo di 5 Kg. 3. bins alveolari. Per ognuna di queste confezioni è ammessa la bollinatura di ogni singolo frutto. 8.2 Etichettatura La confezioni recano obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili: 1. La denominazione IGP «Limone di Rocca Imperiale» e il Logo più avanti descritto, con caratteri superiori a quelli delle altre diciture presenti in etichetta; 2. Il simbolo comunitario della IGP; 3. Il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e/o confezionatrice; 4. La categoria commerciale di appartenenza “Extra” , “I” e “II”. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. 8.3 Logo Il Logo risulta composto, come da figura sotto riportata, da due cerchi concentrici con in mezzo la scritta “Limone di Rocca Imperiale” su uno sfondo verde. Il cerchio più piccolo, con sfondo azzurro, è completato dalla denominazione IGP e dalla rappresentazione di un frutto di limone di colore giallo con una sola foglia verde. Il font scelto, Friz Quadrata Std, è un carattere tipografico sobrio, con grazie presenti ma poco marcate, a testimoniare il giusto equilibrio tra l’ufficialità del logo e la sua modernità e vicinanza al consumatore. I colori rievocano quelli associati all’accezione di natura e naturale: il giallo, il colore del limone e dei caldi raggi solari; il verde, il colore delle foglie degli alberi; e l’azzurro del cielo e del mar Mediterraneo, poco distante dal territorio d’origine del prodotto. Il logo si potrà adattare alle varie declinazioni di utilizzo. Il limite massimo di riduzione del marchio è mm 10 di base. Font Utilizzato 1. Friz quadrata std medium 2. Friz quadrata std bold Colori: 3. Verde 4. Verde scuro 5. Verde chiaro C=85,94 M=29,3 Y=82,42 K=13,67 C=100 M=0 Y=100 K=50 C=50 M=0 Y=100 K=0 6. Giallo 7. Giallo scuro 8. Giallo chiaro C=0 M=0 Y=100 K=0 C=0 M=17,65 Y=100 K=0 C=0 M=0 Y=56 K=0 9. Azzurro sfumato Le gradazioni dello sfumato vanno da: C=98,04 M=84,31 Y=0 K=0; a: C=89,8 M=20 Y=0 K=0; a: C=8,63 M=2,35 Y=1,96 K=0 | I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Cosenza |
Limone di Siracusa Limone di Siracusa IGP Disciplinare di produzione - Limone di Siracusa IGPArticolo 1.
Articolo 2. Descrizione del prodotto L’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” è riservata alla cultivar popolazione “Femminello di Siracusa”, riferibile alla specie botanica Citrus limon (L) Burm. coltivata in impianti specializzati nel territorio della Provincia di Siracusa definito nel successivo art.3, rispondenti ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare. In particolare, i dati caratterizzanti le tipologie di frutto a seconda delle epoche di raccolta, sono le seguenti: Primofiore sono così sono intesi commercialmente secondo la consuetudine locale i frutti raccolti da settembre ad aprile che rispondono alle seguenti caratteristiche: Colore della buccia: da verde chiaro a giallo citrino; Forma ellittica; Pezzatura: da media a grossa; Peso dei frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: di colore verde chiaro o giallo citrino; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 25% e con acidità >5%; Semi: presenti o assenti. Bianchetto o Maiolino (o limone primaverile) Colore della buccia:giallo chiaro; Forma ellittica o ovoidale; Pezzatura: grossa; Peso frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: di colore giallo; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 25% e con acidità >4,5%; Semi: presenti o assenti. Verdello (o limone d’estate): Colore della buccia: verde chiaro; Forma ellittica- sferoidale; Pezzatura: medio-grossa; Peso frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: giallo; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 20% e con acidità >4,5%; Semi: in massima parte abortiti. Articolo 3. La zona di produzione La zona di produzione e di confezionamento dell’I.G.P. “Limone di Siracusa” comprende, in Provincia di Siracusa, in tutto o in parte il territorio amministrativo dei comuni di: Augusta, Avola, Floridia, Melilli, Noto, Priolo Gargallo, Rosolini, Siracusa, Solarino, Sortino. La zona di produzione inizia sul versante est nel porto Grande di Siracusa prosegue verso ovest, comprendendo l’abitato di Belvedere, attraversando il territorio del Comune di Priolo Gargallo, Melilli ed Augusta, sino a lambire il territorio di Sortino; a ovest interessa i Comuni di Solarino, Floridia, Siracusa; a sud Avola, Noto e Rosolini. Confina nel suo insieme a nord con parte del territorio di Augusta, a est con parte del territorio di Augusta, Melilli e con il Mar Ionio, a sud con il territorio del Comune di Pachino, a ovest risalendo con parte del territorio dei Comuni di: Rosolini, Noto, Avola, Siracusa, Canicattini Bagni, Floridia, Palazzolo Acreide, Solarino, Sortino, Priolo Gargallo, Melilli, e Augusta. Partendo dal versante nord-est, l’area interessata alla coltivazione del “Limone di Siracusa”, inizia dallo sbocco sul Porto Grande di Siracusa, del Canale Pisimotta fino all’intercettazione della via Elorina (SS 115) che percorre verso nord fino all’incrocio con via Columba. Prosegue verso nord su tale via fino ad immettersi nella S.S. n°124 (in direzione Floridia). La percorre fino all’incrocio con la strada provinciale n°77 Fusco-Tremilia-Grottone; la risale per 350 m. fino ad intercettare il canale comunale di contrada Canalicchio, percorrendola verso nord fino ad incontrare il canale Galermi . In direzione ovest si percorre il Canale Galermi fino ad incontrare la S.P. n°46 Siracusa–Belvedere–Carancino all’altezza dell’incrocio ubicato a quota 118. Il limite percorre la SP in direzione Belvedere, supera l’ingresso al Castello Eurialo e svolta alla prima carrabile sulla destra per Targia. La percorre verso est, fino ad intercettare a quota + 109 le Mura di Dionisio, discende lungo le stesse fino ad incontrare a quota + 31, rispettivamente la carrabile predetta e la strada statale 114. Prosegue per la S.S. 114, fino alla stazione ferroviaria di Targia. Segue la linea ferrata in direzione nord, fino alla stazione di Castelluccio Siculo. Lasciata la stazione, il confine dell’area procede verso sud lungo la strada che partendo da quota + 36, arriva fino a quota + 94. Da questo punto svolta ad ovest sulla strada Villasmundo-Brucoli-Arcile, fino ad intercettare la S.S. 114 al Km 125,500. Discende lungo la S.S. 114 in direzione Siracusa, fino al Km 135, in corrispondenza dell’intersezione con il Torrente Cantera, prosegue lungo il Torrente Cantera fino a quota + 29. Il confine dell’area delimitata risale verso nord-ovest, lungo la S.P. 96 Augusta-Melilli, fino a intercettare la S.P. 2 “S. Catrini-Passo di Vè”, che viene percorsa in direzione ovest, per tutto il suo tracciato fino all’incrocio con la S.P. 95 Lentini-Priolo. Quest’ultima viene percorsa fino al centro abitato di Priolo. Si prosegue sulla S.P. 25 Priolo-Floridia, fino all’incrocio con la S.P. 46 Siracusa-Belvedere-Carancino, dove si interseca con il Canale Galerni. La linea di delimitazione segue il canale Galermi, nella vallata dell’Anapo, fino a raggiungere il suo limite estremo nel punto di intersezione col tracciato della ferrovia in disarmo Siracusa-Vizzini a quota +138. Discende lungo il vecchio tracciato della suddetta ferrovia, lungo il fiume Anapo, fino a M. Isola Mola a quota +115; percorre quindi la strada carrabile che si collega con la SP N°28 Solarino-Fusco-Sortino a quota +146 presso le Case Don Vito. Si percorre la S.P. in direzione Solarino fino a quota +152 nel punto di intersezione con la linea di confine del Comune di Solarino. La linea di perimetrazione continua verso ovest lungo il confine comunale di Solarino fino alla quota +205, prosegue sulla curva di livello in direzione sud fino ad incontrare la SP N°78 “Balatazza-Trigona” che percorre in direzione Solarino fino all’incrocio con la SP N°28 Solarino-Fusco-Sortino. Da questo punto discende lungo il tracciato in disarmo della ferrovia “Siracusa-Fusco-Vizzini” fino alla località “La Masseria”, percorre la strada carrabile in direzione sud-ovest fino ad immettersi sulla S.S. 124. Prosegue in direzione Solarino lungo la stessa, oltrepassa il cimitero, svolta a sinistra costeggiando lo stesso, e risale lungo la strada carrabile Macchiotta fino ad incontrare a quota +150 il limite comunale di Floridia, coincidente con Cava Culatello – Cirino. Si percorre il predetto confine fino ad intercettare la Cava Spampinato a quota +201. La linea di perimetrazione ridiscende verso est fino ad intercettare a sud l’acquedotto comunale di Solarino percorrendolo fino al serbatoio in località Cozzo Su Cola, prosegue sull’acquedotto in direzione di Canicattini Bagni, oltrepassa il confine tra Siracusa e Floridia, segue la linea dell’acquedotto fino ad intercettare il confine tra Siracusa e Canicattini Bagni in contrada Passetti. Prosegue verso sud lungo la linea di confine comunale fino ad intercettare la S.P. n°74 Floridia-Canicattini Bagni, in contrada Monasteri. Si percorre la S.P. n°74 in direzione Floridia fino ad incontrare la quota + 204 seguendo il crinale di Cugno Balio e Cugno Trappetazzo, fino ad incrocio con la strada "Diego Canicattini Bagni", si discende fino al vallone Cavadonna, che si risale per un breve tratto (m.100 circa) fino al congiungimento con la curva di livello di quota + 154. La delimitazione procede in direzione sud-est fino ad intercettare al Km.12,500 la S.P. 14 “Fusco-Canicattini Bagni-Passo Ladro”, prosegue verso ovest parallelamente ad essa fino al km.12 per continuare verso sud fino a raggiungere la linea di confine Siracusa-Noto presso il torrente Moscasanti. Da questo punto si prosegue lungo la linea del predetto confine comunale fino alla foce del fiume Cassibile di Cava Grande. Dalla foce del fiume Cassibile si risale il corso del fiume in direzione nord-ovest fino al vertice dei confini comunali di Siracusa, Noto e Avola: da qui svoltando a destra si segue la strada vicinale “Palazzetti” fino ad incrociare la strada vicinale “Tangi”; successivamente si incontra la strada comunale Uzzo-Cugno di Fazio; da qui, seguendo il confine tra il foglio di mappa catastale 10 e il foglio di mappa catastale 20 si arriva alla strada vicinale “Rosciola” che si segue attraversando il fosso “Rosciola”, “Cava l’Unica” (o Cava dell’Umbra) fino ad arrivare alla “Cava Carrubeto”. Attraversata la cava, si segue la strada vicinale “Carrubeto” fino al congiungimento con la strada vicinale “Mandalà – Petrara”; svoltando a destra si prosegue fino ad arrivare alla “Cava Bugliola”, ed oltrepassatola, percorrendo la strada vicinale dei “Mulini”, si arriva alla strada provinciale n°4 “Avola-Manghisi” al km.2. Svoltando a destra, si percorre la S.P. N°4 per km.1 in direzione Avola Antica e si arriva alla prima curva a gomito. A sinistra ci si immette nella stradella interpoderale che collega la S.P. 4 al Torrente Pisciarello. A questo punto si segue il corso del Torrente Pisciarello fino alla confluenza con il Torrente Talibelli. Si risale il corso del Torrente Talibelli fino ad incrociare la strada vicinale Cifaleo e giunti al bivio con la strada vicinale Seggio-Piano della Pace si svolta a destra e dopo 0,4 km circa ci si immette nella SP N°15 “Avola-Bochini-Noto”. Si procede in direzione Noto per circa 3 km e, dopo aver oltrepassato la strada per “Cozzo Meti”, arrivati al punto quotato 135 m. slm, ci si immette a destra nella strada vicinale “Oscuro”. Da cui, dopo aver attraversato il Torrente S. Giovanni (diventata strada comunale) si arriva al centro abitato di Noto, giungendo alla S.S. 287. Si svolta a destra e si procede lungo la S.S. 287 (via dei Mille) in direzione S. Giovanni; arrivati alla circonvallazione di Noto, si svolta a sinistra percorrendola in direzione della S.S. 115 Noto – Rosolini fino all’incrocio con la S.P. n°64 “Noto Antica – Burlò – S. Maria della Scala – Noto”. Si svolta a destra e ci si inoltra attraversando C.da S. Caterina, la Cava del Ferraro, Case Hernandez (a valle della strada), si attraversa il fiume Asinaro e si arriva all’incrocio con l’acquedotto di Pachino e la strada comunale “Schifazzo-Mazzara”. Si gira a sinistra e percorrendo la strada comunale in direzione sud si arriva alla S.P. 24 “Noto-Testa dell’Acqua al km. 25,2 si svolta a destra e si procede in direzione Palazzolo Acreide per circa km.1; quindi si svolta a sinistra imboccando la strada comunale “Renna – Panatanello – Serra del Vento” in direzione del Torrente Tre Fontane. Dopo aver attraversato il Torrente Tre Fontane e il Fiume Gioi, s’incrocia la strada consortile Torresana; si svolta a sinistra e la si percorre fino a lambire il Fiume Gioi, si gira a destra e si procede verso la strada comunale Fontanella – Molisena – Portelle. Si svolta a sinistra (imboccando la strada comunale Fontanella - Molisena – Portelle) in direzione contrada Valle Vascelli; si procede sino alla S.S. 115 Noto – Rosolini al km.370,4. Si percorre la S.S. 115 in direzione Rosolini per km.1,2 giungendo all’incrocio con la strada comunale Ponte Vecchio – Tre Maiali; girando a destra, si percorre la strada comunale per km.1,2 fino ad incrociare la S.P. 18 Giarratana – Castelluccio – Noto al km.0,6. Si svolta a destra e si percorre la S.P. 18 in direzione di Cozzo Carialo per km.2 giungendo al bivio con la strada consorziale Renna – S. Carialo; si svolta a destra e percorrendo la strada consorziale, la strada comunale Enna – Panatanello – Serra del Vento, ed infine la strada vicinale Renna – Sriula arrivando alla cava Lentini – Renna Alta (o Cava Bottali). Seguendo la cava si ritorna sulla S.P. in direzione Castelluccio per km.2,7 fino ad incrociare la Cava – Strada dell’Asino. Si gira a sinistra e si percorre la stradella che delimita il foglio di mappa catastale 222 di Noto fino ad arrivare al Fiume Tellaro. Si segue il corso del fiume (limite di comprensorio tra il territorio di Noto e Rosolini) fino ad incrociare la cava Scorzone, e da qui si percorre la stradella interpoderale di modo che rimanga a sinistra l’ex feudo del Prainito; si attraversa la S.P. 17 Ritillini – Favarotta e si prosegue fino alla cava del Prainito. Da questo punto si segue il confine amministrativo tra la provincia di Siracusa e Ragusa fino alla cava di Scalarancio prima e alla strada Carbonarella poi (punto quotato 210 m. slm). Si percorre detta strada in direzione Rosolini, fino alla S.S. 115 all’altezza dell’Hotel Europa (km.362,2). Si svolta a destra lungo la S.S. 115 fino al Ponte Cipolla (confine amministrativo tra le Province di Siracusa e Ragusa) (S.P. N°56 Agliastro – Bimmisca) in direzione S.E. fino al confine tra i fogli di mappa catastale n°396 e n°403 di Noto. Si gira a sinistra percorrendo la S.P. N°56 e poi la strada comunale Bommiscuro-Agliastro fino ad incrociare la S.P. 26 Rosolini – Belliscala – Pachino al km.8,4; si svolta a destra e si percorre la SP 26 Rosolini – Belliscala - Pachino in direzione Pachino, arrivando alla S.P. N°19 Noto – Pachino al km.16,9. Si gira a sinistra verso Noto fino al km.13,8, al quadrivio S.P. 19, Strada comunale Baroni – Maccari – S. Lorenzo Nuovo e la Strada Comunale Scirbia – Terreni Nuovi – Reitani – Marzamemi, si svolta a destra, e percorrendo la strada comunale Scirbia – Terreni Nuovi – Reitani – Marzamemi in direzione nord-est, si arriva al mare Ionio. Seguendo la costa in direzione nord si chiude la zona perimetrata al punto di inizio coincidente con il Porto Grande di Siracusa. Articolo 4. Origine del prodotto in relazione alla zona geografica Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata e documentata. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei coltivatori-produttori e dei confezionatori, nonché la tenuta di registri di produzione e confezionamento, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Qualora l’organismo di controllo verifichi delle non conformità, anche solo in una fase della filiera produttiva, il prodotto non potrà essere commercializzato con l’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa”. Articolo 5. Il sistema di coltivazione Il sistema di coltivazione deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli atti a mantenere un perfetto equilibrio e sviluppo della pianta oltre ad una normale aerazione e soleggiamento della stessa. La densità di piantagione massima è di 400 piante per ettaro. Per impianti esistenti ed in fase di produttività decrescente è ammessa una densità fino ad un massimo di 500 piante per ettaro. Per i sesti dinamici la densità massima ammessa è di 850 piante per ettaro. I portinnesti sono i seguenti: “Arancio amaro”, “ Poncirus trifoliata “, “Citrange Troyer”, “Citrange Carrizo” e “Citrus macrophylla”, dotati di alta stabilità genetica. Le operazioni colturali, per la gestione tecnica convenzionale e le modalità di raccolta, devono essere quelle previste dalla “Normale Buona Pratica Agricola”. Queste norme, per il limone, si riferiscono alla gestione del suolo, agli interventi di concimazione (non oltre 250 kg/ha di N, 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O), all’irrigazione (metodi a localizzazione dell’area bagnata), alla difesa (“difesa guidata” basata sul concetto di “soglia economica d’intervento”). La produzione dell’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” può avvenire da impianti condotti con il metodo di coltivazione: a) convenzionale: che è quello in uso nella zona, con l’osservanza delle norme di “Normale Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana; b) integrato: con produzione ottenuta mediante l’osservanza delle norme tecniche previste dal Disciplinare della Regione Siciliana in adozione dei Regolamenti comunitari in materia agroambientale; c) biologico: in osservanza del Reg Ce 2092/91 e successive modifiche ed integrazioni Articolo 6. La raccolta La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano. Il distacco dei frutti deve essere effettuato con l’ausilio di forbicine di raccolta per il taglio del peduncolo. La raccolta va fatta direttamente dalla pianta secondo i metodi tradizionali ad un livello di sviluppo dei frutti tale da garantire la buona qualità organolettica ed estetica degli stessi. E’ ammesso che il colore dei frutti sia variabile in funzione delle condizioni pedo-climatiche, in funzione delle varie fioriture e della particolare epoca di raccolta. La produzione massima consentita di limoni è fissata in q.li 550 per ettaro per l’intera campagna di produzione comprendente i frutti di tutte le fioriture. L’annata agraria inizia il 01/09 e termina il 31/08 dell’anno successivo. Articolo 7. Legame con l’ambiente Il limone, che in inverno subisce soltanto un leggero rallentamento del suo metabolismo, è specie molto sensibile al freddo, mentre rispetto ad altri agrumi è piuttosto resistente alle alte temperature. Per questi motivi la coltivazione del limone è diffusa lungo la fascia costiera della Sicilia ed in alcune limitate aree comprese nelle valli dei corsi d’acqua che solcano la provincia di Siracusa dal Porcaria (a nord) fino al Tellaro, trovando le più favorevoli condizioni sui versanti esposti a sud. La temperatura è il principale fattore climatico che limita la coltura limonicola. Dall’analisi dei valori medi annui delle temperature rilevate nella pianura costiera di Siracusa è possibile evidenziare che l’ambiente siracusano presenta condizioni di clima temperato da ottobre a marzo ed arido da aprile a settembre. La temperatura media annua è di 18-19°C, la media delle massime nel periodo estivo non supera la soglia di 31°C, mentre quella delle minime dei mesi più freddi (gennaio e febbraio) non scende al di sotto di 8-9°C. Dopo la temperatura, l’acqua è il fattore limitante più importante nei riguardi della coltura del limone. In effetti gli agrumi si sono estesi fuori della loro area naturale nelle zone ove l’inverno non è molto freddo ed anche con pluviometria inferiore ai 50 millimetri annuali, attraverso l’intervento costante dell’irrigazione. Del resto, l’abbondanza di acqua è stato sicuramente l’elemento decisivo nella scelta di stanziarsi in questo territorio fatto dai popoli preistorici e dai Siculi prima, dai colonizzatori greci poi, e per ultimo, con un balzo di quasi 3000 anni, dai grandi gruppi industriali nel secolo scorso. L’umidità atmosferica ha un ruolo importante nella determinazione della qualità dei frutti di limone: un’atmosfera mediamente umida consente di ottenere frutti più succosi, di forma regolare e di buccia fine. Rispetto al suolo, il limone nella costa ionica siracusana viene coltivato principalmente in terreni appartenenti al gruppo dei suoli bruno-calcarei, i quali poggiano su substrati di calcari e calcari dolomitici, ed al gruppo dei suoli alluvionali presenti lungo i depositi alluvionali dei corsi d’acqua. Infatti, nel Siracusano i terreni sono dotati di ottima fertilità, sono più o meno profondi e ben dotati di elementi nutritivi e di sostanza organica. La Sicilia annovera una storica tradizione nella coltivazione degli agrumi ed il rispetto delle antiche tradizioni nella coltivazione di queste piante, tramandata di generazione in generazione continua ancora oggi nel siracusano, dando vita ad una vera e propria scuola di specialisti nella coltivazione del “Limone di Siracusa”. Nelle campagne Iblee si riservavano nuovi spazi ai giardini delle ville in costruzione, concettualmente diverse da quelli delle masserie, nelle quali il giardino, esclusivamente produttivo, era posto a lato e chiuso con un cancello e alte mura. Nei più raffinati giardini delle ville suburbane di Siracusa e di Noto, gli aranci ed i limoni erano valorizzati per le qualità estetiche ed utilitaristiche. Dei numerosissimi "giardini di delizia" settecenteschi, ormai scomparsi, resta solo il ricordo di piccoli paradisi orientali, talora nobilitati dal lavoro di ricerca e di interesse alle novità botaniche dei colti proprietari. Per questi motivi il “Limone di Siracusa” mantiene un profondo legame con l’ambiente che si evidenzia in tutta la filiera del prodotto. Articolo 8. Il confezionamento I frutti che si fregiano dell’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” devono essere commercializzati allo stato fresco nelle categorie Extra e Prima, secondo quanto disposto dalle norme comuni di qualità. I calibri ammessi sono: 3,4,5. E’ obbligatorio indicare a caratteri leggibili e visibili su almeno uno dei lati dell’imballaggio, mediante stampatura diretta indelebile o mediante etichetta integrata nel collo o solidamente fissata ad esso: varietà, origine, categoria, calibro, lotto. Per le merci spedite alla rinfusa, caricate direttamente su un mezzo di trasporto, tali indicazioni devono essere riportate su un documento che accompagna la merce o su una scheda collocata in modo visibile all’interno del mezzo di trasporto (Reg. Ce 2200/96 art. 5). Nella fase di vendita al minuto, le indicazioni previste per la marcatura devono essere presentate in modo chiaro e leggibile. Per i prodotti presentati in imballaggi preconfezionati a norma della direttiva 79/112/Ce deve essere indicato il peso netto, oltre a tutte le menzioni previste dalle norme. Per i frutti venduti a pezzo è obbligatoria la bollinatura di almeno il 50 % di essi. Gli imballaggi utilizzabili devono essere nuovi. I materiali ammessi sono: cartone, legno, plastica. E’ ammesso l’uso di imballaggi in plastica a noleggio, riciclabili. Le confezioni ammesse sono: reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. Ogni imballaggio ed ogni confezione devono riportare il logo del “Limone di Siracusa”. Articolo 9. I controlli L’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione sarà controllata da un organismo di controllo autorizzato, in conformità all’Art. 10 del Reg. Ce 2081/92. Articolo 10. I prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la I.G.P. “Limone di Siracusa”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta Indicazione Geografica senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: -Il prodotto a Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; -Gli utilizzatori del prodotto a Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione dell’I.G.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della Indicazione Geografica Protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. Ce 2081/92. Articolo 12. Il logo e l’etichettatura Il logo consiste in un ovale orizzontale con il bordo colore verde quadricromia contenente una raffigurazione in bianco e nero del Teatro Greco di Siracusa nella cui cavea, nella parte destra, sono poggiati due limoni. Di questi uno è intero, con una foglia, posto in secondo piano, l’altro è in sezione e copre in parte il primo limone. Il limone con la foglia ha un peduncolo, e la foglia è di colore verde quadricromia. La foglia è rivolta verso il centro del marchio e copre in parte il limone a cui è attaccata col peduncolo. La buccia dei due limoni è di colore giallo quadricromia, la polpa del limone in sezione è di colore giallo quadricromia, la scritta <<Limone di Siracusa>> è di colore nero, font Times New Roman grassetto, alto 24; lo sfondo è di colore bianco. In etichetta è obbligatorio indicare: il nome, la ragione sociale e l’indirizzo del produttore e/o del confezionatore e quanto previsto dal D. Lgs 109/92 e successive modifiche ed integrazioni. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione e menzione diverse da quelle espressamente previste dal disciplinare, ivi compresi aggettivi qualificativi del tipo “fine, superiore, selezionato, scelto” e similari. Non è consentito l’uso di termini laudativi. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Siracusa |
Limone di Sorrento Limone di Sorrento IGP Disciplinare di produzione - Limone di Sorrento IGPArticolo 1. La Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone di Sorrento" è riservata ai limoni che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento CEE n. 2081/92 e dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone di Sorrento" designa i limoni prodotti nella zona delimitata al successivo art. 3 del presente disciplinare, riferibili agli ecotipi derivanti dal femminello ovale (Citrus Limon, L., Burmann), "Ovale di Sorrento" – sinonimo: "Limone di Massa Lubrense" o "Massese". Articolo 3. La zona di produzione del "Limone di Sorrento" di cui al presente disciplinare comprende parte del territorio dei comuni di: Vico Equense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Massa Lubrense, Capri e Anacapri. La penisola sorrentina inizia dal versante est con il comune di Vico Equense e prosegue verso ovest con i comuni di: Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento e Massalubrense. Confina, nel suo insieme, a nord col mar Tirreno (golfo di Napoli), a est con i comuni di Castellammare di Stabia (Napoli) e Positano (Salerno), a sud e ad ovest ancora col mar Tirreno. A ovest della penisola, a circa 3,5 miglia da Punta Campanella, e’ ubicata l’isola di Capri. Per la delimitazione dei confini, sono state utilizzate le carte I.G.M. 1:25.000 ricadenti sui fogli: n. 184 Punta Orlando, II S.E.; n. 196 Sorrento, I N.E.; n. 197 Positano, IV N.O.; n. 196 Isola di Capri, I S.O. PERIMETRAZIONE DELL’AREA INTERESSATA Penisola Sorrentina Partendo dal versante nord, l’area interessata alla coltivazione del "Limone di Sorrento" inizia a est dello "Scoglio Tre Fratelli" (comune di Vico Equense), risale lungo il "Fosso Sperlonga" fino alla sua sorgente dove incrocia via Sperlonga. Prosegue in tale via verso ovest (direzione cimitero), fino ad incrociare il sentiero che porta a Trino del Monte, di qui segue il crinale fino ad incrociare la curva di livello a quota +503. Seguendo la stessa verso est fino ad incrociare via Vecchio Faito, segue poi lungo la stessa mulattiera fino alla curva di livello a quota +526, prosegue poi su tale curva in direzione sud fino a raggiungere il "Rivolo Vergini". Scende lungo la valle di questo rivolo fino ad incrociare la "statale R. Bosco", km 5,78 segue detta strada verso monte fino alla curva "Tuoro", km 5,78 e scende diritto verso "Rivo dell’Arco"; proseguendo verso valle fino all’incrocio con via Antignano segue la stessa verso Monte fino al Vallone Centinara. Si prosegue con lo stesso verso monte fino all’incrocio con la mulattiera Moiano-Ticciano. Si segue detta mulattiera fino a raggiungere la "statale R. Bosco" in localita’ Ticciano, si percorre tale strada fino a raggiungere la curva di livello a quota +277, segue la via Alberi fino alla intersezione tra il comune di Vico Equense e Meta e percorre la linea di confine verso sud fino a raggiungere via Lavinola. A valle del Monte Vico Alvano costeggia le falde dello stesso fino a incrociare la mulattiera "Scaricatoio"; prosegue verso sud fino a incrociare la s.s. 163 Amalfitana, risale verso ovest fino a raggiungere i colli di S. Pietro. Prosegue lungo la provinciale Nastro Azzurro; all’incrocio si immette su via Pontecorco e all’imbocco segue la linea di livello da quota +321 e degrada proseguendo verso sud fino a quota +250, su tale quota prosegue verso ovest (includendo a monte gli abitati di via Pontecorco, via Lepantine e Colli di Fontanelle) fino a raggiungere quota +300 che si collega con la parte terminale di via Belvedere; risale tale strada fino ad incrociare la curva di livello a quota +400, proseguendo lungo la stessa in direzione sudovest sino ad incrociare il rivolo Rimaiulo. Lungo il corso del rivolo degrada fino a quota +250 s.l.m. Mantenendosi a tale quota in direzione ovest includendo a monte le localita’ di Monticello, Torca, Nula, Spina, Campi e Tuoro fino al rivolo Acchiungo all’altezza di Capo d’Arco. Dal rivo il limite superiore degrada fino a mare all’insenatura di Recommone per proseguire lungo la costa, sempre in direzione ovest, includendo l’intera Marina del Cantone, fino allo scoglio di Pila Nuova. All’altezza dello scoglio si sale fino alla via comunale che conduce alla baia di Jeranto, lasciando ad est Villa Rosa. Si segue via Jeranto fino a Nerano all’innesto con la strada provinciale via A. Vespucci. Si costeggia il piede del costone nord-est del Monte San Costanzo fino a Petrale andando da quota +200 a +325. Da Petrale si segue quota +325 fino all’incrocio tra via Campanella e via Mitigliano. Si segue via Campanella fino all’insenatura a sud della Torre di Fossa Papa per concludere a mare nel golfo di Napoli-mar Tirreno. Isola di Capri Comprende l’intero territorio di Capri e Anacapri sino alla quota di 500 m.s.l.m. Articolo 4. Il sistema di coltivazione deve essere quello tipico e tradizionalmente adottato nella zona. I sesti e le distanze di piantagione ed i sistemi di potatura dei limoneti di cui al presente disciplinare sono in uso tradizionale della zona. La forma di allevamento è riconducibile ad un vaso libero, adattato ad un idoneo sistema di copertura. È facoltà degli organi tecnici regionali ammettere anche forme di allevamento diverse, nel rispetto comunque delle specifiche caratteristiche di qualità del prodotto descritte nel successivo art. 6. La tecnica tradizionale di produzione consiste nel coltivare le piante sotto impalcature di pali di legno, preferibilmente di castagno, (di altezza non inferiore a mt. 3,00) o sotto ombreggiature di altre essenze vegetali, utilizzando stagionalmente coperture di riparo dagli agenti atmosferici avversi e per garantire una scalarità di maturazione dei frutti. La densità di impianto non dovrà essere superiore ad 850 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre, in funzione del conseguimento delle caratteristiche qualitative di cui al successivo art. 6 e delle particolari richieste del mercato in tale periodo. Tuttavia, in considerazione soprattutto dell’andamento climatico dell’annata, la regione Campania si riserva di modificare tali date con decreto del presidente della giunta regionale. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano; va impedito il contatto diretto dei limoni con il terreno. Nei limoneti di cui sopra è ammessa la presenza di altre varietà nella misura massima del 15%. La produzione massima consentita di limoni per ettaro ammessa a tutela non deve superare le 35 tonnellate in coltura specializzata o promiscua (in tal caso si intende la produzione ragguagliata). I limoni raccolti devono presentarsi sani, indenni da attacchi parassitari, come per legge. Per il trasporto del prodotto fino ai centri di raccolta devono essere impiegati contenitori atti a non provocare danno ai frutti. Articolo 5. Gli impianti idonei alla produzione dell’I.G.P. "Limone di Sorrento" sono iscritti nell’apposito albo attivato, tenuto e aggiornato dalla Regione Campania, direttamente attraverso i propri uffici competenti per territorio o attraverso gli organismi di cui al precedente comma del presente articolo. Gli organi tecnici sono tenuti a verificare, anche attraverso opportuni sopralluoghi, i requisiti richiesti per l’iscrizione all’albo di cui sopra. Entro dieci giorni dalla data indicata di fine raccolta (31 ottobre) deve essere presentata, all’organismo che detiene l’albo, la denuncia finale di produzione dell’anno. Durante il periodo della raccolta, che inizia il 1° febbraio e termina il 31 ottobre, come indicato all’art. 4, il predetto organismo può rilasciare, su conformi denunce di produzioni, parziali ricevute di produzione. Articolo 6. Il prodotto ammesso a tutela, all’atto dell’immissione al consumo o quando è destinato alla trasformazione, deve avere le seguenti caratteristiche: forma del frutto: ellittica, simmetrica; lobo pedicellare lievemente prominente, con area basale media; dimensioni: medie, medio-grosse, peso non inferiore a 85 grammi; i limoni con peso inferiore a 85 grammi, ma in possesso delle altre caratteristiche di cui al presente articolo, possono essere destinati alla trasformazione; peduncolo: di medio spessore e lunghezza; attacco al peduncolo: forte; umbone (apice): presente; solco apicale: assente; residuo stilare: assente; colore della buccia: giallo citrino per una superficie superiore al 50%; buccia (flavedo e albedo): di spessore medio; flavedo: ricco di olio essenziale, aroma e profumo forte; asse carpellare: rotondo, medio e semipieno; polpa: di colore giallo paglierino, con tessitura media; succo: giallo paglierino, abbondante (resa non inferiore al 30%) e con elevata acidità (non inferiore a 3,5 gr/100 ml). Articolo 7. L’immissione al consumo dell’I.G.P. "Limone di Sorrento" deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, con capienza da un minimo di 0,5 kg fino ad un massimo di 15 kg, realizzati con materiale di origine vegetale, con cartone o con altro materiale riciclabile, consentito, in ogni caso, dalle normative comunitarie. Sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime, devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: "Limone di Sorrento" e "Indicazione Geografica Protetta" (o la sua sigla I.G.P.); il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice; la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti. Dovrà figurare, inoltre, il simbolo grafico relativo all’immagine artistica del logotipo specifico ed univoco da utilizzare in abbinamento inscindibile con l’Indicazione Geografica Protetta. Il simbolo grafico è composto dall’immagine di tre limoni affogliati, di cui due piccoli messi in posizione leggermente laterale e uno grande. Quest’ultimo, all’interno, ha raffigurato il panorama della costiera sorrentina fino a Punta Scutolo. Il paesaggio è di colore verde Pantone 360 CV, le foglie sono di colore verde Pantone 362 CV, i due limoni piccoli ed il riquadro con la scritta "Limoni di Sorrento" sono di colore giallo Pantone Process Yellow, il mare è di colore azzurro Pantone 284 CV, la scritta "Limoni di Sorrento" è di colore nero. I prodotti elaborati, derivanti dalla trasformazione del limone, possono utilizzare, nell’ambito della designazione degli ingredienti, il riferimento al nome geografico "Sorrento" a condizione che rispettino le seguenti condizioni: 1) i limoni utilizzati per la preparazione del prodotto siano esclusivamente quelli conformi al presente disciplinare; 2) sia esattamente indicato il rapporto ponderale tra quantità utilizzata della I.G.P."Limone di Sorrento" e quantità di prodotto elaborato ottenuto; 3) l’elaborazione e/o la trasformazione dei limoni avvenga esclusivamente nell’intero territorio dei comuni individuati all’art. 3 del presente disciplinare; 4) venga dimostrato l’utilizzo della I.G.P. "Limone di Sorrento" mediante l’acquisizione e detenzione delle ricevute di acquisto dai produttori iscritti all’albo e successiva annotazione sui documenti ufficiali. Il controllo del corretto utilizzo dalla I.G.P. "Limone di Sorrento" per i prodotti elaborati e/o trasformati potrà essere delegato dall’organismo di controllo al consorzio di tutela e valorizzazione che ne faccia richiesta. Alla Indicazione Geografica Protetta, di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivo: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, utilizza per la trasformazione o comunque distribuisce per il consumo, con la I.G.P. "Limone di Sorrento", un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, è punito a norma di legge. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Napoli |
Limone Femminello del Gargano Limone Femminello del Gargano IGP Disciplinare di produzione - Limone Femminello del Gargano IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
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